Moglie imprenditrice con due figli: niente ritorno a casa per il marito in carcere

Respinta la richiesta presentata dall’imputato e centrata sulle presunte difficoltà incontrate dalla coniuge nella gestione dei figli. La posizione della donna, in quanto titolare di attività imprenditoriale, non è sufficiente, osservano i Giudici, per ritenerla impossibilitata ad accudire adeguatamente i figli.

Due figli a casa e un’attività imprenditoriale da portare avanti situazione precaria per la donna, che deve anche fare i conti col marito costretto in carcere. Ciò nonostante, non vi sono i presupposti, secondo i Giudici, per concedere all’uomo una misura meno afflittiva, tale da consentirgli di stare a casa e dare una mano alla moglie Cassazione, sentenza n. 20267/19, sez. VI Penale, depositata oggi . Difficoltà. Prima il GIP e poi il Tribunale del riesame hanno respinto la richiesta dell’uomo di vedere sostituita la misura della custodia cautelare in carcere a fronte di una situazione familiare difficile. Più precisamente, egli ha posto in evidenza l’impossibilità della moglie di accudire due figli piccoli, affetti da patologie . Ma i giudici hanno ribattuto che è emersa, in sostanza, solo una situazione di difficoltà della donna – impegnata con una attività imprenditoriale – nel prendersi cura dei figli , situazione che è ritenuta non assimilabile a quella della assoluta impossibilità indicata dalla norma . E a sostegno di questa visione i giudici aggiungono un dettaglio l’attività imprenditoriale veniva svolta dalla donna anche prima della detenzione del marito ed era l’unica fonte di sostentamento del nucleo familiare , mentre non era documentato che l’uomo si dedicasse stabilmente all’assistenza dei figli mentre la moglie era impegnata nella propria attività lavorativa . Assistenza. Inutile si rivela ora il ricorso proposto in Cassazione dal legale dell’uomo. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, le difficoltà vissute dalla donna non sono assimilabili a una ipotesi di assoluta impossibilità di dare assistenza ai figli minori . Corretto è il richiamo alla passata vita della coppia. Prima che l’uomo finisse in carcere, difatti, la moglie aveva svolto attività imprenditoriale e tale condizione non aveva reso assolutamente impossibile per lei proseguire nell’adeguata cura ed assistenza dei figli . Peraltro, i giudici sottolineano che per i bambini non risulta documentata una situazione di rischio in concreto derivante dal deficit assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo, dovuto alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 novembre 2018 – 10 maggio 2019, n. 20267 Presidente Petruzzellis – Relatore Agilastro Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro, con ordinanza del 01/08/2018 rigettava l'appello che era stato proposto da Si. Ca. avverso il provvedimento emesso in data 28/5/2018 dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro che aveva disatteso l'istanza presentata da Si. Ca. ai sensi dell'art. 275 comma 4 cod. proc. pen., volta ad ottenere la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con altra meno afflittiva in considerazione dell'impossibilità del coniuge del richiedente ad accudire due figli minori affetti da patologie. Il Tribunale rappresentava che l'indagato era padre di due bambini di un anno e di due anni e mezzo e la moglie si trovava in situazione che le impediva di accudire i minori, considerato che la medesima svolge attività di impresa, avvalendosi, oltre che della sua personale opera, di un solo dipendente. Evidenziava inoltre che i due figli minori soffrivano di patologie riscontrate da accertamenti sanitari la più piccola era affetta da una patologia alle vie urinarie e l'altro figlio era affetto da sindrome da abbandono certificata . Rilevava ancora che la disposizione normativa invocata dall'appellante contiene una previsione di carattere eccezionale quale può essere lo stato di salute, l'età avanzata, l'interesse dei minori all'assistenza genitoriale le quali nel giudizio di bilanciamento rispetto alle esigenze di ordine pubblico come, nel caso di specie, lo stato detentivo del Si. Ca. per associazione di stampo mafioso operante nel territorio di Ciro, non poteva avere carattere prevalente trattandosi di esigenza di eccezionale rilevanza ai sensi dell'art. 274 cod. proc. pen. La giurisprudenza della Suprema Corte ha sempre interpretato in senso rigorosamente restrittivo le condizioni stabilite dall'art. 275 comma 4 cod. proc. pen. In particolare con riferimento alla situazione del padre di prole infraseienne la norma stabilisce che la condizione della madre deve essere quella di persona deceduta , ovvero assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. Il Tribunale sosteneva che nel caso di specie la difesa ha rappresentato una situazione di difficoltà della moglie del ricorrente a prendersi cura dei figli, situazione che non appare assimilabile a quella dell'assoluta impossibilità indicata dalla norma, atteso che l'attività imprenditoriale veniva svolta dalla medesima anche prima della detenzione del marito, attività che costituiva l'unica fonte di sostentamento del nucleo familiare non era stato documentato che Si. Ca. si dedicasse stabilmente all'assistenza dei figli mentre la moglie era impegnata nella propria attività lavorativa . 2. Ricorre per cassazione Si. Ca. per il tramite dei propri difensori di fiducia, avv. Sa. St. e avv. Pi. Pi., con atto in data 27/9/2018, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b ed e in relazione agli artt. 125, 275 comma 4 cod. proc. pen. Si. Ca. risponde del reato associativo perché insieme con altri soggetti per conto della cosca locale e quali fiduciari di Ma. Ca. si erano impegnati in attività di traffico di stupefacenti cogestendo il centro di accoglienza per minori non accompagnati, denominato S. Antonio , così assicurando una implementazione rilevante del fatturato delle imprese della cosca anche recependo fatturazioni per operazioni inesistenti, così locupletando capitali che sono stati fatti confluire tra le risorse economiche della cosca citata. Secondo la difesa la condizione di madre-lavoratrice rileva quale impedimento assoluto ad assistere i figli per il rischio in concreto derivante per quest'ultimo da deficit assistenziale sotto il profilo dell'irreversibile compromissione del processo evolutivo educativo dovuto alla mancanza di entrambi i genitori . Con un ulteriore atto presentato in data 02/10/2018, i difensori deducono violazione di legge ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b e c in relazione all'art. 275 comma 4 cod. proc. pen. per omessa motivazione o motivazione illogica e contraddittoria con riguardo al presupposto dell'assoluta impossibilità della madre di dare assistenza alla prole. Con questo ricorso si puntualizza che già con i motivi di appello si era rilevata una lacuna motivazionale in relazione alle condizioni in cui versano i due figli minori di Si. Ca Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. 2. Nella vicenda in esame, il Tribunale ha disatteso la dedotta assoluta impossibilità della moglie del ricorrente a dare assistenza a figli di età inferiore ai sei anni, escludendo che l'attività imprenditoriale svolta dalla stessa fosse così assorbente da non consentirle di prestare adeguate cure ed assistenza ai propri figli e da comportare una totale incapacità della donna ad espletare la sua funzione genitoriale. Se infatti il criterio per la operatività del comma 4 dell'art. 275 cod. proc. pen. è l'accertamento della mancanza fisica per morte della madre ovvero perchè questa sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza , nel caso di specie, non ricorre per il coniuge del ricorrente uno stato tale da potersi assimilare all'ipotesi di assoluta impossibilità di dare assistenza ai figli minori. 3. Con indirizzo costante, la giurisprudenza ha affermato il principio, in tema di divieto di custodia cautelare in carcere per l'imputato padre di prole non superiore ai sei anni, che la condizione di madre-lavoratrice rileva, quale impedimento assoluto ad assistere i figli, a condizione che venga adeguatamente dimostrata la totale assenza sia di un supporto pedagogico, sia di figure di riferimento idonee ad assicurare la tutela del minore Sez. 1, n. 36344 del 23/07/2015 Casesa, Rv. 264540 . 4. La Corte di legittimità ha precisato che l'esistenza di un impedimento assoluto ad assistere la prole deve essere accertata in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni e costituisce un onere del soggetto che invoca, ai fini dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., l'assoluta impossibilità della madre a dare assistenza alla prole, l'allegazione delle ragioni idonee a comprovare l'effettiva sussistenza di questa situazione Sez. 4, n. 14582 del 26/03/2010, El Kori, Rv. 247131 . Al riguardo, il Tribunale di Catanzaro ha evidenziato che anche prima della detenzione del richiedente, la moglie aveva svolto attività imprenditoriale e tale la condizione non aveva reso assolutamente impossibile per la medesima proseguire nell'adeguata cura ed assistenza dei figli. Allo stesso modo, e per rispondere alla deduzione svolta nella nota presentata il 02/10/2018, non risulta documentata una situazione di rischio in concreto derivante dal deficit assistenziale , sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo, dovuta alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori Sez. 6, n. 35806 del 23/06/2015, Pepe Rv. 264725 , sola condizione che giustificherebbe l'esclusione dell'applicazione o del mantenimento della custodia in carcere nei confronti del padre di prole di età inferiore a sei anni. Nessuna risultanza processuale conduce, infatti, a ritenere nel caso in esame, che solo la presenza di entrambi i genitori possa evitare compromissioni irreversibili nella crescita dei figli minori. Il diniego è insito nella previsione di legge, posto che il Tribunale ha ritenuto assente lo specifico presupposto rappresentato dalla assoluta impossibilità per il coniuge libero la madre di svolgere le funzioni educative e assistenziali. Sul punto va ricordato che la norma di cui all'art. 275 comma 4 cod. proc. pen. non introduce come limite all'applicazione della custodia cautelare nei confronti del genitore padre una mera condizione soggettiva - correlata alla necessità di tutela dello sviluppo della personalità del bambino sino all'età di sei anni - ma si muove su un piano funzionale di necessaria presenza di almeno una delle figure genitoriali. Tale figura in via prioritaria viene identificata in quella della madre. Solo laddove la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza , la direzione della tutela transita sulla figura paterna. Dunque la verifica operata dal Tribunale, nel caso in esame, ha avuto ad oggetto essenzialmente la condizione vissuta dalla madre dei minori, nel senso della compatibilità tra lo svolgimento delle funzioni assistenziali a favore dei minori e lo svolgimento di attività lavorativa. Le valutazioni di fatto operate, sul tema, dal Tribunale non contengono alcun vizio di logicità e non sono pertanto sindacabili ulteriormente, posto che questa Corte di legittimità, nei precedenti arresti sul tema, ha già precisato che non sussiste il divieto di custodia cautelare in carcere dell'imputato padre di prole minorenne, qualora l'impedimento della madre ad assisterla sia costituito dalla sua attività lavorativa Sez. I n. 46290 del 4.12.2008, Rv 242082 . La ragione di tale orientamento - che questo Collegio condivide - sta essenzialmente nella interpretazione della disposizione normativa per come la stessa è testualmente redatta. Assimilare l'ipotesi di madre deceduta a quella di assoluta impossibilità a prestare assistenza così come realizzato dal legislatore evoca, nel secondo caso, una nozione di impossibilità correlata ad un impedimento fisico o comunque funzionale di entità tale da determinare una oggettiva - e tendenzialmente duratura - impossibilità di prestare la dovuta assistenza, il che non equivale ad una temporanea assenza dal domicilio della madre allo scopo di recarsi altrove per esigenze lavorative. L'art. 275 comma quarto, cod. proc. pen. impone il bilanciamento tra le esigenze cautelari ed il diritto dei minori all'assistenza genitoriale, ma per la sua natura derogatoria, la disposizione è di stretta interpretazione e non implica che al minore debba essere garantita l'assistenza continuativa di almeno un genitore, ma almeno la presenza attiva di uno di essi, di norma individuato nella madre. L'impossibilità del genitore libero di assistere la prole di età inferiore a sei anni è soggetto alla prova rigorosa sia dell'impossibilità assoluta di conciliare detta assistenza con l'attività lavorativa, sia dell'impossibilità di avvalersi dell'ausilio di parenti o altre figure di riferimento o di strutture pubbliche per garantirla Sez. 1, sentenza n. 36344 del 23/07/2015, sopra citata . Ove l'impedimento corrisponda alla durata dell'impegno lavorativo, esso non può essere considerato assoluto, trattandosi solo di conciliare detta attività con la cura della prole, a cui può porsi rimedio, come affermato dalla giurisprudenza, anche con il ricorso alle strutture di sostegno e di assistenza sociale, che rendono efficace e concreta la possibilità per la madre di occuparsi della prole Sez. 6, n. 18851 del 06/03/2018, Gioffrè, Rv. 273382-01 . Rilevato che, come ritenuto dal Tribunale, la mera deduzione della condizione di madre lavoratrice non è di per sé idonea ad integrare l'assoluta impossibilità di assistere la prole, in mancanza di adeguata dimostrazione della totale assenza di altre persone o strutture di supporto per provvedervi, deve ritenersi corretta la valutazione del Tribunale circa l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della disciplina invocata. 5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 2.000,00 Euro. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter Disp. att. cod. proc. pen.