La revoca ex tunc dell’affidamento in prova al servizio sociale impone una valutazione complessiva e dettagliata

Nel momento in cui si ritiene che una misura alternativa debba essere revocata, la valutazione delle limitazioni patite e della loro incidenza sulla vita del condannato non può essere azzerata senza un’approfondita motivazione che soppesi la gravità del comportamento e la consideri in relazione alle limitazioni sofferte in precedenza.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 19824/19, depositata il 9 maggio u.s., si pronuncia in tema di affidamento in prova al servizio sociale, con particolare riguardo all’obbligo motivazionale che deve supportare un eventuale provvedimento di revoca del beneficio. Il fatto. Con ordinanza del 9 ottobre 2018, il Tribunale di Sorveglianza di Brescia revocava l’affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 94 d.P.R. numero 309/1990 nei confronti di un soggetto, in ragione della sospensione del beneficio a firma del Magistrato i Sorveglianza di Brescia a causa del grave comportamento dell’affidato. Questi, infatti, in pendenza dell’esecuzione della misura alternativa, dopo aver commesso una violazione stradale scendeva dalla propria autovettura e malmenava una persona che dirigeva il traffico in funzione di manutenzione delle strade. Pertanto, alla luce di una condotta così abietta, la misura in parola veniva revocata a far data dal 15 giugno 2018. Avverso siffatto provvedimento propone ricorso per Cassazione il prevenuto, per mezzo del proprio difensore, che lamenta il vizio di motivazione, con riguardo alla revoca ex tunc del beneficio, senza un’analisi compiuta del fatto commesso e in assenza di qualunque valutazione circa il periodo trascorso in affidamento e il contegno adottato dall’affidato sino al momento della violazione. Le doglianze difensive meritano accoglimento. La Prima Sezione della Corte di Legittimità condivide le contestazioni difensive. Vero è che ai fini della revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale è sufficiente un comportamento dell’affidato contrario alla legge anche laddove non integri un illecito di natura penale tuttavia, osserva il Collegio di Piazza Cavour, un provvedimento retroattivo di revoca del beneficio in parola non può prescindere – come contrariamente risulta nel caso di specie - da una dettagliata disamina dei fatti che abbiano condotto il Giudicante alla decisione e di ogni circostanza connessa. Ancor più grave, secondo la Corte di Cassazione, è il vizio motivazionale che inficia il provvedimento impugnato circa le ragioni della negatività retroattiva ritenuta in ordine al comportamento del ricorrente l’ordinanza impugnata non offre alcuna reale spiegazione sulla refluenza ex tunc del comportamento trasgressivo dell’affidato in prova. Del resto, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza numero 343 del 29.10.1987, ha chiaramente spiegato che l’esistenza di quella zona grigia tra l’osservanza diligente delle prescrizioni imposte e il momento della condotta contra ius , in virtù dei principi di proporzionalità e individualizzazione della pena, giustifica la soluzione prescelta dal legislatore di affidare al Tribunale di Sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della pena detentiva da scontare in ragione sia del periodo di prova trascorso dal condannato nell’osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico di queste, sia della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca. Di conseguenza, nel momento in cui si ritiene che una misura alternativa debba essere revocata, la valutazione delle limitazioni patite e della loro incidenza sulla vita del condannato non può essere azzerata senza un’approfondita motivazione che soppesi la gravità del comportamento e la consideri in relazione alle limitazioni sofferte in precedenza. Per tali ragioni, la Corte di Cassazione annulla con rinvio l’ordinanza impugnata e trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Brescia per nuovo esame da effettuarsi sulla scorta dei principi ivi enucleati.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 aprile – 9 maggio 2019, n. 19824 Presidente Tardio – Relatore Minchella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 09/10/2018 il Tribunale di Sorveglianza di Brescia revocava l’affidamento in prova al servizio sociale D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94 nei confronti di G.D. . Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che il condannato stava fruendo del beneficio in virtù di una ordinanza del di 29/05/2018, ma che in data 12/09/2018 il beneficio era stato sospeso dal Magistrato di Sorveglianza di Brescia a causa del grave comportamento dell’affidato, il quale dopo avere posto in essere una violazione stradale, era sceso dalla sua vettura ed aveva malmenato una persona che regolava il traffico in funzione della manutenzione stradale, per poi allontanarsi velocemente con manovra pericolosa la condotta veniva ritenuta molto grave ed incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa. La misura veniva revocata a far data dal 15/06/2018. 2. Avverso il provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore Avv. Ignazio Paris. 2.1. Con il primo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , mancanza di motivazione sostiene che il beneficio era stato revocato ex tunc senza alcuna motivazione al riguardo, senza una analisi del fatto commesso, senza una valutazione critica della gravità dello stesso e dell’impossibilità di proseguire nella misura, senza valutare lo svolgimento del lavoro e la positività delle relazioni del Sert. 2.2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , mancanza di motivazione lamenta che non vi era stata valutazione del periodo di tempo trascorso in affidamento e dell’impegno profuso nè delle ragioni della revoca ex tunc. 3. Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti. In ordine al primo motivo di doglianza, è noto che un affidamento in prova al servizio sociale viene revocato quando il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova. Il comportamento del soggetto che fa derivare la revoca del beneficio non deve integrare necessariamente la commissione di un reato Sez. 1, 18.09.1997, Marzano , ma è sufficiente che sia una violazione degli obblighi comportamentali tale da sostanziare un giudizio di sintomaticità della inidoneità del soggetto ad essere risocializzato con il trattamento alternativo Sez. 1, 14.11.1996, Salvaggio in altri termini, una vera e propria smentita della prognosi di rieducabilità formulata al momento della concessione della misura. L’ordinanza impugnata ha ritenuto di dover revocare con efficacia retroattiva la misura alternativa concessa al ricorrente in ragione di un comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova nel dettaglio, per una condotta negativa tenuta dall’affidato che, per una ragione legata alla circolazione stradale, aveva malmenato una persona che regolava il traffico in funzione della manutenzione stradale. Questo sfogo di violenza, deprecabile per qualsiasi cittadino, è stato ritenuto intollerabile in una persona sottoposta ad una prova ed il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto che detti elementi sarebbero stati illuminanti sulla personalità del condannato, ritenendo incompatibile un siffatto comportamento con il prosieguo del beneficio penitenziario. Per verità la condotta tenuta dall’affidato risulta essere stata appena tratteggiata non viene spiegato esattamente cosa era accaduto, per quale ragione la decisione è stata assunta così tanto tempo dopo l’accaduto circa quattro mesi dopo , quali erano state le circostanze di fatto. L’ordinanza impugnata è estremamente sintetica e non fa cenno alla documentazione riportata in ricorso, e cioè la remissione di querela della persona offesa,e l’accettazione di detta remissione conseguentemente, l’ordinanza non precisa quale rilevanza abbia dispiegato detta circostanza. In definitiva, la motivazione dell’ordinanza impugnata non rende adeguatamente conto delle ragioni della negatività ritenuta in ordine al comportamento del ricorrente non sono state enunziate le cause che hanno fatto intendere come negativo l’atteggiamento del condannato verso la misura alternativa ed è mancato un esame complessivo della personalità dell’affidato. 2. In ordine al secondo motivo di doglianza, va detto che, oltre a quanto rilevato supra, il provvedimento impugnato è carente di qualsiasi motivazione circa le ragioni della negatività retroattiva ritenuta in ordine al comportamento del ricorrente l’ordinanza impugnata non offre alcuna reale spiegazione sulla refluenza ex tunc del comportamento trasgressivo dell’affidato in prova. In effetti, con la pronuncia n 343 del 1987 la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del comma 10 dell’art. 47 Ord.Pen. nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti, ha affermato che il Tribunale di Sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare, sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento. La Consulta, effettuata la ricognizione dei contrapposti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulle conseguenze della revoca della misura, ha rilevato l’incongruenza delle posizioni sino ad allora affermatesi quella maggioritaria che, assegnando all’affidamento in prova una funzione essenzialmente rieducativa, riteneva che la revoca per il fallimento dell’esperimento avesse effetto retroattivo e determinasse il ripristino dell’originario rapporto punitivo, non tenendo conto del contenuto sanzionatorio delle prescrizioni inerenti la misura, limitative della libertà personali e quindi necessariamente oggetto di valutazione in sede di revoca per stabilire quanto dovesse ancora essere espiato, per cui il non tenerne conto si sarebbe posto in contrasto col disposto dell’art. 13 Cost. quella minoritaria che, basata sulla equiparazione dell’affidamento in prova all’espiazione della pena, di cui costituirebbe una modalità esecutiva, nel ritenere che il periodo scontato andasse in ogni caso scomputato per intero dalla pena residua, avrebbe introdotto ingiustificate parificazioni di trattamento tra la diversa situazione di coloro che hanno violato le leggi o le regole imposte sin dall’inizio e quanti vi erano incorsi nel periodo conclusivo dell’esperimento e avrebbe finito per eliminare la natura sanzionatoria e la funzione preventiva della revoca con la conseguente disincentivazione alla regolarità della condotta dell’affidato, in contrasto con la funzione rieducativa della misura. La Consulta ha quindi omesso di prendere posizione in favore di una, piuttosto che dell’altra delle opinioni, ma ha posto l’accento sulla variabilità delle situazioni individuali di trasgressione delle norme di legge o delle prescrizioni inerenti la misura, per cui, nell’assenza di una definizione normativa di comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova , secondo la dizione letterale dell’art. 47 Ord.Pen., causa di revoca, il relativo provvedimento richiede un diversificato apprezzamento del comportamento e della violazione in relazione all’incisività delle regole imposte ed infrante. La consapevolezza dell’esistenza di una zona grigia , ossia intermedia tra la condotta trasgressiva sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione comportante la revoca, nonché il richiamo ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena ha giustificato la soluzione prescelta di affidare al giudizio del Tribunale di Sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare in ragione sia del periodo di prova trascorso dal condannato nell’osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico di queste, sia della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca c.c. sent. n. 343 del 29/10/1987 . Del resto, recependo il principio ora espresso, il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 98, comma 7, precisa che il Tribunale di Sorveglianza, nel revocare l’affidamento in prova al servizio sociale, determina anche la pena detentiva residua da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il periodo trascorso in affidamento in prova . Ciò è diretta conseguenza del fatto che, con riguardo alle sue concrete modalità di svolgimento, la misura alternativa di cui all’art. 47 Ord.Pen., fa perno su due elementi fondamentali l’imposizione di regole di condotta e l’affidamento al servizio sociale. Le prescrizioni, in particolare, costituiscono il contenuto del trattamento alternativo che si sostituisce all’esecuzione della condanna in forma detentiva, determinando il contenuto stesso ovvero l’essenza della pena. Quanto alla loro finalizzazione, è agevole riscontrare che talune di esse sono intese ad incidere direttamente sul condannato incentivandone la risocializzazione rapporti con il servizio sociale, attività lavorativa, prescrizioni di solidarietà , mentre altre tendono alla neutralizzazione dei fattori di recidiva obbligo di dimora, limitazioni nei movimenti, divieto di svolgimento di attività o di frequentazioni di soggetti che possono occasionare il compimento di altri reati, divieti di soggiorno, divieti di frequentare determinati locali, ecc. . Non si può negare però il forte rilievo assegnato dalla norma dell’art. 47, comma 6, Ord.Pen. alle prescrizioni a contenuto impeditivo, che si risolvono in divieti o comunque in limitazioni di frequentazioni o di attività , secondo un indirizzo di politica criminale sperimentato in altri settori misure di sicurezza e misure di prevenzione consistente nel coniugare la fuga dalle occasioni di nuovi reati con tecniche di svariati divieti o di contenimento della mobilità. Questo rilievo, dunque, assume una tale connotazione ponderale da far sì che il Legislatore consideri equivalenti i periodi trascorsi in misura alternativa ai periodi espiati in detenzione carceraria di conseguenza, nel momento in cui si reputa che una misura alternativa debba essere revocata, la valutazione di queste limitazioni e della loro incidenza nella vita del condannato non può essere azzerata senza una approfondita motivazione che soppesi la, gravità del comportamento e la consideri in relazione alle limitazioni patite in precedenza. 3. Per come visto in precedenza, nella fattispecie il Tribunale di Sorveglianza ha disposto la revoca ex tunc del beneficio sulla sola scorta della gravità del comportamento del condannato, senza fare cenno alla valutazione delle limitazioni patite nel corso della prova e della durata delle stesse, al fine di addivenire alla determinazione di quanta pena poteva comunque considerarsi validamente espiata. Di conseguenza, la motivazione è mancante in effetti, una valutazione negativa e retroattiva deve essere l’esito di un’indagine particolarmente approfondita, espressa in un provvedimento che analiticamente spieghi le ragioni in base alle quali il negativo giudizio espresso sia di tenore tale di far ritenere nulle anche le limitazioni connesse alle prescrizioni imposte e giustificare, perciò, la revoca del beneficio penitenziario sin dalla data del suo inizio. A tale obbligo non ottempera il giudice di merito che si limiti genericamente a valutare in negativo la condotta tenuta dall’interessato in altri termini, a tale obbligo di puntuale e specifica motivazione non ottempera il giudice che si serva di frasi generiche, senza avere prima ricostruito le condotte dell’affidato, la sua ottemperanza precedentè alle prescrizioni, il momento di rottura con l’andamento positivo della prova soltanto all’esito di questa valutazione potrà effettuarsi una determinazione di quanta pena dovrà considerarsi correttamente espiata, anche sulla base della durata della prova fino a quel momento condotta, in modo da stabilire fino a quando possa ragionevolmente ritenersi che l’affidato abbia contribuito al raggiungimento di un grado parziale di risocializzazione. Il mero richiamo al fatto storico dell’esistenza di condotte illecite, senza che nulla sia specificato quanto alla inferenza che da dette condotte può conseguentemente trarsi, e senza una sia pur minima valutazione critica delle risultanze della prova, impedisce di sottoporre a verifica la conclusione dell’ordinanza nei termini di affermazione di un risultato del tutto vano della prova. In definitiva, nel caso specifico è mancata quest’analisi complessiva dei comportamenti tenuti dal ricorrente nel corso dell’esperimento, la verifica sulla natura e sull’incidenza limitativa delle prescrizioni impostegli e sui tempi della loro trasgressione, dei cui esiti la motivazione dell’ordinanza non dà conto in modo compiuto, logico e coerente. Questo Collegio è ben consapevole che il comportamento tenuto dal condannato nel corso della prova può rivelare il sostanziale fallimento e l’inutilità a fini risocializzanti dell’esperienza della misura alternativa sin dal suo inizio, nonché la sostanziale assenza di qualsivoglia carico afflittivo nel periodo trascorso in affidamento, ma il provvedimento che determini la pena residua deve chiaramente offrire indicazioni in tal senso, che nell’ordinanza in esame sono assenti, come fondatamente rilevato nel ricorso, che non si addentra ad esprimere considerazioni in punto di fatto o a proporre diverse massime di esperienza rispetto a quelle utilizzate dal Tribunale, ma a rilevare la carenza di motivazione. 4. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Brescia per nuovo esame, da effettuare attenendosi ai principi ed ai rilievi sopra svolti P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Brescia.