Condannato il commercialista che ha apposto un mendace visto “leggero” sulla dichiarazione dei redditi

L’apposizione di un visto di conformità mendace sulla dichiarazione dei redditi rappresenta un mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento fiscale sulla dichiarazione stessa e ad indurre in errore l’Amministrazione finanziaria.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 19672/19, depositata l’8 maggio. La vicenda. Il Tribunale del riesame annullava l’ordinanza del GIP con cui era stato disposto il sequestro diretto e per equivalente in relazione ad alcuni importi dell’indagato, per aver quest’ultimo, un dottore commercialista, commesso il reato di cui agli artt. 110 c.p., 3 e 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74/2000. La difesa del commercialista propone così ricorso per cassazione, avverso la sentenza di secondo grado, facendo valere, appunto, la sottoscrizione del solo un visto leggero”, attestante la corrispondenza dei dati esposti nella propria dichiarazione IVA con le risultanze della contabilità forniti dalla società e così facendo deve essere scagionato da qualsiasi responsabilità penale. La normativa di riferimento e la differenza dei visti. Occorre innanzitutto partire dalla normativa di riferimento l’art. 35 d.lgs. n. 241/1997 ha introdotto lo strumento del visto di conformità distinguendolo in visto leggero” e visto pesante”. Il primo è attribuito dall’Amministrazione finanziaria a soggetti estranei per effettuare un controllo sulla corretta applicazione delle norme tributarie, in particolare ai professionisti abilitati iscritti negli appositi albi. Il secondo, invece, ha ad oggetto la certificazione tributaria che permette il controllo sulla corretta applicazione delle norme tributarie che interessano la determinazione, la quantificazione e il versamento dell’imposta. E può essere rilasciato dai revisori contabili, iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei consulenti del lavoro. La responsabilità penale del professionista. Detto ciò, risulta però che anche nel caso del solo visto leggero” il professionista deve riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione e la conformità alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti di imposta, nonché lo scomputo delle ritenute d’acconto. Dunque, il professionista, colpevole del rilascio di un mendace visto di conformità, leggero” o pesante” che sia, ai fini degli studi di settore risulta esposto anche a sanzioni penali in ragione dell’espressa previsione di cui all’art. 39 d.lgs. n. 241/1997. Confermata, quindi, la sua responsabilità penale. Per tali ragioni, il ricorso per la Suprema Corte deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 marzo – 8 maggio 2019, n. 19672 Presidente Sarno – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza 19.11.2018, il tribunale del riesame di Macerata, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame proposta nell’interesse del C. , annullava l’ordinanza del GIP presso il medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro diretto e per equivalente in relazione ai capi di imputazione sub 6 e 7 della rubrica art. 110 c.p., D.Lgs. n. 74 de 2000, art. 3, e art. 13 bis, comma 3 , limitatamente ai fatti contestati al capo 7 , disponendo la restituzione all’indagato di quanto in sequestro limitatamente all’importo di 111.462,00 Euro, confermando nel resto l’impugnata ordinanza. 2. Contro la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613 c.p.p., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Deduce, con il primo motivo, vizio di violazione di legge processuale in relazione all’art. 125 c.p.p., sotto il profilo dell’omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in ordine al requisito del fumus commissi delicti ed alle specifiche esigenze cautelari. In sintesi, il ricorrente premette che il Tribunale si basa su quattro elementi fattuali per ricostruire il meccanismo ideato dalla presunta associazione. In primo luogo la ricerca di imprese in decozione, il reclutamento di un prestanome e la costruzione con espedienti e artifici di una contabilita’ nella quale figurano ingenti crediti di imposta derivanti da operazioni fittizie. Dall’attivita’ di riscontro e’ stato rilevato che quanto indicato non corrisponde a verita’ in quanto non vi sono dati nel sistema VIES o alle dogane che corroborino tale operazioni che sono state rese piu’ credibili grazie all’apposizione alla dichiarazione iva di un visto pesante di un professionista. In secondo luogo, l’individuazione di debitori tributari ai fini della cartolarizzazione del credito IVA. In terzo luogo, la cartolarizzazione dello stesso con accollo del debito, cessione di credito, operazioni societarie straordinarie. In quarto luogo, reimpiego dei proventi con transazioni all’estero e ideazione di nuovi espedienti per frodare l’erario. Tanto premesso, ricorda che in sede di riesame la difesa aveva sostenuto estraneita’ del C. all’ipotesi del reato associativo ed il Tribunale aveva sottolineato che gli era contestato solo il delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3. In realta’, si sostiene, l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416 c.p., costituirebbe il presupposto logico fattuale dell’esecuzione del delitto in esame e, essendo pacificatamene il ricorrente estraneo al reato associativo, se ne doveva desumere una sua estraneita’ anche per il reato ex art. 3. La difesa si duole poi del fatto che il giudice del riesame non faccia cenni alla condotta specifica del C. e pertanto il fumus sarebbe rinvenibile solo in capo alla societa’ Superego S.r.l., dal momento che il ricorrente ha solo apposto un visto leggero , attestante la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione IVA con le risultanze della contabilita’ forniti dalla societa’. Egli del resto, era tenuto ad un mero controllo formale e non doveva verificare la veridicita’ delle dichiarazioni che invece deve essere attestata solo nel caso di visto pesante , nel qual caso quanto asserito dal professionista assume un valore fidefacente. Il Tribunale sembra quindi ritenere che si tratti di una responsabilita’ incolpevole, in contraddizione con la regola della personalita’ della responsabilita’ penale. Del resto, osserva il ricorrente, la sentenza di questa Corte n. 30492/2015 citata dal giudice si riferirebbe ad un’ipotesi diversa in cui l’imputato era un liquidatore della societa’, figura dotata di un ampio potere di verifica e controllo. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, soggiunge il ricorrente, il giudice deve comunque esplicitare in modo chiaro gli elementi in ordine alla sussistenza del dolo almeno eventuale, non potendosi ritenere penalmente responsabile il liquidatore che, operate le verifiche documentali, non sia in grado di rinvenire situazioni remote e occulte. Allo stesso modo il C. non aveva gli strumenti per accertare la fittizieta’ delle operazioni che, del resto, e’ emersa solo dalle intercettazioni telefoniche di cui il C. non poteva essere a conoscenza. La motivazione risulterebbe pertanto apparente, tautologica con riguardo alla posizione del ricorrente e a riprova di cio’ il giudicante premette come mezzo fraudolento il visto pesante e poi sottolinea che sussiste il fumus per aver l’imputato apposto il visto leggero. Non e’ pertanto sufficiente limitarsi alla prospettazione di un fatto di reato, prescindendo da ogni profilo di colpevolezza, ma e’ necessario valutare le concrete emergenze istruttorie a carico dell’indagato in ordine al fumus e alle esigenze cautelari. Quanto a queste ultime il Tribunale del riesame ritiene che esse siano state motivate nell’ordinanza cautelare che ha disposto gli arresti domiciliari per i coindagati, ma questa non ha disposto alcunche’ per il ricorrente cui quindi dovrebbero essere applicate le esigenze cautelari articolate per altri soggetti ai quali vengono contestati anche altri reati. Tanto piu’ che il Gip si riferisce a soggetti legati da un vincolo associativo quando invece il C. e’ estraneo alla struttura organizzativa essendo il suo apporto meramente episodico. 3 2.2. Deduce, con il secondo motivo, vizio di erronea motivazione per travisamento dei fatti e correlato vizio di violazione di legge con riferimento alle norme sul sequestro e di quelle fiscali e tributarie di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 35, D.M. 31 maggio 1999, n. 164, D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 16 e 3. In sintesi, si premette che, per quanto attiene all’elemento soggettivo, il Tribunale sostiene che il ricorrente avesse il compito di verificare la rispondenza al vero. Tuttavia, la sua condotta non integra in alcuno dei suoi elementi costitutivi il fatto di reato a lui ascritto ed, invero, il fine di evasione e’ stato perseguito da altri soggetti che hanno indicato gli elementi fittizi e utilizzato tali dichiarazioni IVA. L’apposizione del visto di conformita’ per essere elemento costitutivo del reato dovrebbe essere alternativa alle operazioni fittizie e comunque dovrebbe essere un visto pesante. Il C. , inoltre, non provvedeva alla tenuta della contabilita’ e non era tenuto a verificarne la veridicita’, ma solo la regolarita’ formale per evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione degli imponibili. Erra pertanto il Tribunale asserendo che il ricorrente abbia assunto il rischio penalmente rilevante della falsita’ delle dichiarazioni IVA, poiche’ sarebbe come attribuire rilevanza penale ad una condotta presunta e indimostrata, non essendovi prove che il C. abbia omesso il controllo o non l’abbia fatto con accuratezza. Infatti, egli non era tenuto ad indagare ulteriormente e, anche ammettendo che vi sia imperizia, questa configurerebbe profili di responsabilita’ civile o tributaria, e sarebbe coperta dalla polizza assicurativa obbligatoriamente sottoscritta dai professionisti abilitati. Considerato in diritto 3. Il ricorso - i cui motivi ben possono essere esaminati congiuntamente, attesa l’omogeneita’ dei profili di doglianza mossi e l’intima connessione esistente tra gli stessi - e’ inammissibile perche’ proposto per motivi non consentiti dalla legge, per genericita’ e manifesta infondatezza. 4. Si espone, anzitutto, al giudizio di inammissibilita’ perche’ i motivi proposti non sono consentiti dalla legge. Ed invero deve anzitutto essere ricordato che la specificita’ dell’art. 606 c.p.p., lett. e , dettato in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l’ammissibilita’ per ragioni connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l’utilizzazione del vizio di violazione di legge di cui alla lettera c dello stesso articolo. E cio’, sia perche’ la deducibilita’ per cassazione e’ ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza, sia perche’ la puntuale indicazione di cui al punto e - ricollega ai limiti in questo indicati ogni vizio motivazionale sicche’ il concetto di mancanza di motivazione non puo’ essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione od errore che concernano l’analisi di determinati, specifici elementi probatori Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998 - dep. 26/01/1999, Condello e altri, Rv. 212248 . 5. Il ricorso e’ poi inammissibile laddove denuncia il vizio di contraddittoria ed illogica motivazione in ordine al requisito del fumus commissi delicti ed alle specifiche esigenze cautelari, atteso che, versandosi nei casi di cui all’art. 325 c.p.p., l’unico vizio deducibile e’ quello della violazione di legge, essendosi piu’ volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame dei provvedimenti di sequestro preventivo e di sequestro probatorio e’ proponibile solo per violazione di legge. Ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, non rientrando nel concetto di violazione di legge, come indicato negli artt. 111 Cost., e art. 606 c.p.p., lett. b e c , anche la mancanza o la manifesta illogicita’ della motivazione, separatamente previste come motivo di ricorso dall’art. 606 c.p.p., lett. e , tra le tante Sez. 6, n. 24250 del 04/04/2003 - dep. 04/06/2003, P.M. in proc. De Palo, Rv. 225578 . 6. Il ricorso e’ poi affetto dal vizio di da genericita’ per aspecificita’, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella ordinanza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di riesame che, vengono, per cosi’ dire replicate in questa sede di legittimita’ senza alcun apprezzabile elementi di novita’ critica , esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita’. Ed invero, e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione v., tra le tante Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849 . 7. Lo stesso, infine, e’ da ritenersi manifestamente infondato, atteso che il tribunale del riesame ha, con argomentazioni del tutto corrette in diritto, illustrato le ragioni per le quali ha disatteso le identiche doglianze difensive esposte nei motivi di riesame. 8. Ed invero, quanto alle censure di cui al primo e secondo motivo con cui si contesta la violazione di legge sotto il profilo della violazione dell’art. 125, c.p.p. sotto il profilo dell’omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in ordine al requisito del fumus commissi delicti ed alle specifiche esigenze cautelari nonche’ in relazione alle norme fiscali e tributarie e l’erronea motivazione per travisamento dei fatti , i giudici del riesame dedicano alla posizione dell’indagato C. le pagg. 6/8 dell’ordinanza impugnata illustrando le ragioni della configurabilita’ del fumus e soffermandosi sulla censura di pretesa insussistenza delle esigenze cautelari. Osservano come il coinvolgimento nei fatti contestati nel capo 6 dell’imputazione emerge pacificamente avendo il C. , quale professionista incaricato dalla Superego s.r.l., concorso nel reato tributario apponendo il visto di conformita’ e provvedendo alla presentazione telematica della dichiarazione. In particolare, per migliore intelligibilita’, si riportano le argomentazioni dei giudici del riesame, i quali hanno evidenziato a che all’esito del controllo fiscale effettuato dalla G.d.F. di Macerata veniva segnalato un sistema di frode fiscale con traffico di passaggi di proprieta’ di societa’, alle quali venivano conferite variazioni in aumento del volume d’affari in esenzione iva, conseguendo un ingente credito IVA quest’ultimo veniva poi cartolarizzato attraverso l’accollo o cessione a soggetti terzi, per consentire a questi di compensare i debiti tributari con il credito IVA b nell’analizzare le doglianze della difesa del ricorrente, in primo luogo, quanto al fumus, il tribunale osservava come dovevano essere tenute presenti le concrete risultanze processuali e l’effettiva situazione emergente e non solo l’astratta configurabilita’ del reato c ha evidenziato ancora il tribunale che al C. non era stato addebitato il delitto associativo, ma solamente il reato di cui all’art. 3, e, infatti, quanto alla dichiarazione IVA dell’anno d’imposta 2015 egli aveva apposto il visto di conformita’, identificando i crediti in Euro 147.776,00, con imposta evasa di pari ammontare in quanto totalmente inesistenti d ha rilevato ancora il giudice del riesame che tale visto e’ prodromico sia all’accollo del debito tributario da parte di terzi che alla cessione del credito, e questi si risolvono in una compensazione del credito IVA il visto pertanto ha ostacolato l’accertamento e ha indotto in errore l’amministrazione finanziaria, in quanto esso presuppone la verifica della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e l’attestazione della congruita’ dei ricavi o dei compensi dichiarati rispetto a quelli determinabili in base agli studi di settore inoltre, i commercialisti trasmettono per via telematica all’Agenzia delle entrate tali dichiarazioni entro i termini previsti, incorrendo in caso contrario alle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 7 bis e quanto all’elemento soggettivo, il tribunale ha osservato che la valutazione relativa alla sua presenza in capo all’agente, in considerazione della natura sommaria della cognizione del giudice della cautela, va limitata ai soli casi in cui esso appaia assente ictu oculi, circostanza che certamente non e’ riscontrabile per il tribunale nel caso di specie, essendo il C. il commercialista della societa’ ed avendo apposto il visto di conformita’, nonostante avesse il compito di verificare la rispondenza al vero delle dichiarazioni f infine, quanto alle esigenze cautelari, il tribunale conferma che il Gip ha motivato con riferimento alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari applicata ai coindagati, ma non al C. . A tal proposto ricordano i giudici del riesame che le misure personali hanno delle condizioni diverse di applicabilita’ e nella misura reale e’ il tasso di pericolosita’ della cosa in se’ che giustifica la misura, ben potendo prescindere dal profilo della colpevolezza. Risulta pertanto irrilevante il periculum in mora, essendo necessario verificare solo che i beni rientrino tra quelli suscettibili di confisca e assolutamente non necessario risulta il nesso di pertinenzialita’, trattandosi di una confisca per equivalente. 9. Tanto premesso, le conclusioni cui pervengono i giudici del riesame non meritano censura alcuna, avendo correttamente illustrato il tribunale del riesame gli elementi a sostegno della configurabilita’ del fumus e del periculum. Con particolare riferimento alla capziosa questione proposta dal ricorrente, gia’ correttamente risolta dal giudice del riesame, fondata sulla differenziazione tra visto pesante e visto leggero, asserendo che il C. avrebbe apposto solo quest’ultimo, e’ sufficiente in diritto ricordare che, nel caso di specie, indubbio il superamento delle soglie quantitative e qualitative per la configurazione della responsabilita’ penale, ai fini della verifica della sussistenza della penale responsabilita’ in capo al professionista secondo la contestazione mossa, occorre considerare lo strumento del visto di conformita’. Quest’ultimo, introdotto dal D.Lgs. n. 241 del 1997 art. 35 , si declina in visto leggero previsto e disciplinato dall’art. 35 e visto pesante o certificazione tributaria, ulteriore tipologia di controllo prevista invece dall’art. 36 . Il primo rappresenta uno dei livelli di controllo attribuito dal legislatore a soggetti estranei all’Amministrazione finanziaria sulla corretta applicazione delle norme tributarie, in particolare a professionisti abilitati iscritti negli appositi Albi. Con la sua apposizione i professionisti attestano la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione e alle norme che disciplinano la deducibilita’ e detraibilita’ degli oneri, i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Tali controlli hanno lo scopo di evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione di imponibili, imposte e ritenute e nel riporto di eccedenze derivanti da precedenti dichiarazioni. Del resto, l’attivita’ di controllo implica, nel caso del professionista, una regolare tenuta della contabilita’, la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e alla relativa documentazione sia per le imposte sui redditi sia ai fini IVA. L’apposizione in esame e’ obbligatoria per una serie di operazioni tra le quali la compensazione dei crediti relativi a IVA, imposte dirette, IRAP e ritenute di importo superiore a 5.000 Euro annui la presentazione delle istanze di rimborsi dei crediti IVA, annuale e trimestrale, di ammontare superiore a 30.000 Euro e la presentazione delle dichiarazioni modello 730. Per apporre il visto, il professionista deve essere in possesso dell’abilitazione alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali Entrate’ e aver presentato alla Direzione Regionale territorialmente competente apposita comunicazione per la relativa iscrizione nell’elenco informatizzato. Il visto pesante, invece, ha per oggetto la certificazione tributaria che permette il controllo sostanziale sulla corretta applicazione delle norme tributarie che interessano la determinazione, la quantificazione ed il versamento dell’imposta. Questo puo’ essere rilasciato dai revisori contabili, iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro con particolari competenze lavorative. Il giudizio e’ pertanto professionale e il professionista abilitato puo’ rilasciare la relativa certificazione richiesta solo qualora sussista la ragionevole convinzione della corretta osservanza della normativa applicabile. Pertanto, la certificazione tributaria, a differenza del visto leggero, ha carattere facoltativo. Quanto sopra dunque dimostra che anche nel caso del visto leggero il professionista e’ tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione e la conformita’ alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti di imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Apponendo il visto leggero il professionista effettua una attestazione con riferimento all’esecuzione dei controlli previsti nel Decreto n. 164 del 1999, art. 2. In particolare viene riscontrata la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione e alle norme che disciplinano la deducibilita’ e detraibilita’ degli oneri, i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. I controlli sono finalizzati ad evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione degli imponibili, delle imposte e delle ritenute e nel riporto delle eccedenze risultanti dalle precedenti dichiarazioni. Tali controlli implicano la verifica a della regolare tenuta della contabilita’ ai fini delle imposte sui Redditi e ai fini Iva b della corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e alla relativa documentazione c della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alla documentazione prodotta dal contribuente nel caso del modello 730. Quanto alla responsabilita’ penale, il professionista, reo del rilascio di un mendace visto di conformita’ leggero o pesante ovvero di un’infedele asseverazione dei dati, ai fini degli studi di settore risulta esposto anche a sanzioni penali in ragione dell’espressa previsione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 39, e del meccanismo del concorso nel reato di cui all’art. 110 c.p., non trovando dunque applicazione il principio di specialita’ di cui all’art. 15 c.p., incorrendo peraltro nel reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 3, dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indicando in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi. 10. Quanto, poi, alla sussistenza dell’elemento soggettivo e’ sufficiente ricordare, come gia’ evidenziato dai giudici del riesame, che la cognizione del giudice del riesame circa il fumus e l’elemento psicologico del reato e’ sommaria, e, del resto, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice e’ demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata. Ne consegue che lo stesso giudice puo’ rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purche’ esso emerga ictu oculi cosi’ Cass., Sez. 2, sentenza n. 18331 del 22/04/2016 conforme, Cass., Sez. 4, sentenza n. 23944 del 21/05/2008 . Correttamente pertanto il giudice del riesame ha ritenuto di non avere elementi per escludere il dolo ictu oculi, tenuto conto del ruolo assunto dal C. nella vicenda processuale. Del resto, le doglianze del ricorrente, per come articolate nei motivi di appello, si sviluppano attraverso censure in fatto con cui si cerca di dimostrare che questi fosse vittima dell’operato illecito degli amministratori della Superego s.r.l., il tutto attraverso il richiamo di argomentazioni fattuali che non sono ovviamente valutabili da parte di questa Corte nell’esercizio del proprio sindacato di legittimita’, essendo rimesse al giudice della cognizione. 11. Per quanto riguarda, infine, le specifiche esigenze cautelari, opportunamente ricorda il tribunale che si versa nell’ipotesi di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente e che, pertanto, attesa la natura sanzionatoria di quest’ultima, non sono richieste specifiche esigenze cautelari, essendo sufficiente il fumus criminis e la corrispondenza tra il valore dei beni oggetto del sequestro e il profitto o prezzo dell’ipotizzato reato giurisprudenza costante Cass., Sez. 3, sentenza n. 18311 del 06/03/2014 Cass., sez. 2, sentenza n. 21027 del 13/05/2010 . 12. Ne discende, pertanto, l’assoluta inconsistenza delle doglianze difensive, che determina la radicale inammissibilita’ del ricorso. 13. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle ammende.