La mancata comparizione alle udienze non è sinonimo della volontà della parte offesa di rimettere la querela

La Suprema Corte esclude la configurabilità di una condotta di tacita remissione di querela laddove la persona offesa, nonostante le ripetute assenze alle udienze, comunque manifesti una volontà incompatibile con quella di disinteressarsi del processo.

Questo l’epilogo della pronuncia della Corte di Cassazione n. 19731/19, depositata l’8 maggio. Il fatto. Il Giudice di pace di Macerata riconosceva la colpevolezza dell’imputato per il reato di lesioni personali. Avverso tale provvedimento, l’imputato ricorre di fronte alla Corte di Cassazione, lamentando la presenza di un errore di diritto in punto di applicazione dell’art. 152 c.p. Remissione della querela . Infatti persona offesa non era comparsa alle udienze tenutesi dinanzi al Giudice di pace, nonostante la notifica dell’avviso che, non comparendo, il suo comportamento sarebbe stato interpretato come tacita remissione di querela. Assenza alle udienze e tacita remissione di querela. I Giudici di legittimità dichiarano il ricorso manifestamente infondato, richiamando un principio di diritto, oggetto di una pronuncia della stessa Corte Cass. Pen. n. 31668/16 , in base al quale la condotta di tacita rinuncia alla querela non si verifica automaticamente a seguito della mancata comparizione della persona offesa, ma è necessario che nulla induca a dubitare del fatto che la sua assenza e inerzia siano frutto della consapevole scelta di disinteressarsi del processo da lei stessa sollecitato. Nel caso concreto, la Suprema Corte non ravvisa la condotta lamentata dal ricorrente, poiché contrasta con gli atti processuali, i quali evidenziano un atteggiamento comunque collaborativo da parte della persona offesa. Il suddetto atteggiamento può evincersi, in primo luogo, dall’apposita verifica richiesta dal Giudice alla Polizia Giudiziaria circa l’effettiva volontà della parte offesa di continuare nel procedimento, constatando l’intenzione della stessa a non volervi rinunciare, e, in secondo luogo, dalla sua avvenuta comparizione all’udienza durante la quale è stata sottoposta ad esame. Dunque, non ravvisandosi alcuna condotta che sia compatibile con la volontà della persona offesa di disinteressarsi del processo, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 aprile – 8 maggio 2019, n. 19731 Presidente Miccoli – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di pace di Macerata, con sentenza del 23 maggio 2018, ha riconosciuto C.O.A. colpevole del reato di lesioni personali commesso in danno di L.M. e, per l’effetto, l’ha condannato alla pena di giustizia. 2. Ricorre l’imputato per vedere annullata la menzionata sentenza, perché viziata da errore di diritto in punto di applicazione dell’art. 152 c.p All’uopo rileva che, stante l’assenza della persona offesa all’udienza del 6 aprile 2016, il Giudice di pace aveva disposto che le venisse notificato l’avviso che, non comparendo, il suo comportamento sarebbe stato interpretato come tacita remissione di querela, di modo che, poiché all’udienza di apertura del dibattimento del 27 settembre 2017 e a quella di discussione del 23 maggio 2018 la stessa persona non era comparsa, la sua assenza doveva essere interpretata come tacita remissione di querela. Era, infatti, da ritenere irrilevante, ai fini della neutralizzazione degli effetti dell’avviso fattole notificare dal Giudice, la comparizione della parte offesa alle udienze di mero rinvio che avevano avuto luogo dal 8 giugno 2016 al 25 gennaio 2017, poiché le stesse non potevano qualificarsi come udienze dibattimentali. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 31668 del 23/06/2016, P.G. in proc. Pastore, Rv. 267239, hanno affermato il principio di diritto così enunciato Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale nella specie davanti al Giudice di pace del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela . Hanno, all’uopo, precisato che l’abdicazione dalla pregressa istanza punitiva non è un effetto automatico della mancata comparizione della persona offesa, ma deriva dalla combinazione della condotta omissiva tenuta con il previo formale avvertimento del significato che ad essa sarebbe stato attribuito. 2. Dai richiamati rilievi si evince che, perché la detta prova presuntiva possa dirsi formata, è necessario che nulla induca a dubitare del fatto che la perdurante assenza e l’inerzia serbate dalla parte offesa siano il frutto della libera e consapevole scelta di disinteressarsi del processo da lei stessa sollecitata, al punto di non offrire mai, neppure se personalmente ed espressamente invitata, l’indispensabile collaborazione che gli si richiede Sez. 5, n. 14063 del 19/03/2008, P.G. in proc. Calza, Rv. 239439 Sez. 5, n. 31963 del 25/06/2001, P.G. in proc. Pompei, Rv. 219714 . 3. Ma se così è, non può ragionevolmente sostenersi quanto argomentato dall’imputato in ricorso, che, peraltro, appare in contrasto con ciò che emerge dagli atti processuali, legittimamente esaminati, nel caso di specie, in ragione del vizio denunciato. Questi ultimi rivelano, infatti, che la Polizia Giudiziaria, richiesta dal Giudice di verificare l’effettiva volontà della parte offesa di continuare nel procedimento o di rimettere la querela sporta nei confronti del Sig. C.O.A. , aveva attestato, con annotazione riportata in capo al biglietto di cancelleria recante la data del 6 aprile 2016, che L. aveva riferito che, per il momento, non era intenzionato a rimettere la querela nei confronti di C.O.A. . Nondimeno la stessa avvenuta comparizione della parte offesa all’udienza dibattimentale del 21 febbraio 2017, nel corso della quale è stata sottoposta ad esame, è logicamente incompatibile con la volontà di disinteressarsi del processo. 3. Le considerazioni che precedono conclamano l’inammissibilità del ricorso, che va dichiarata. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.