Detenuto collaboratore di giustizia: a quale giudice rivolgere l’istanza di rinvio dell’esecuzione della pena?

Le Sezioni Unite Penali si pronunceranno sulla competenza a provvedere sull’istanza di rinvio dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare speciale, proposta dal detenuto collaboratore di giustizia.

La Suprema Corte interviene su un tema peculiare e pressoché inedito, che involge complesse questioni processualpenalistiche e, non di meno, il delicato bilanciamento tra diritto alla salute, esigenze retributive e potenziali contributi probatori. Lo fa, fornendo molteplici spunti circa la genesi e l’evoluzione della disciplina applicabile, connotata, stanti le caratteristiche affatto comuni della materia – sovente oggetto anche di decisioni sovranazionali – da interventi di legislazione emergenziale. Con condivisibile lungimiranza, peraltro, sceglie di abbreviare il percorso che condurrà all’epilogo del giudizio a quo , coinvolgendo direttamente il Massimo Consesso interpretativo considerata la necessità di prevenire un potenziale contrasto in una materia nella quale [] va perseguita la celerità delle decisioni . Il caso. Si giunge al sindacato di legittimità per dirimere il conflitto negativo di competenza sollevato dal Magistrato di Sorveglianza di Alessandria nei confronti dell’omologo di Roma, che aveva trasmesso, ritenendo di non potervi provvedere, la domanda di differimento dell’esecuzione per motivi di salute, anche nella forma della detenzione domiciliare, proposta da un collaboratore di giustizia. Ed infatti, ad avviso del Giudice piemontese, non poteva condividersi l’esegesi promossa dall’unica decisione pertinente rintracciabile Cass., Sez. I Pen., 6.12.2017, n. 8131, RV. 272416 , secondo la quale avrebbe dovuto pronunciarsi, in forza delle ordinarie regole di competenza, chi aveva giurisdizione sull’istituto di pena nel quale è ristretto il richiedente, posto che costui, nel caso di specie, era sì in vinculis presso la Casa di Reclusione di Alessandria, ma in qualità di collaborante sottoposto a programma di protezione, con conseguente operatività della deroga prevista per tali domande, da incardinare obbligatoriamente dinanzi alla Magistratura capitolina, nel cui territorio hanno domicilio eletto ex lege . L’ordinanza. Il Collegio – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva concluso per la competenza del Magistrato di Sorveglianza di Alessandria – rimette il ricorso alle Sezioni Unite, ponendo il seguente quesito se, in tema di rinvio [] dell’esecuzione della pena, la competenza a provvedere sull’istanza del detenuto, collaboratore di giustizia, appartenga al magistrato o al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta [] anche quando il condannato richieda, o il giudice ritenga comunque di applicare, la detenzione domiciliare, o se invece debba trovare applicazione [] la competenza territoriale esclusiva del giudice di sorveglianza di Roma . La composizione cui è stata assegnata la trattazione del procedimento, infatti, non approva l’opinione espressa dalla stessa Sezione I, nell’unico precedente massimato relativo ai profili procedurali qui controversi. L’ìter motivo, inevitabilmente non troppo contenuto, mostra una linearità non comune nell’inquadrare le molteplici questioni sottese all’interrogativo principale del caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini, a partire da una sintetica ricostruzione delle disposizioni coinvolte, che s’avvia dai presupposti che devono ricorrere per rimandare l’esecuzione della pena gravità oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo per la vita o la salute del condannato e possibilità di beneficiare di più efficaci terapie rispetto a quelle accessibili in regime intramurario . L’indirizzo coniato dall’unico precedente. L’unica decisione rinvenibile riposava, in sostanza, su tre argomenti l’impossibilità di annoverare il differimento dell’esecuzione tra le misure alternative in senso stretto e, pertanto, l’inapplicabilità del criterio esclusivo di competenza dettato dall’art. 16- nonies , comma 8, d.l. n. 8/1991 la natura eminentemente assistenziale della misura, che non implicherebbe alcuna valutazione di merito circa i requisiti che consentono l’accesso dei collaboratori di giustizia ai benefici penitenziari importanza del contributo investigativo o processuale ravvedimento inderogabilità generale dei canoni di competenza territoriale, precipitato procedurale del principio costituzionale del giudice naturale. La posizione odierna della I sezione. Questa composizione della sezione remittente, tuttavia, milita per un’altra soluzione, ritenendo che accedere alla tesi appena descritta significherebbe improntare la lettura del quadro normativo ad un eccesso di formalismo, tale da produrre una frammentazione dei processi decisionali, a scapito del sistema e dei diritti dell’istante . Queste le argomentazioni addotte a sostegno dell’opposta ricostruzione attribuire natura assistenziale anche alla detenzione domiciliare alternativa al differimento dell’esecuzione, contrasterebbe con il principio rieducativo, coniando un regime restrittivo della libertà personale, ma non finalizzato alla risocializzazione proprio per la custodia domiciliare, peraltro, sono necessarie valutazioni di merito rimesse dalla normativa di riferimento alla Magistratura capitolina, mediante criterio funzionale e inderogabile, come sempre accade per la fase di sorveglianza cfr., ex multis , Cass., Sez. I Pen., 20.3.2015, n. 16372, RV. 263324 diversamente opinando, infine, si stabilirebbe una competenza differente per il rinvio e per la detenzione domiciliare speciale, regime che può essere disposto anche d’ufficio alternativamente al primo, con la conseguente farraginosa concorrenza di due diversi giudici in relazione alla medesima richiesta. Sul piano logico, oltre che su quello giuridico, quindi, deve concludersi che, in casi simili, la competenza per rimandare l’esecuzione, così come per disporre la detenzione domiciliare alternativa, dovrà restare, unita, in capo alla Magistratura di Sorveglianza di Roma. Conclusioni. L’ordinanza in commento riesce a cristallizzare le ragioni del conflitto ermeneutico emerso tra diverse composizioni del Supremo Collegio, prima che questo possa acquisire ulteriore consistenza tra le Sezioni Semplici, con l’obiettivo condivisibile di fornire certezza in un campo connotato da urgenti esigenze di tutela della salute dei ristretti. Le argomentazioni con le quali si distanzia dall’unico arresto censito in subiecta materia sono pregevolmente esposte e, di certo, meritevoli di considerazione. Non resta, dunque, che attendere il responso del più Alto Consesso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 19 febbraio – 7 maggio 2019, n. 19344 Presidente Iasillo - Relatore Minchella Ritenuto in fatto 1. Con istanza trasmessa il 12/07/2018 dalla Direzione della Casa di Reclusione di Alessandria il collaboratore di giustizia M.A. avanzava istanza di differimento dell’esecuzione per motivi di salute, anche nella forma della detenzione domiciliare. Con provvedimento in data 23/07/2018 il Magistrato di Sorveglianza di Roma trasmetteva la richiesta al Magistrato di Sorveglianza di Alessandria, ritenendolo competente in ragione della natura della richiesta. Con ordinanza in data 26/07/2018 il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria sollevava il conflitto di competenza con il Magistrato di Sorveglianza di Roma rilevava il giudice che, sebbene una decisione della Corte Suprema in data del 06/12/2017 Rv. 272416 avesse deciso che una siffatta richiesta rientrasse nella competenza del Magistrato di Sorveglianza con giurisdizione sull’Istituto di Pena nel quale era ristretto il richiedente, tuttavia detta decisione contrastava con un orientamento consolidato della medesima Corte Suprema secondo il quale ogni istanza di benefici penitenziari avanzata da una collaboratore di giustizia era di competenza della magistratura di sorveglianza di Roma, in applicazione della regola di cui al D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 16 nonies, per come sta stato affermato più volte in ragione della sua natura eccezionale e derogatoria ciò anche per l’analoga tipologia di valutazione da fare rispetto alla detenzione domiciliare ordinaria nonché per le problematiche altrimenti sorgerebbero circa l’esecuzione della misura alternativa. Considerato in diritto 1. Per come evidenziato in precedenza, la fattispecie in esame era costituita da un conflitto di competenza tra il Magistrato di Sorveglianza di Roma ed il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria sul tema della concessione del differimento dell’esecuzione per gravi ragioni di salute artt. 146 e 147 c.p. anche nelle forme della detenzione domiciliare art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen. la peculiarità del caso derivava dall’essere il detenuto instante un collaboratore di giustizia. Così la sua istanza era stata inizialmente trasmessa al Magistrato di Sorveglianza di Roma, il quale, evidentemente sulla scorta dell’unico precedente massimato della Corte, e cioè la sentenza Sez. 1, n. 8131 del 06/12/2017, Rv 272416, ha ritenuto che la competenza fosse del Magistrato di Sorveglianza con giurisdizione sull’Istituto di Pena nel quale era ristretto il collaborante, e cioè il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria. Quest’ultimo ha sollevato conflitto di competenza, ritenendo che anche la detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen. costituisca una delle misure alternative alla detenzione che il D.L. n. 8 del 1991, art. 16 nonies, comma 8, attribuisce alla magistratura di sorveglianza di Roma, con norma derogatoria alle ordinarie regole della competenza. Al fine del corretto inquadramento della questione giova riportare che il D.L. n. 8 del 1991, art. 16-nonies, conv. dalla L. 82 del 1991, al suo comma 8, recita in modo seguente Quando i provvedimenti di liberazione condizionale, di assegnazione al lavoro all’esterno, di concessione dei permessi premio e di ammissione a taluna delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono adottati nei confronti di persona sottoposta a speciali misure di protezione, la competenza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui la persona medesima ha eletto il domicilio a norma dell’art. 12, comma 3-bis, del presente decreto . Parimenti, è opportuno premettere che l’art. 146 c.p. prevede il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena detentiva quando essa 1 se deve aver luogo nei confronti di donna incinta 2 se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno 3 se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’art. 286-bis c.p.p., comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative . Così, il successivo art. 147 c.p. prevede il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena quando 1 se è presentata domanda di grazia, e l’esecuzione della pena non deve esser differita a norma dell’articolo precedente 2 se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica 3 se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni . A norma dell’art. 684 c.p.p., nei casi urgenti il Magistrato di Sorveglianza può assumere provvedimenti provvisori in tale ambito. Ed ancora, operando un raccordo con dette norme, l’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord.Pen. stabilisce Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p., il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato . Tanto premesso, è noto che per legittimare il rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica di cui agli artt. 146 e 147 c.p. devono ricorrere due autonomi presupposti il primo di essi è costituito dalla gravità oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilità di altre rilevanti conseguenza dannose gravità da intendersi in modo particolarmente rigoroso, tenuto conto sia del principio di indefettibilità della pena sia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessità di pronta esecuzione delle pene legittimamente inflitte il secondo requisito consiste nella possibilità di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura. In queste ipotesi, però, in considerazione di vicende particolarmente complesse e della gravità dei delitti commessi, può essere opportuno applicare il disposto di cui all’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord.Pen. il quale richiama espressamente gli artt. 146 e 147 c.p. , e disporre l’applicazione della detenzione domiciliare in luogo del mero rinvio dell’esecuzione ciò, peraltro, è stato sempre ritenuto come una soluzione favorevole al condannato, poiché gli consentirà l’espiazione della pena inflitta. Si tratta, cioè di una misura alternativa che garantisce una forma di contenzione sul condannato, non lesiva del prevalente diritto alla salute. È appena il caso di precisare che la detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord.Pen., può essere disposta di ufficio e quindi anche a fronte di una richiesta di mero differimento dell’esecuzione per ragioni di salute. La menzionata sentenza Sez. 1, n. 8131 del 06/12/2017, Rv 272416 si fonda su dati testuali ed è pervenuta alla sua conclusione su due parametri valutativi il primo è quello della diversità strutturale dell’istituto del differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute dalle misure alternative tradizionalmente intese e quindi la sua estraneità dal novero di misure che il comma 8 del citato art. 16 nonies riserva alla competenza della magistratura di sorveglianza di Roma il secondo è quello della natura eminentemente assistenziale della detenzione domiciliare che prende il posto del mero rinvio dell’esecuzione pur se misura alternativa, essa non richiederebbe alcun apprezzamento nè in ordine all’importanza della collaborazione nè in ordine al ravvedimento, che sono i requisiti che l’ordinamento considera per le finalità premiali e la deroga alle regole ordinarie della competenza. Una delle ragioni della decisione certamente risiede ne principio della inderogabilità generale delle regole attributive della competenza, siccome norme di stretta interpretazione in quanto correlate al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge l’art. 677 c.p.p., comma 1, risponde cioè ad un criterio munito certamente di funzionalità e ragionevolezza, attribuendo la competenza all’organo giurisdizionale di prossimità. Di conseguenza, il Tribunale di sorveglianza del luogo in cui si trova il detenuto, una volta ritualmente investito della domanda di solo differimento dell’esecuzione della pena, sarebbe legittimato ad adottare tutti i provvedimenti che la legge riconnette alla presentazione della relativa istanza, ivi incluso quello di disporre d’ufficio la detenzione domiciliare così come previsto e consentito dall’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord.Pen., senza spogliarsi della competenza. 2. Tale orientamento non sembra tuttavia condivisibile al Collegio, poiché diverse perplessità vengono sollevate dalla soluzione adottata. In primo luogo, l’art. 16 nonies, comma 8, prima menzionato, nel far richiamo all’applicazione delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni , non sembra possa aprire ad una distinzione, ai fini della competenza, tra misure con valenza trattamentale e misure che tale valenza non hanno. Per verità sembra arduo poter sostenere che la detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen., che può prendere il posto del mero differimento dell’esecuzione della pena, possa considerarsi una misura di valore assistenziale e connotazione non trattamentale così opinando, si perverrebbe alla conclusione di una forma restrittiva della libertà personale che sarebbe espiativa di una pena ma priva di valore rieducativo, il che produrrebbe un immediato contrasto con il disposto di cui all’art. 27 Cost Dunque, la conclusione obbligata è quella per cui anche la detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord.Pen. non può non essere considerata quale misura alternativa, connotata da ragioni di cautela sociale ma improntata a finalità rieducative. Ma, di conseguenza, per costrutto logico oltre che per dato testuale, anche essa deve ritenersi rientrante nel novero delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, al quale fa riferimento il più volte citato D.L. n. 8 del 1991, art. 16 nonies, comma 8 ciò sia per la intrinseca natura dell’istituto quanto per la esplicita collocazione della norma che la prevede. Nella fattispecie, la situazione concreta si complica per il fatto che la detenzione domiciliare certamente misura alternativa può essere disposta anche di ufficio a fronte di una richiesta di solo differimento dell’esecuzione. Tanto premesso, se si optasse per una rigida separazione tra le due decisioni si giungerebbe ad una soluzione poco ragionevole, nel senso che vi sarebbe un procedimento in cui il giudice - ipotizzando sia quello del luogo di detenzione sarebbe competente sulla richiesta principale il differimento dell’esecuzione , ma non lo sarebbe su una opzione decisoria la detenzione domiciliare che rappresenta uno dei possibili esiti. In tal caso si dovrebbe ipotizzare che lì dove il giudice ratione loci non ritenga di accogliere la richiesta per cui è competente il mero differimento dell’esecuzione dovrebbe trasmettere gli atti a Roma per la valutazione della eventuale misura alternativa della detenzione domiciliare. Questa soluzione appare farraginosa. Ed ancora, la già citata sentenza Sez. 1, n. 8131 del 06/12/2017, Rv 272416, che propugna la competenza della magistratura di sorveglianza del luogo di detenzione, richiamava, a proprio fondamento, un principio espresso dalla sentenza Sez. 1, n. 43789 del 24/09/2015 Rv. 265252, la quale, occupandosi del differente istituto della liberazione anticipata richiesta da un collaboratore di giustizia, aveva attribuito al Magistrato di Sorveglianza individuato secondo le regole ordinarie art. 677 c.p.p. la competenza a concedere la riduzione della pena, affermando che, in siffatte ipotesi, non venivano in rilievo le esigenze organizzative e di sicurezza che erano alla base della disposizione di cui all’art. 16 nonies e non vi erano implicazioni relative alla valutazione sul regime di collaborazione con la giustizia. Tuttavia, proprio la medesima sentenza a pag. 2 distingue testualmente tra la concessione della liberazione anticipata e la concessione, tra le altre, della detenzione domiciliare poiché quest’ultima, a differenza della riduzione della pena, postula una più pregnante valutazione sull’attualità e sulla serietà del percorso seguito dal collaboratore di giustizia . Di conseguenza, un fondamento della pronunzia, rispetto alla quale si rileva qui il contrasto, già sottolineava che la detenzione domiciliare richiedeva un sostrato valutativo che, nel caso del collaboratore di giustizia, non poteva prescindere dalla valutazione del percorso collaborativo seguito ed allora va notato questo tipo di valutazione viene rimessa dalla normativa alla competenza unica della magistratura di sorveglianza di Roma, città nella quale il collaboratore di giustizia risulta domiciliato a norma del D.L. n. 8 del 1991, art. 12, comma 3-bis . 3. Reputa il Collegio che la competenza in merito al differimento dell’esecuzione deve restare unita a quella circa la concessione della detenzione domiciliare la quale, si ribadisce, può essere disposta d’ufficio in caso di richieste per motivi sanitari , poiché la scissione di questo binomio potrebbe condurre ai risultati paradossali già sopra evidenziati, con prolungamenti temporali per ragioni procedimentali proprio quando l’istanza fondata su ragioni di salute richiede invece una particolare celerità di trattazione. A questo proposito, va fatta menzione di un orientamento ormai prolungato e consolidato di questa Corte, secondo il quale tutti i benefici penitenziari richiesti dal collaboratore di giustizia devono essere decisi dalla Magistratura di Sorveglianza di Roma, sulla base della deroga di cui al citato art. 16 nonies e quindi anche ogni forma di detenzione domiciliare, sia perché richiamata espressamente da quest’ultima norma sia perché ricompresa tra le misure alternative . In questo senso possono citarsi diversi precedenti 1 Sez. 1, n. 1888 del 20/12/2005, Rv. 233571 Invero la competenza a provvedere in ordine a tutte le richieste dei soggetti che si trovino sottoposti a programma speciale di protezione ai sensi della L. 15 marzo 1991, n. 82 e succ. mod. spetta in ogni caso al Tribunale o al Magistrato di Sorveglianza indicato nell’art. 16 nonies della legge suindicata, comma 8, a prescindere dalla situazione in cui si trovino 2 Sez. 1 n. 45282 del 10/10/2013, Rv. 257319 che attribuiva alla competenza della magistratura di sorveglianza di Roma anche l’esecuzione presso il domicilio ex L. n. 199 del 2010, la quale certamente non è prevista dal menzionato art. 16 nonies, affermando che alla regola eccezionale di carattere inderogabile dell’attribuzione in via esclusiva alla competenza al Tribunale di Sorveglianza e del Magistrato di sorveglianza secondo le rispettive attribuzioni di Roma, ai fini istruttori e valutativi, delle richieste dei soggetti che si trovino sottoposti a programma speciale di protezione, ai sensi della L. n. 82 del 1991 e succ. mod., soggiace anche la misura prevista dalla L. n. 199 del 2010 e succ. mod., quando riguarda i medesimi soggetti, avuto riguardo alle sue caratteristiche di peculiare beneficio penitenziario e ai presupposti per la sua concedibilità, che ne rendono giustificata la soggezione alla medesima indicata regola 3 Sez. 1, n. 30740 del 11/07/2002, Rv. 222185 o Sez. 1, n. 14267 del 01/03/2006, Rv. 234090, le quali hanno sempre richiamato la ragione di questa deroga nello scopo di garantire un efficace coordinamento fra la magistratura di sorveglianza che decide sulle misure alternative e gli organi amministrativi che dispongono ed attuano le misure di protezione esigenza che sarebbe presente anche nella detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen., che prende il posto del mero rinvio dell’esecuzione per ragioni di salute . A ciò va aggiunto che sulla natura non meramente assistenziale della detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen. può citarsi il precedente Sez. 1, n. 12565 del 03/03/2015, Rv. 262301 Il tribunale di sorveglianza, ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ter Ord. Pen., può applicare, ex officio ed indipendentemente da una richiesta in tal senso dell’interessato, la misura della detenzione domiciliare, al fine di contemperare le esigenze del condannato, in relazione alla tutela della salute, e le esigenze della collettività, in relazione ai profili di sicurezza pubblica e il precedente Sez. 1, n. 656 del 28/01/2000, Rv. 215494 La possibilità di ammettere il condannato alla detenzione domiciliare per un periodo predeterminato e prorogabile quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena, prevista dalla L. n. 165 del 1998 come alternativa alla pura e semplice sospensione dell’esecuzione della pena, mira a soddisfare l’esigenza che, in determinati casi, valutabili secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, l’esecuzione della pena non venga sospesa, ma prosegua nella forma della detenzione domiciliare. Pertanto il tribunale di sorveglianza è chiamato a fare una duplice valutazione, e cioè deve dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per disporre il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell’esecuzione, qualora ricorrano ragioni particolari. In assenza dell’indicazione di un parametro legislativo al quale riferirsi, la valutazione del giudice deve avere riguardo a una qualsiasi ragione che abbia una certa pregnanza sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari età, condizioni di salute, esistenza o non di garanzie di affidabilità, pericolosità sociale, compatibilità degli interventi terapeutici con il regime carcerario e così via o sul piano della gravità e durata della pena da scontare . La normativa alla quale si è fatto riferimento ha stabilito una regola di determinazione della competenza del tutto particolare, sia con riferimento ai soggetti ai quali si applica sia con riferimento ai criteri applicabili, statuendo una competenza funzionale di natura inderogabile Sez. 1, n 18510/2010 Sez. 1, n 23874/2010 Sez. 1, n 29728/2011 . È, del resto, impropria la stessa qualificazione della competenza del Tribunale di Sorveglianza in termini di mera competenza territoriale questa Corte suprema di cassazione ha apprezzato e definito in termini di competenza funzionale inderogabile - epperò rilevabile anche di ufficio, in ogni stato del procedimento - quella dei giudici magistrato o tribunale della sorveglianza Sez. 1, n. 45714 del 08/11/2001, Rv. 220371 Sez. 1, Sentenza n. 16372 del 20/03/2015, Rv. 263324 , giacché essa si radica in virtù di un collegamento ordinamentale. 4. Sulla base di queste considerazioni la competenza generale nella magistratura di sorveglianza di Roma per i collaboratori di giustizia deve dunque costruirsi come una attribuzione di natura funzionale, che opera con vis attractiva non derogabile. Così, seppure è vero che il menzionato art. 16-nonies non contempla espressamente gli artt. 146 e 147 c.p., tuttavia esso include la detenzione domiciliare concessa anche per ragioni di salute, la quale invece nella sua struttura essenziale presuppone proprio le situazioni di fatto di cui ai menzionati artt. 146 e 147. Si potrebbe ritenere quindi che esso implichi concettualmente anche gli altri istituti, proprio per le ragioni per le quali il Legislatore ha inteso istituire una competenza speciale per i collaboratori di giustizia. Peraltro, in tema di tutela del diritto alla salute ogni interpretazione deve essere improntata al principio di effettività. Regola siffatta cederebbe a schemi di formalismo là dove si ritenesse che sulle due diverse domande si debbano applicare criteri di competenza e di collegamento diversi quindi va ribadito che non sarebbe logico e rispondente al sistema frantumare il tema da decidere rimettendo le decisioni a diversi giudici. Neppure può ignorarsi che, nella fattispecie, la richiesta di beneficio viene avanzata da un soggetto ammesso a programma di protezione. La domanda si qualifica, cioè, non per il solo petitum, ma anche per il soggetto che avanza la richiesta. Ed essa contiene a la richiesta espressa di differire l’esecuzione b la richiesta implicita sulla quale in ogni caso il giudice può provvedere d’ufficio di assicurare una forma di esecuzione diversa nel domicilio, salvaguardando criteri di solidarietà e umanità della pena. Per questo profilo immanente all’istanza principale è istituita una competenza di funzione inderogabile della magistratura di sorveglianza di Roma che attrae la decisione anche sul tema dedotto come principale. Ciò non per il contenuto oggettivo di essa domanda, ma per la qualità soggettiva di chi la prospetta. L’esame del dato testuale conforta questa conclusione. Infatti, il comma 1 ter dell’art. 47 ter Ord.Pen. richiama espressamente sia l’art. 146 che l’art. 147 c.p., istituendo così un collegamento non soltanto concettuale o logico tra le domande, ma di stretta valenza giuridica. L’inclusione di questa peculiare detenzione domiciliare nell’ambito del foro centrale , fa allora riferimento alle ipotesi di cui agli artt. 146 e 147 c.p. perché il menzionato comma 1 ter richiama espressamente quelle due norme e la relativa casistica, incorporandole nella valutazione di merito, con la conseguenza che il criterio derogatorio a favore della magistratura di sorveglianza di Roma si impone su ogni altra considerazione. Del resto, in ogni caso è preferibile ritenere che il criterio di competenza per funzione prevalga e abbia vis attractiva su tutte le domande, esplicite ed implicite ciò anche nei casi in cui l’istanza diretta o primaria sia disciplinata da un criterio di competenza ordinario, perché qui la domanda principale si collega necessariamente alla possibilità ed alla necessità di valutare in termini positivi o negativi anche l’altro tema e la misura alternativa della detenzione domiciliare per ragione di salute, la quale indubbiamente appartiene ad una competenza funzionale centrale. 5. Alla stregua delle considerazioni esposte, e con specifico riferimento alle fattispecie in esame, considerata la necessità di prevenire un potenziale contrasto in una materia nella quale - involgendo essa la tutela della salute va perseguita la celerità delle decisioni, il Collegio reputa doveroso provvedere rimettendo alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, la questione di diritto così riassumibile se, in tema di rinvio, necessario o facoltativo, dell’esecuzione della pena, la competenza a provvedere sull’istanza del detenuto, collaboratore di giustizia, appartenga al magistrato o al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta ai sensi dell’art. 677 c.p.p., comma 1, anche quando il condannato richieda, o il giudice ritenga comunque di applicare, la detenzione domiciliare in luogo del differimento, o se invece debba trovare applicazione la regola di cui al D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 16-nonies, comma 8, convertito dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, che prevede la competenza territoriale esclusiva del giudice di sorveglianza di Roma . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.