Detenuto in 41-bis: permanenza all’aria aperta e socialità non possono essere sovrapposte

Dagli artt. 12, 16 e 36 ord. pen. deve escludersi una sovrapposizione della permanenza all’aria aperta e della socialità, poiché così facendo verrebbero accomunate due differenti ipotesi la cui unica connotazione comune è lo stare al di fuori della stanza detentiva ma che in realtà si distinguono per le finalità specifiche perseguite.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18898/19, depositata il 6 maggio. La vicenda. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari rigettava il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia avverso il provvedimento con cui era stata disapplicata la circolare DAP del 02/10/2017 ordinando all’Amministrazione Penitenziaria di consentire ad un detenuto in regime di 41- bis di usufruire di almeno due ore d’aria ed un’ora di socialità, osservando che il diritto alla salute psico-fisica del detenuto non può essere irragionevolmente compromesso. Il Ministero, la Casa Circondariale ed il DAP propongono ricorso in Cassazione. Ricostruzione della disciplina e ratio. Richiamando gli artt. 12, 16 e 36 ord. pen. in tema di attività sociali, lavorative, educative in carcere e orari di permanenza all’esterno della cella a tali fini, il Collegio sottolinea che è possibile desumere in via sistematica che la sovrapposizione della permanenza all’aria aperta e della socialità costituisce un’operazione non corretta, poiché accomuna senza ragione due differenti ipotesi, la cui unica connotazione comune e cioè lo stare al di fuori della stanza detentiva mostra gli aspetti della irrilevanza ai fini che qui interessano . Ed infatti la permanenza all’aria aperta risponde espressamente alla finalità di contenimento degli effetti negativi della privazione della libertà personale, tanto che sono previste la valutazioni dei servizi sanitario e psicologico e tanto che essa deve perdurare almeno due ore al giorno e che la riduzione di essa ad una sola ora al giorno è resa possibile soltanto nel rispetto della rigida condizione della sussistenza di ragioni eccezionali poste alla base di un provvedimento motivato . In conclusione, per riprendere ancora una volta le parole dei Supremi Giudici, la permanenza del detenuto all’aria aperta risponde ad esigenze igienico-sanitarie, mentre lo svolgimento delle attività in comune in ambito detentivo è valorizzata nell’ottica di una tendenziale funzione rieducativa della pena, che non può essere del tutto pretermessa neppure di fronte ai detenuti connotati da allarmante pericolosità sociale, come appunto quelli sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41- bis ord. pen. . Per questi motivi, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 marzo – 6 maggio 2019, n. 18898 Presidente Boni – Relatore Michella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 13/09/2018 il Tribunale di Sorveglianza di Sassari rigettava il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Sassari del 24/04/20181 il quale aveva disapplicato la circolare del DAP del 02/10/2017 ed aveva ordinato all’Amministrazione Penitenziaria di consentire al detenuto M.A. di usufruire di due ore di aria e di almeno un’ora di socialità. Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che vi erano stati diversi provvedimenti che avevano disapplicato il D.M. n. di applicazione del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41 bis Ord.Pen. nella misura in cui prevedeva una sola ora d’aria per i ristretti a quel regime, poiché era stato distinto tra la permanenza all’aperto e la socialità tuttavia in seguito l’Amministrazione Penitenziaria aveva fornito, tramite circolari, un’interpretazione che nuovamente sosteneva l’equivalenza tra la permanenza all’aperto e la permanenza fuori dalla camera detentiva, così chiedendo ai ristretti in quel particolare regime di decidere se trascorrere integralmente le previste due ore all’aperto negli spazi esterni oppure se dividerle tra permanenza all’aperto e socialità la suddetta circolare del 02/10/2017 riproponeva il divieto di stare fuori dalla cella per oltre due ore, modificando la regolamentazione del passato, nel senso di lasciare scegliere al detenuto la modalità con cui intendeva trascorrere quel tempo. Osservava il Tribunale di Sorveglianza che l’art. 41 bis Ord.Pen. prevedeva che la permanenza all’aperto non potesse superare le due ore, ma che questo aspetto non andava confuso in modo generale con il tempo trascorso fuori dalla stanza detentiva, poiché la presenza all’aria aperta aveva una finalità prettamente volta a tutelare il benessere psico-fisico, tanto che l’art. 10 Ord.Pen. prevedeva che la permanenza all’aperto potesse essere ridotta ad un’ora soltanto per ragioni eccezionali e con provvedimento motivato diversamente, lo spazio temporale della socialità aveva la finalità di favorire interessi culturali e relazionali di conseguenza, la citata circolare ministeriale errava nell’equiparare i differenti concetti di permanenza all’aperto e di socialità , poiché l’intera normativa distingueva anche testualmente - tra quelle due diverse realtà anzi, il silenzio dell’art. 41 bis Ord.Pen. sulle limitazioni alle attività comuni comportava l’espansione della normativa ordinaria, la quale tende ad impedire la desocializzazione ogni interpretazione contraria era assertiva e non considerava che, in ogni caso, quella fruizione avveniva in termini molto ristretti, finendo per non avere giustificazione in termini di ragioni di sicurezza e per ampliare il disagio quindi si confermava la disapplicazione della menzionata circolare e l’affermazione del diritto alla permanenza per due ore all’aria aperta e del diritto alla socialità, la quale non andava computata in quelle due ore. 2. Avverso detta ordinanza propongono ricorso il Ministero della Giustizia, la Casa Circondariale di ed il DAP a mezzo dell’Avvocatura dello Stato. 2.1. Con il primo motivo deducono, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , apparenza di motivazione ed erronea applicazione di legge sostengono che l’art. 41 bis Ord.Pen., nell’indicare le due ore per la permanenza all’aperto, fissava un limite massimo e non un limite minimo. 2.2. Con il secondo motivo deducono, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , erronea applicazione di legge lamentano che la motivazione impugnata finiva per dare come scontato ciò che invece doveva dimostrare, richiamava l’art. 10 Ord.Pen., ma non anche il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 16, cui pure faceva riferimento. 2.3. Con il terzo motivo deducono, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , apparenza di motivazione, sostenendo che la limitazione della permanenza all’aperto ad un’ora giornaliera non confliggeva con le diverse finalità di detta attività con quella della socialità. 2.4. Con il quarto motivo deducono, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , apparenza di motivazione e erronea applicazione di legge sostengono che non poteva sostenersi che la durata maggiore della permanenza all’aperto non aggravava i rischi paventati dal regime di detenzione differenziata. 3. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Questa Corte ritiene, in aderenza al parere espresso dal P.G. in sede, che il ricorso debba essere rigettato poiché è infondato. Vanno quindi ribadite le ragioni di seguito esposte. 2. Va premesso che tutte le distinte doglianze degli enti ricorrenti si prestano ad una trattazione unitaria, poiché sono sostanzialmente incentrate sulla considerazione che il provvedimento amministrativo disapplicato non rappresenta un’illegittima compressione di quanto previsto dalla norma primaria e cioè l’art. 41 bis, lett. f, Ord.Pen. la quale, nel disporre la limitazione della permanenza all’aperto ad una durata non superiore alle due ore al giorno, costituirebbe un limite massimo e non anche un limite minimo. Ma si tratta di una doglianza infondata. Per come già scritto, ogni questione verte in merito al provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Sassari che il 24/04/2018 ha disapplicato la circolare del DAP del 02/10/2017 ed ha ordinato all’Amministrazione Penitenziaria di consentire al detenuto M.A. di usufruire di due ore di aria e di almeno un’ora di socialità. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha respinto il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia, osservando che il diritto alla salute psico-fisica del detenuto non può essere irragionevolmente compromesso attraverso una ulteriore afflizione del regime detentivo La decisione è corretta giova rammentare che l’art. 10 Ord.Pen. statuisce che ai soggetti che non prestano lavoro all’aperto è consentito di permanere almeno per due ore al giorno all’aria aperta. Tale periodo di tempo può essere ridotto a non meno di un’ora al giorno soltanto per motivi eccezionali . Non di meno, il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 16, statuisce che 1. Gli spazi all’aperto, oltre che per le finalità di cui all’art. 10 della legge, sono utilizzati per lo svolgimento di attività trattamentali e, in particolare, per attività sportive, ricreative e culturali secondo i programmi predisposti dalla direzione. 2. La permanenza all’aperto, che deve avvenire, se possibile, in spazi non interclusi fra fabbricati, deve essere assicurata per periodi adeguati anche attraverso le valutazioni dei servizi sanitario e psicologico, accanto allo svolgimento delle attività trattamentali, come strumento di contenimento degli effetti negativi della privazione della libertà personale. 3. La riduzione della permanenza all’aperto a non meno di un’ora al giorno, dovuta a motivi eccezionali, deve essere limitata a tempi brevi e disposta con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, che viene comunicato al provveditore regionale e al magistrato di sorveglianza . Va poi considerato che l’art. 12 Ord.Pen., nello stabilire che negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attività lavorative, di istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di ogni altra attività in comune , già delinea una linea di demarcazione tra le attività in comune cui vengono dedicati appositi spazi prettamente interni all’Istituto e le attività di permanenza all’aperto, cui sono dedicati spazi differenti. Parimenti, il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 36, nello stabilire gli ambiti del regolamento interno dell’Istituto di Pena, precisa che esso disciplina d gli orari di permanenza nei locali comuni e gli orari, i turni e le modalità di permanenza all’aperto , così tracciando plasticamente una differenziazione tra le due attività, quella di permanenza all’aria aperta e quella della c.d. socialità. Complessivamente, allora, si desume in via sistematica che la sovrapposizione della permanenza all’aria aperta e della socialità costituisce un’operazione non corretta, poiché accomuna senza ragione due differenti ipotesi, la cui unica connotazione comune e cioè lo stare al di fuori della stanza detentiva mostra gli aspetti della irrilevanza ai fini che qui interessano. Parimenti si desume che la permanenza all’aria aperta risponde espressamente alla finalità di contenimento degli effetti negativi della privazione della libertà personale, tanto che sono previste le valutazioni dei servizi sanitario e psicologico e tanto che essa deve perdurare almeno due ore al giorno e che la riduzione di essa ad una sola ora al giorno è resa possibile soltanto nel rispetto della rigida condizione della sussistenza di ragioni eccezionali poste alla base di un provvedimento motivato. Peraltro, va anche annotato che l’art. 41 bis Ord.Pen., comma 2 quater, nel prevedere alla sua lett. f che la sospensione di alcune regole del trattamento riguardi anche la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui all’art. 10, comma 1 , non prevede affatto una compressione in via generale di tale permanenza all’aperto, ma rinvia alla disciplina generale giacché è lo stesso art. 10 citato a prevedere che la permanenza all’aperto possa avvenire in gruppi . Tutto ciò non va sovrapposto alla c.d. socialità, termine che indica il tempo da trascorrere in compagnia all’infuori delle attività di lavoro o di studio la socialità, quindi, viene fatta nelle stanze detentive, all’ora dei pasti riunendosi in piccoli gruppi , oppure nelle apposite salette . 3. Si tratta, in altri termini, di due distinte situazioni che hanno differente finalità e che, anche nell’impianto normativo, non risultano fungibili tra di loro la permanenza del detenuto all’aria aperta risponde ad esigenze igienico-sanitarie, mentre lo svolgimento delle attività in comune in ambito detentivo è valorizzata nell’ottica di una tendenziale funzione rieducativa della pena, che non può essere del tutto pretermessa neppure di fronte ai detenuti connotati da allarmante pericolosità sociale, come appunto quelli sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. tanto è vero che questo stesso articolo prevede soltanto che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità , ma non che la socialità sia cancellata . Così, stabilito che il tempo per le attività in comune deve essere consentito senza incidenza sul diritto a fruire delle ore di permanenza all’aperto, va osservato che, nella fattispecie, la limitazione de qua era stata disposta con l’obbligo di una scelta che non rispondeva a ragioni eccezionali e specificate, ma soltanto in attuazione di una normativa interpretata in senso ingiustificatamente restrittivo. Reputa così il Collegio di dare continuità all’orientamento già espresso con la sentenza Sez. 1, n. 44609 del 27/06/2018, C., Rv 274026. Corretta è stata dunque l’ordinanza impugnata. 4. Il ricorso deve conseguentemente essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.