La comproprietà del box non vale a fondare la responsabilità penale per detenzione di stupefacenti

La Suprema Corte smentisce il precedente grado di giudizio riconoscendo una condotta di mera connivenza non punibile, e non di concorso nel reato, al fratello dell’imputato condannato per detenzione illecita di sostanze stupefacenti in un locale di proprietà di entrambi.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso proposto dall’imputato condannato per detenzione di sostanze stupefacenti con la sentenza n. 18015/19, depositata il 2 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma confermava la responsabilità penale dell’imputato per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990, per aver detenuto in concorso con il fratello delle piante di marijuana all’interno di un box situato nell’area ove insisteva l’azienda agricola di proprietà familiare. Avverso tale provvedimento, l’imputato propone ricorso dinanzi alla Corte Suprema, eccependo, in primo luogo, l’insussistenza di elementi di prova alla base del delitto contestato, deducendo a tal riguardo un travisamento della prova da parte dei Giudici, e in secondo luogo, contestando la configurabilità del concorso del fratello, poiché questi non aveva contribuito in alcun modo alla sua azione delittuosa. Ubicazione della droga e responsabilità penale. I Giudici di legittimità accolgono il ricorso. Quanto al primo motivo prospettato dall’imputato, è importante osservare come la Corte d’Appello sia giunta alla condanna penale del fratello dell’imputato in virtù del luogo in cui sono state rinvenute le piante, ovvero in un box situato su un terreno di proprietà familiare, che si presumeva abitualmente frequentato dallo stesso per motivi lavorativi, risultando, poi, dal verbale di perquisizione che le piante si trovavano in realtà in un box differente. Ora, nonostante la Corte smentisca l’assunto travisamento della prova mediante lettura della stessa sentenza impugnata, comunque evidenzia l’illogicità del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello nell’affermare la concorrente responsabilità del fratello dell’imputato esclusivamente sulla base dell’ubicazione delle sostanze stupefacenti. Concorso nel reato o connivenza non punibile? Relativamente al secondo motivo, la Corte opera una distinzione tra il concorso nel reato commesso da altro soggetto e la connivenza non punibile, affermando che chiunque coabiti con l’autore del reato di spaccio di stupefacenti ne risponde a titolo di concorso laddove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, mentre non ne risponde ove si sia limitato a conoscere tale attività. Per la punibilità del concorrente è, dunque, necessario un contributo causale in termini di agevolazione della condotta delittuosa. In conclusione, la Corte di Cassazione esclude il concorso del fratello convivente ex art. 110 c.p., poiché egli aveva tenuto un comportamento negativo ed inerte, limitandosi ad assistere in modo passivo alla realizzazione del reato, senza ostacolarlo ma senza nemmeno facilitarlo mediante contributo morale o materiale, presupposto necessario affinché possa configurarsi il reato di concorso all’altrui attività criminosa. Per questo motivo, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata viene annullata con rinvio a nuovo giudizio di fronte alla Corte d’Appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 febbraio – 2 maggio 2019, n. 18015 Presidente Aceto – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1.Con sentenza in data 5.6.2018 la Corte di Appello di Roma ha confermato, per quanto qui interessa, la penale responsabilità di D.P.S. per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4 per aver detenuto in concorso con il fratello O. 102 piante di marijuana rinvenute, appese ad essiccare, all’interno di un box, ubicato nell’area di proprietà della famiglia dove insisteva un’azienda agricola, un’officina meccanica, nonché le abitazioni dei due coimputati ed ha rideterminato la pena rispetto a quella inflittagli dal giudice di primo grado, stante la contestuale assoluzione dai restanti reati di cui all’imputazione, ad un anno e quattro mesi di reclusione, confermando altresì la confisca dei beni in sequestro, compreso il cellulare del medesimo. 2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Con il primo motivo eccepisce, in relazione al vizio motivazionale, l’insussistenza di elementi probatori a fondamento del delitto contestato per avere i giudici di appello, pur riconoscendo la vastità dell’area nella disponibilità dei due fratelli ed escludendo che il messaggio rinvenuto sul cellulare dell’imputato fosse riferibile alla detenzione di droga, ritenuto erroneamente un collegamento tra il luogo in cui erano state rinvenute le piante di marijuana ad essiccare ed il prevenuto. Deduce al riguardo il travisamento della prova per avere i giudici di appello affermato che il box contenente le piante in questione fosse ubicato all’interno del recinto nel quale era presente il gregge di pecore di cui si occupava l’imputato, laddove, invece, risultava dal verbale di perquisizione e di sequestro che gli esemplari di cannabis fossero stati rinvenuti all’interno di un box posto nei pressi del recinto di alcuni capi di ovini l’insussistenza, smentita dagli atti processuali, della premessa fattuale su cui è stato fondato il giudizio di colpevolezza, unitamente all’inconsistenza della tesi secondo cui D.P.S. conduceva al pascolo il gregge nell’area facente parte dell’azienda agricola familiare, priva di riscontri, e all’irrilevanza dell’ubicazione dell’abitazione del prevenuto in detta area attesa la vastità della stessa non consentono di ritenere logicamente motivata la pronuncia di condanna. 2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 110 c.p. e al vizio motivazionale, la configurabilità del concorso con il fratello difettando i presupposti per la ravvisabilità di un contributo causale apportato dall’imputato all’azione delittuosa, di cui D.P.O. si era addossato la responsabilità esclusiva la condotta meramente passiva di S. di mancata opposizione alla detenzione della droga da parte del fratello, poteva rivestire soltanto gli estremi della connivenza non punibile, non essendo la frequentazione da parte di costui di detti luoghi sufficiente ad integrare un contributo neppure morale alla causazione del reato. 2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 240 c.p., comma 1 e al vizio motivazionale, l’illegittimità della confisca del telefono cellulare in mancanza di un legame strumentale di carattere continuativo tra l’apparecchio dell’imputato ed il reato ascrittogli, tale da rivelare un’effettiva probabilità di reiterazione dell’attività delittuosa, legame che peraltro risulta essere stato già escluso alla radice dalla Corte di Appello con l’affermazione secondo cui il messaggio telefonico scambiatosi trai due fratelli sarebbe del tutto neutro rispetto al delitto contestato. Considerato in diritto I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi alla riconducibilità del fatto criminoso all’imputato, devono ritenersi fondati nei termini di seguito indicati. Sebbene l’assunto travisamento della prova da cui muove la censura difensiva risulti smentito dalla lettura della stessa impugnata che, al di là della descrizione riassuntiva del verbale di sequestro, collega la detenzione delle piante di marijuana all’imputato alla circostanza che le stesse siano state rinvenute all’interno di un box insistente sul terreno agricolo facente parte dell’azienda familiare, è tuttavia proprio l’ubicazione del manufatto, così come accertata dai giudici di appello, che evidenzia l’illogicità del ragionamento seguito in ordine alla concorrente responsabilità dell’imputato nella realizzazione del reato di cui il fratello si è addossato l’esclusiva responsabilità ed è stato definitivamente condannato. Va premesso che in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015 - dep. 20/08/2015, Caradonna, Rv. 264454 Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015 - dep. 13/10/2015, Rapushi, Rv. 265167 . La declinazione di tali principi al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprietà o nel possesso in comune con chi è incontroverbilmente dedito al traffico di stupefacenti, si interseca con la necessità di individuare il limite che il godimento comune dell’immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione della droga, non essendo configurabile a carico del comproprietario o codetentore alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p È stato ripetutamente affermato, nella similare ipotesi di convivenza all’interno dello stesso immobile, che colui che coabiti con il soggetto autore di attività di spaccio di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività Sez. 3, n. 9842 del 10/12/2008, Gentiluomini, Rv. 242996 , essendo necessario, quindi, un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, non integrato dalla semplice conoscenza o anche dall’adesione morale, che si traduca nell’assistenza inerte e priva di iniziative all’altrui condotta delittuosa. Si ritiene perciò escluso il concorso del convivente ex art. 110 c.p. in ipotesi di semplice comportamento negativo ed inerte di quest’ultimo che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo la esecuzione, giacché il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015 - dep. 13/10/2015, Rapushi e altro, Rv. 265167 Sez. 3, n. 9842 del 10/12/2008 - dep. 04/03/2009, Gentiluomini, Rv. 242996 . . Di contro, per la configurazione del concorso, occorre un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza della detenzione delle sostanze stupefacenti da parte del convivente e, dunque, una volontà di adesione all’altrui attività criminosa, ad integrare la quale è sufficiente una qualsiasi forma agevolativa della detenzione, che può manifestarsi nelle modalità più varie, comprendenti anche soltanto l’occultamento ed il controllo della droga custodita nell’immobile comune, così da assicurare all’agente una certa sicurezza, ovvero garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione su cui questi, in caso di bisogno, può contare, e comunque rivelatrice di un previo accordo sulla detenzione. Nella specie l’ubicazione del box all’interno dell’azienda agricola di comproprietà dei due fratelli non consente di riferire la detenzione della marijuana ivi rinvenuta al ricorrente, nè la Corte capitolina chiarisce sulla base del materiale probatorio esaminato, tenuto conto della ritenuta non riconducibilità del messaggio trasmesso via cellulare a costui dal germano, in cosa sia consistito il contributo causale da costui fornito all’azione criminosa definitivamente accertata nei confronti del fratello. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, restando il terzo motivo assorbito, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che dovrà procedere a nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.P.S. e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.