Guida in stato di ebbrezza estinto ma riportato sul casellario: questione rimessa alla Consulta

E’ rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 27 Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 24, comma 1, e 25, comma 1, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti” , nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale, richiesti dall’interessato, non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 186 c.d.s., dichiarato estinto ex art. 186, comma 9-bis, c.d.s. per positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Questo il pronunciamento reso dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 17270/19, depositata il 19 aprile. La questione prospettata. Il Tribunale, in qualità di giudice del casellario ex art. 40 d.P.R. n. 313/2002, rigettava l’istanza formulata da una donna, preordinata ad ottenere la cancellazione dai certificati generale e penale, richiesti dalla medesima ex art. 24 e 25 dello stesso decreto menzionato, della sentenza definitiva per il reato di guida in stato di ebbrezza, dichiarato estinto all’esito del positivo svolgimento dei lavori di pubblica utilità, ai sensi dell’articolo 186, comma 9- bis, c.d.s. La donna ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato e lamentando che il giudice di merito avesse ignorato l’interpretazione analogica in bonam partem , prospettata dalla stessa ricorrente, degli articoli 24 e 25 del summenzionato d.P.R., e relativi a fattispecie non iscrivibili tra le cause estintive del reato o della pena e, in ogni caso. Indica, inoltre, questione di costituzionalità dei medesimi articoli citati, nella parte in cui non prevedono la non iscrivibilità, nel certificato generale e penale, delle sentenze per reati dichiarati estinti ai sensi del comma 9- bis dell’art. 186 del codice stradale. La non irrilevanza e la non manifesta infondatezza. Il Collegio romano, condividendo la tesi difensiva, ha ritenuto non irrilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 24, comma 1, e 25, comma 1, d.P.R. n. 313/2002, anche nella versione normativa anteriore alle modifiche, peraltro non ancora efficaci, ad opera del d.lgs. n. 122/2018, contrastando con gli artt. 3 e 27 della carta costituzionale, nella parte ove non prevedono che nel certificato generale, come pure nel certificato penale, del casellario giudiziario, richiesti ad opera dell’interessato, non siano riportate le iscrizioni della pronuncia di condanna per il reato di guida in stato di ebrezza, dichiarato estinto ai sensi del comma 9- bis dell’art. 186 c.d.s., per esito positivo del lavoro di pubblica utilità. Più in dettaglio, il provvedimento che condanna alla sanzione sostitutiva, è iscrivibile in virtù dell’art. 3 dello stesso d.P.R., pertanto compare nel certificato rilasciato a richiesta dell’autorità giudiziaria, in conformità del disposto di cui all’art. 21 del medesimo decreto. Viene inoltre precisato che la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere svolta soltanto a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia, spettando il giudice dell’esecuzione accertare lo svolgimento del lavoro sostitutivo e, in tal modo, procedere alla declaratoria di estinzione del reato. Inoltre, l’iscrizione in questione non rientra tra quelle che risultano escluse dalla certificazione rilasciata a richiesta dell’interessato, non essendo ricompresa nell’elencazione, di natura tassativa, delle iscrizioni eccettuate. Articolo 3 della Costituzione. Con riferimento al canone costituzionale contemplato all’art. 3, il collegio di legittimità evidenzia che per la generalità delle fattispecie in cui si è ottenuta la riabilitazione, sussiste la possibilità di usufruire della non menzione della condanna nei certificati, mentre, al contrario, nell’ipotesi di provvedimenti relativi all’estinzione ex art. 186 comma 9-bis, c.d.s., risulta esclusa. Secondo il Collegio romano, quella rappresentato costituisce un profilo di non manifesta infondatezza con riferimento all’irragionevolezza. Parimenti, la posizione del soggetto che, dopo aver positivamente posto in essere il lavoro sostitutivo, abbia ottenuto la declaratoria distinzione, ai sensi dell’articolo 186, comma 9- bis , c.d.s., appare trattata in modo deteriore rispetto a quella di colui che, avendo ottenuto la sospensione condizionale della pena, si limiti ad attendere il decorso del tempo occorrente a sfociare nell’estinzione del reato. Art. 27 della Costituzione. Il Collegio rammenta che la Consulta, nel 2018, ha dichiarato l’illegittimità di artt. 24 comma 1, e 25 comma 1, in questione, nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale, richiesti dall’interessato, non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato art. 464- quater c.p.p. e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato art. 464- septies c.p.p. . Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nella pronuncia n. 91 del 2018, la sospensione del procedimento con messa alla prova persegue scopi speciali preventivi in una fase anticipata, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto. In tale prospettiva, l’istituto è parte integrante del sistema sanzionatorio penale, condividendo con la declaratoria di estinzione, di cui al comma 9- bis dell’art. 186 c.d.s., la base consensuale del procedimento ed il trattamento che ne consegue. Discende pertanto che l’istituto in esame può essere contemplato nel finalismo rieducativo che l’art. 27, comma 3, Cost., ascrive all’intero apparato sanzionatorio penale. La novella del 2018. Al contempo il Collegio romano ha osservato che le modifiche di cui al d.lgs. n. 122/2018, peraltro operative a decorrere dall’ottobre 2019, non rilevano nel caso di specie, non essendo stata prevista, dalla menzionata novella, la soppressione dell’iscrizione nel casellario, come pure della menzione nel certificato generale del casellario, della sentenza che condanna al reato per guida in stato di ebrezza, conclusasi con declaratoria di estinzione del reato ai sensi del comma 9- bis , per esito positivo del lavoro di pubblica utilità. Interpretazione analogica in bonam partem. Circa la prospettata interpretazione analogica in bonam partem , per gli Ermellini non risulta praticabile, essendo quelle indicate dalla legge eccezioni alla più generale regola secondo cui tutti i provvedimenti iscritti nel casellario vanno riportati nei relativi certificati, essendo quindi deroghe tassative non suscettibili di estensione analogica ai sensi dell’art. 14, comma 2, delle preleggi al codice civile.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 7 marzo – 19 aprile 2019, n. 17270 Presidente Sandrini – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Bologna, giudice del casellario D.P.R. n. 313 del 2002, ex art. 40, ha rigettato l’istanza di F.M. volta a ottenere la cancellazione dai certificati generale e penale, richiesti dall’interessata ex artt. 24 e 25 del medesimo decreto, della sentenza pronunciata dal Tribunale di Ravenna in data 13 marzo 2013 irrevocabile il 17/5/2013 per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., dichiarato estinto all’esito dello svolgimento positivo dei lavori di pubblica utilità ex art. 186, comma 9 bis, dello stesso codice. 2. Ricorre F.M. , a mezzo del difensore avv. Marziano Ponti, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione, avendo il Giudice erroneamente escluso di procedere all’interpretazione analogica in bonam partem prospettata dalla difesa del disposto di cui al D.P.R. n. 313 del 2002, artt. 24 e 25, relativi a ipotesi di non iscrivibilità per cause estintive del reato o della pena sovrapponibili alla presente e, comunque, non motivato in relazione alla questione di costituzionalità degli artt. 24 e 25, stesso decreto nella parte in cui non prevedono la non iscrivibilità nel certificato generale e in quello penale richiesti dall’interessato delle sentenze per reati dichiarati estinti ex art. 186 C.d.S., comma 9 bis. Considerato in diritto 1. Non è irrilevante e manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, art. 24, comma 1, e art. 25, comma 1, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti Testo A , anche nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui alla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, commi 18 e 19 , per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 186 C.d.S. che sia stato dichiarato estinto ex art. 186 C.d.S., comma 9 bis, per positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. 2. Va premesso che il provvedimento che condanna alla sanzione sostitutiva è iscrivibile D.P.R. n. 313 del 2002, ex art. 3, sicché risulta dal certificato rilasciato a richiesta dell’autorità giudiziaria a mente dell’art. 21 del decreto. In proposito la giurisprudenza di legittimità ha affermato l’estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità, presupponendo l’avvenuto accertamento del fatto, non impedisce al giudice di valutarlo in un successivo processo quale precedente specifico ai fini del giudizio circa la recidiva nel biennio , prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c Sez. 4, n. 1864 del 07/01/2016, Oberoffer, Rv. 265583 - 01 . 2.1. D’altra parte, la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere eseguita soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza Sez. 4, n. 54985 del 24/10/2017, Di Cola, Rv. 271658 - 01 , spettando al giudice dell’esecuzione - da individuarsi in quello che ha pronunciato la sentenza - di accertare lo svolgimento del lavoro sostitutivo e procedere alla declaratoria di estinzione del reato e alla riduzione alla metà della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida e alla revoca della confisca del veicolo, ove disposta . 2.2. Ciò premesso, l’iscrizione in questione non rientra tra quelle che, a norma del D.P.R. n. 313 del 2002, artt. 24 e 25, sono escluse dalla certificazione rilasciata a richiesta dell’interessato, poiché non è compresa nell’elencazione tassativa di eccettuazione ivi prevista. 3. Il provvedimento impugnato, che ha rigettato la richiesta di eliminazione dell’iscrizione dal certificato rilasciato a richiesta dell’interessato, appare coerente con il dato normativo perché il Giudice del casellario ha affermato come già nella precedente ordinanza del Tribunale di Ravenna in data 15/1/2015 che era stata annullata per difetto di competenza funzionale con sentenza Sez. 1, n. 10463 del 01/12/2016 dep. 2017, F. , Rv. 269550, Rv. 269551 l’iscrivibilità D.P.R. n. 313 del 2002, ex art. 3, della sentenza di condanna e della successiva declaratoria di estinzione del reato ex art. 186 C.d.S., comma 9 bis, e la non eliminazione dell’iscrizione stessa ex art. 5, del citato decreto nonché l’obbligo di riportare nei certificati generale e penale del casellario oggetto dell’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione la sentenza di condanna in questione ex artt. 24 e 25 del medesimo decreto. 3.1. Al riguardo deve osservarsi, come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, che nessuna delle modifiche apportate dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 122, peraltro operanti decorso un anno dalla pubblicazione nella G.U. avvenuta il 26/10/2018 e comunque non applicabili nel caso di specie al D.P.R. n. 313 del 2002, riveste rilievo per l’istanza della ricorrente, non essendo stata prevista dalla novella l’eliminazione della iscrizione nel casellario e della menzione nel certificato generale del casellario ora unico ex art. 24 della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., conclusasi con declaratoria di estinzione del reato ex art. 186, comma 9 bis, per lo svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, disposto in sostituzione della pena detentiva e pecuniaria irrogate. Parimenti appare corretta l’affermazione della non praticabilità della sollecitata interpretazione analogica in bonam partem del disposto dell’art. 24, comma 1, lett. b e lett. e , e art. 25, comma 1, lett. b e lett. e - disposizioni relative alla non menzione dei reati estinti ex art. 167 c.p., e art. 445 c.p.p. -, essendo quelle indicate eccezioni alla regola generale per cui tutti i provvedimenti iscritti nel casellario vanno riportati nei certificati e quindi deroghe tassative, insuscettibili di estensione analogica, in virtù del criterio ermeneutico di cui all’art. 14 preleggi, comma 2. 4. Rispetto alle censure formulate in relazione all’art. 3 Cost., occorre osservare come l’implicito obbligo di includere i provvedimenti relativi all’art. 186 C.d.S., quando sia stato dichiarato estinto il reato per positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità nei certificati del casellario richiesti da privati, possa risolversi in un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato, rispetto a coloro che - aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità - beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati. Rispetto al patteggiamento, la Corte costituzionale ha avuto modo di qualificare il beneficio ex lege della non menzione delle sentenze ex art. 444 c.p.p. e ss., nel certificato del casellario giudiziale come un incentivo finalizzato a indurre l’imputato a pervenire sollecitamente alla definizione del processo sentenza n. 223 del 1994 . Poiché, tanto la declaratoria di estinzione della sanzione sostitutiva di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, quanto il patteggiamento, costituiscono procedimenti diretti ad assicurare all’imputato un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario sentenza n. 91 del 2018 , non è manifestamente infondata la questione della irragionevolezza della disposizione laddove il beneficio della non menzione viene riconosciuto ex lege a chi si limiti a concordare con il Pubblico ministero l’applicazione di una pena sulla base di un provvedimento equiparato a una sentenza di condanna, salve le eccezioni previste dalla legge art. 445 c.p.p., comma 1 bis , e non - invece - a chi ottenga la declaratoria di estinzione del reato oggetto di condanna penale attraverso un percorso che comporta l’adempimento di una serie di condotte in favore della collettività, per effetto di una scelta volontaria, e con esiti oggettivamente e agevolmente verificabili e ciò nella medesima ottica di risocializzazione cui avrebbe dovuto tendere la pena, qualora il reato non fosse stato dichiarato estinto. Inoltre, mentre per la generalità dei casi esiste la possibilità di beneficiare della non menzione della condanna nei certificati qualora si sia ottenuta la riabilitazione art. 24, comma 1, lett. d , e art. 25, comma 1, lett. d , del T.U. casellario , nel caso dei provvedimenti relativi alla estinzione ex art. 186 C.d.S., comma 9 bis, essa è per definizione esclusa. Il che costituisce un ulteriore profilo di non manifesta infondatezza della dedotta irragionevolezza. 4.1. Analogo non manifestamente infondato dubbio di costituzionalità in relazione all’art. 3 Cost., emerge in relazione alla diversa regolamentazione delle condanne per reati estinti a norma dell’art. 167 c.p., comma 1 che non vengono iscritti nel certificato penale rilasciato al privato art. 24, comma 1, lett. b , e art. 25, comma 1, lett. b . Si tratta, in effetti, di una disposizione che esclude dalla certificazione i reati per i quali vi è stata condanna, ma che si estinguono all’esito del periodo di osservazione biennale per le contravvenzioni e quinquennale per i delitti di cui all’art. 163 c.p Sotto il profilo dell’indicato parametro di uguaglianza, infatti, non è manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità tenuto presente, d’un canto, la natura contravvenzionale del reato di cui all’art. 186 C.d.S. e, dall’altro, che la dichiarazione di estinzione consegue all’accertamento giudiziale dell’adempimento della sanzione sostitutiva, sicché risulta specificamente verificato, rispetto alla sospensione condizionale, l’avveramento della condizione apposta dalla legge per l’estinzione del reato. In sostanza, la posizione del soggetto che, dopo avere positivamente svolto il lavoro sostitutivo, ha ottenuto la declaratoria di estinzione ex art. 186 C.d.S., comma 9 bis, è trattata in modo deteriore rispetto a quella di colui che, avendo ottenuto la sospensione condizionale della pena, si limiti ad attendere il decorso del tempo necessario a determinare l’estinzione del reato. 4.2. Non manifestamente infondate sono, altresì, le questioni sollevate in relazione all’art. 27 Cost., comma 3. Va rilevato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 231 del 2018, ha dichiarato l’illegittimità del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, artt. 24, comma 1, e art. 25, comma 1, citati, nel testo anteriore alle modifiche - non ancora efficaci - recate dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui alla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, commi 18 e 19 , nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464 quater c.p.p., e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464 septies c.p.p Come affermato anche da una recente sentenza delle Sezioni unite dalla Corte di cassazione n. 91 del 2018 , la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce istituto che persegue scopi special-preventivi in una fase anticipata, in cui viene infranta la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto . In tale ottica, l’istituto - al quale va riconosciuta una dimensione processuale e, assieme, sostanziale - costituisce parte integrante del sistema sanzionatorio penale, condividendo con la declaratoria di estinzione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, la base consensuale del procedimento e del trattamento che ne consegue. L’istituto non può, pertanto, che essere attratto dal finalismo rieducativo che l’art. 27 Cost., comma 3, ascrive all’intero sistema sanzionatorio penale. Le ragioni che la Consulta ha posto a fondamento della declaratoria di incostituzionalità delle norme che non prevedono la non menzione, nei certificati rilasciati a richiesta degli interessati, delle sentenze dichiarative dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova ex art. 464 septies c.p.p., fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 122 del 2018 che tale divieto di menzione ha espressamente previsto , si attagliano dunque in modo puntuale alla fattispecie in esame dell’estinzione del reato di cui all’art. 186 C.d.S., conseguente all’analoga prestazione, da parte dell’imputato, di un’attività non retribuita in favore della collettività che sia funzionale all’emenda e alla risocializzazione, il cui positivo esperimento non giustifica più lo strascico pregiudizievole rappresentato dalla menzione del reato estinto nei certificati rilasciati dal casellario, allo stesso modo dell’esito positivo della prova ammessa ai sensi dell’art. 464 quater, del codice di rito. La menzione dei provvedimenti concernenti la declaratoria di estinzione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, nei certificati richiesti dai privati appare disfunzionale rispetto a tale obiettivo, costituzionalmente imposto. La menzione relativa risulta, anzi, suscettibile di risolversi in un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, lo svolgimento del lavoro sostitutivo, creandogli - in particolare - più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti, dal momento che l’esigenza di garantire che la declaratoria di estinzione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, non sia concessa più di una volta ultimo periodo della disposizione dianzi citata è già adeguatamente soddisfatta dall’obbligo di iscrizione dei menzionati provvedimenti e della loro indicazione nel certificato ad uso del giudice rispettivamente art. 3, comma 1, lett. a , e art. 21, comma 1, del T.U. casellario giudiziale . Non v’è invece alcuna ragione plausibile perché si debba menzionare anche sui certificati richiesti dai privati - con gli effetti pregiudizievoli di cui si è detto -, a carico di un soggetto che ha ottenuto la declaratoria di estinzione del reato. D’altra parte, una volta che il processo si sia concluso con l’estinzione del reato per effetto dell’esito positivo del lavoro sostitutivo, la menzione della vicenda processuale ormai definita contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di estinzione del reato, che comporta normalmente l’esclusione di ogni effetto pregiudizievole - anche in termini reputazionali - a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto. 5. Le considerazioni esposte impongono di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, art. 24, comma 1, e art. 25, comma 1, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti Testo A , anche nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui alla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, commi 18 e 19 , nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., che sia stato dichiarato estinto ex art. 186 C.d.S., comma 9 bis, per positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. A norma dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, deve essere dichiarata la sospensione del presente procedimento, con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La Cancelleria, infine, provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. P.Q.M. visto la L. n. 87 del 1953, art. 23, dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione relativa alla legittimità costituzionale del D.P.R. n. 313 del 2002, artt. 24 e 25, in relazione al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 9 bis, per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Sospende il giudizio e ordina la notificazione alla ricorrente e al Procuratore generale presso questa Corte, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, a cura della cancelleria.