Telefonate e squilli a ripetizione: lo scherzo vale una condanna

Singolare vicenda in Abruzzo. Punito con 200 euro di ammenda la presa in giro messa in atto da un uomo nei confronti di una sua conoscente e consistita nel tempestarla di telefonate e di semplici squilli, di giorno e di notte.

Può costare carissimo uno scherzo telefonico A constatarlo sulla propria pelle un uomo, ritrovatosi condannato a pagare 200 euro di ammenda per le telefonate – anonime e, spesso, mute – e i semplici ‘squilli’ effettuati sul cellulare di una sua conoscente. Il comportamento da lui tenuto è catalogabile, secondo i Giudici, come una “molestia” in piena regola. E questa valutazione non può essere messa in discussione sol perché la vicenda si è rivelata una stupida presa in giro tra amici Cassazione, sentenza numero 13363/19, sez. I Penale, depositata oggi . Tabulati. Scenario della vicenda è un piccolo paese in Abruzzo. Lì, tra marzo e maggio del 2015, una donna – Paola, nome di fantasia – viene ‘bombardata’ di telefonate la suoneria del suo cellulare squilla a ripetizione, di giorno e di notte, a qualsiasi ora. Alcune volte si tratta solo di fastidiosi squilli, altre volte di vere e proprie chiamate, anonime – quindi, impensabile identificare il numero – e mute – impossibile provare a riconoscere la voce della persona all’altro capo del telefono –. L’iniziale fastidio provato nei primi giorni diventa col passare del tempo un vero e proprio terrore. Così Paola decide di denunciare quanto sta accadendo alle forze dell’ordine, segnalando minuziosamente giorno e orario delle telefonate ricevute. E questi dettagli consentono agli inquirenti di ‘leggere’ con attenzione i tabulati relativi al suo numero di cellulare e di arrivare all’identificazione dell’autore delle telefonate e degli squilli si tratta di Francesco – altro nome di fantasia –, cioè un amico di Paola, come dirà lei stessa, capendo che è stata vittima di uno scherzo. Il quadro è quindi chiarissimo, e così l’amico di Paola finisce sotto processo e viene condannato in Tribunale a «200 euro di ammenda» per il reato di «molestia telefonica». Scherzo. Immaginabile la reazione di Francesco, che mal digerisce la condanna e la contesta in Cassazione, evidenziando, soprattutto, che «i contatti telefonici erano consistiti in un mero scherzo tra amici», come confermato dalla stessa Paola. Allo stesso tempo, Francesco pone in evidenza anche il fatto che dalle parole della sua amica emergeva che ella non aveva subito «alcuna interferenza nella sua libertà» né era stata costretta ad «alcuna mutazione delle sue condizioni di vita» in conseguenza delle telefonate ricevute. Queste osservazioni però non sono sufficienti, ribattono i Giudici del Palazzaccio, per mettere in discussione la condanna pronunciata in Tribunale. Decisiva è innanzitutto la considerazione che «il reato consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone» e, quindi, «l’intento scherzoso» dell’autore della molestia – telefonica, in questo caso – è assolutamente irrilevante, osservano i magistrati. Ciò che conta è che il comportamento molesto sia «connotato dalla petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente, che finisce per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone». Ebbene, in questa vicenda, non vi sono dubbi sul «persistente turbamento» arrecato a Paola a seguito delle «telefonate, mute e anonime, effettuate, anche di notte, sulla sua utenza telefonica». Così come è certo che «anche i semplici squilli» possono essere idonei a «cagionare turbamento e molestia». Questa visione non può essere messa in discussione, concludono i giudici della Cassazione, alla luce del fatto che Paola «si era tranquillizzata dopo avere scoperto l’identità dell’autore» delle telefonate.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 dicembre 2018 – 27 marzo 2019, numero 13363 Presidente Di Tomassi - Relatore Fiordalisi Ritenuto in fatto 1. Sc. Pi. ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano del 3 novembre 2017, con la quale è stato condannato alla pena di Euro 200,00 di ammenda, in ordine al delitto di molestia e disturbo alle persone, ai sensi dell'articolo 660 cod. penumero , perché, per mezzo del telefono e per biasimevole motivo, recava molestia a Fe. Di Vi., effettuando numerosissime telefonate, di giorno e di notte, molte delle quali pervenivano sul cellulare della stessa e risultavano mute e anonime. Fatto accertato in Atessa dal marzo al maggio 2015. 2. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che l'imputato, che aveva già riportato condanne penali per fatti analoghi, era stato identificato grazie all'acquisizione dei tabulati della persona offesa, la quale impaurita aveva denunciato in modo preciso gli orari in cui erano pervenute le telefonate moleste al proprio cellulare. Gli squilli reiterati e le telefonate, pur essendo mute, avevano creato turbamento emotivo nella persona offesa. Per il giudice di merito, Fe. Di Vi., infatti, aveva reso una dettagliata testimonianza, manifestando uno stato di «sofferenza» anche nel corso della deposizione. 3. Denuncia il ricorrente illogicità della motivazione in presenza di elementi trascurati dal giudicante, nonché violazione e falsa applicazione dell'articolo 660 cod. penumero , perché il Tribunale non avrebbe considerato che, dalla lettura della deposizione testimoniale della persona offesa, non si evince un'interferenza nella sua libertà, né alcuna mutazione delle sue condizioni di vita conseguente alla ricezione delle telefonate. Non risulterebbe, altrimenti, la prova di un grave disagio psichico o di un giustificato timore per la propria sicurezza, come richiesto dall'articolo 660 cod. penumero Il ricorrente lamenta, altresì, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'articolo 131 bis cod. penumero , essendo stato dimostrato che i contatti telefonici erano consistiti in un mero scherzo tra amici, circostanza che sarebbe stata confermata dalla stessa persona offesa nel corso della deposizione. Considerato in diritto 1. Giova premettere che il reato di molestie o di disturbo alla persona mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l'ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata onde l'interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, cosicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate Sez. 1, numero 32165 del 27/06/2014, Terzi, Rv. 261234 . Il reato in oggetto consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell'altrui vita privata e nell'altrui vita di relazione Sez. 1, numero 8198 del 19/01/2006, Paolini, Rv. 233438 . In particolare, ai fini della sussistenza del reato de quo, gli intenti scherzosi o persecutori dell'agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone. 2. La Corte ritiene infondato il ricorso, perché il giudice di merito, indipendentemente dalle affermazioni della persona offesa che si era tranquillizzata dopo aver scoperto - grazie alle indagini di polizia giudiziaria svolte - l'identità dell'autore del fatto, ha evidenziato il persistente turbamento della stessa persona offesa da marzo ad aprile 2015, per le modalità della condotta posta in essere, consistita in telefonate mute e anonime, effettuate anche in tempo di notte sulla sua utenza telefonica. Sicché, correttamente il Tribunale ha fatto applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, per i quali anche i semplici squilli, se idonei a cagionare un turbamento o una molestia, integrano il reato contestato ed ha coerentemente disatteso la richiesta di applicazione dell'articolo 131 bis cod. penumero , evidenziando il numero delle telefonate e degli squilli accertati sulla base dei tabulati, lo stato di sofferenza della vittima, manifestato anche durante la deposizione in aula e soprattutto che il condannato «non è nuovo a simili fatti», così prendendo atto che non ricorre il caso di particolare tenuità di cui all'articolo 131 bis cod. penumero , che può essere ravvisato solo quando il comportamento non è abituale e non è stato posto in essere con condotte plurime, abituali e reiterate. 3. Alla luce di quanto sopra, il ricorso appare infondato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.