«Prima o poi ti ammazziamo», frase che vale una condanna

Respinta la linea difensiva, secondo cui la minaccia sarebbe generica e quindi non sufficiente a turbare il destinatario. Confermata la punizione per due uomini, che hanno aggredito verbalmente un informatore della Polizia.

La città è piccola, prima o poi ti ammazziamo tale frase, seppur catalogabile come generica minaccia di morte, può comunque valere una condanna Cassazione, sentenza n. 13180/19, sez. V Penale, depositata oggi . Turbamento. Protagonisti in negativo della vicenda due uomini, che aggrediscono verbalmente in strada un informatore della Polizia e lo minacciano di morte. Inequivocabili le frasi a lui rivolte Prima o poi ti ammazziamo [] Quando ti troviamo, poi vedi cosa ti succede [] . Inevitabile il processo per il reato di minaccia e inevitabili, secondo i Giudici, le condanne. La comune decisione presa da Tribunale e Corte d’Appello viene contestata dal legale dei due uomini sotto accusa. La linea difensiva proposta in Cassazione è centrata soprattutto sul fatto che la condotta in discussione non è valutabile come grave , poiché la persona offesa , essendo informatore della Polizia , non si è sentita intimorita dalla generica prospettazione di morte . Non a caso, il destinatario delle frasi incriminate non ha sporto querela , osserva l’avvocato. Queste osservazioni non convincono però i Giudici del Palazzaccio, i quali, invece, ritengono corretta la valutazione compiuta in secondo grado, laddove ci si è soffermati sulla azione coordinata dei due uomini , azione tale da far presumere la concretezza delle minacce . E rispetto a tale quadro lo status di confidente della Polizia della parte offesa non può certo depotenziare la portata intimidatrice delle frasi pronunciate dai due uomini. Allargando l’orizzonte, poi, i Magistrati tengono a ribadire che non è necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico . E questa visione si attaglia alla vicenda in esame, anche perché l’idoneità della minaccia ad ingenerare turbamento è confermata dalla mancata proposizione della querela da parte della persona offesa , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 febbraio – 26 marzo 2019, numero 13180 Presidente Pezzullo - Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Genova ha confermato la decisione del 5 novembre 2015 del Tribunale in sede, con la quale Ba. Fa. e Ng. Fa. sono stati condannati alla pena di giustizia per il reato di minaccia grave in danno di Vito Rosacuta. Pur all'esito delle censure defensionali, la corte territoriale ha ritenuto la penale responsabilità degli imputati, escludendo l'applicabilità della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. penumero . 2. Ricorrono avverso tale pronuncia gli imputati, per mezzo del comune difensore Avv. Andrea Guido, affidando le proprie censure a due motivi. 2.1. Con il primo motivo, deducono inosservanza o erronea applicazione della legge penale e correlato vizio della motivazione in riferimento all'aggravante del reato di minaccia, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto la condotta grave omettendo di valutare in concreto il perturbamento psichico della persona offesa che, quale informatore della polizia, non si è sentito intimorito dalla generica prospettazione di morte, tanto da non aver sporto querela. 2.2. Con il secondo motivo, deducono analoghe censure ed il vizio di motivazione in riferimento alla mancata applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. penumero , esclusa - pur in presenza dei presupposti - alla stregua della valutazione di gravità del fatto, automaticamente evinta dall'aggravante contestata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo di censura è manifestamente infondato. 2.1. La corte territoriale ha esplicitamente sottolineato - in punto di dimostrazione della gravità della prospettazione di morte - la azione coordinata dei due agenti in concorso, che si avvicinarono alla persona offesa l'uno Ba. Fa. puntandogli contro un dito affermando prima o poi ti ammazzo, la città è piccola, conosco delle persone che ti fanno fuori mentre l'altro Ng. Fa. contestualmente gli rivolgeva l'espressione infame di merda, prima o poi ti ammazziamo, vieni qua se hai il coraggio, quando ti troviamo poi vedi cosa ti succede affermava , calando siffatte espressioni nel comune contesto ambientale delle parti - di difficile controllo da parte delle forze dell'ordine che, nell'occasione, furono costrette a chiamare rinforzi - e traendo da tali complessive circostanze, unitamente all'evocazione dell'intervento di terzi, una valutazione di attualizzazione e concretezza delle minacce, rispetto al quale lo status di confidente della vittima non è stato ritenuto idoneo a depotenziarne la portata intimidatrice. 2.2. Siffatta argomentazione, rappresentata secondo cadenze logiche ed aderenti agli esiti della prova, appare del tutto rispondente al principio secondo cui la gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano onde verificare se, ed in qual grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa Sez. 6, numero 35593 del 16/06/2015, Romeo, Rv. 264341, N. 1451 del 1982, N. 1105 del 1984, , N. 5617 del 1986, N. 9314 del 1990, N. 43380 del 2008 Rv. 242188 , non essendo necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti, attivo e passivo, del reato Sez. 5, numero 44382 del 29/05/2015, Mirabella, Rv. 266055, N. 725 del 1966 . E l'idoneità della minaccia di morte ad ingenerare turbamento nella persona offesa non è smentita, ma anzi confermata, dalla mancata proposizione della querela, avendo la persona offesa denunciato i fatti, avvertiti in termini di gravità, agli operanti intervenuti. 2.3. Dal testo della sentenza impugnata non è dato, pertanto, ravvisare alcuna omissione valutativa delle ragioni dell'impugnazione, né alcuna disarticolazione del ragionamento giustificativo, con il quale il ricorrente omette di confrontarsi Sez. U. numero 8825 del 27/10/2016 - dep. 2017, Gattelli, Rv. 268822 , riproponendo in sede di legittimità censure argomentativamente superate. Di guisa che l'inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l'avviso previsto dall'art. 12, comma 2 del D.Lgs. 10 aprile 2018, numero 36 Sez. U, numero 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 . 3. E', del pari, generico il secondo motivo di ricorso. 3.1. La corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti necessari per la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non solo richiamando la gravità, apprezzata in concreto, dei fatti, bensì esplicitando la valenza del movente ritorsivo e l'opposizione all'azione di contrasto alla vendita di merci che collocano ex sibus il fatto in una condizione logicamente incompatibile con il carattere di specialità che la tenuità deve contrassegnare. 3.2. Nella duplice declinazione evidenziata, la motivazione soddisfa il necessario standard valutativo dei presupposti di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, considerato, peraltro, che il difetto delle condizioni può essere rilevato anche con giustificazione implicita Sez. 5, numero 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033, N. 48317 del 2016 Rv. 268499 , attraverso la complessiva lettura del provvedimento. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. penumero , la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, che si stima equo determinare in Euro. 3000, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro. 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.