Detenuto (ingiustamente) in attesa di giudizio

La riparazione per ingiusta detenzione implica un indennizzo finalizzato a porre rimedio a un pregiudizio arrecato lecitamente, ai sensi dell'art. 314 c.p.p Sono però ostative alla concessione di quanto sopra, quelle condotte che abbiano dato causa, o abbiano concorso a dare causa, all'ingiusta detenzione e siano caratterizzate da colpa grave o dolo.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10868/19, depositata il 12 marzo. Il caso. La Corte d'Appello competente rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, avanzata dall'odierno ricorrente, ai sensi dell'art. 314 c.p.p In particolare, l'interessato era stato detenuto agli arresti domiciliari per illeciti ai danni della pubblica amministrazione turbativa d'asta, rivelazione di segreto d'ufficio e corruzione , nella sua qualità di provveditore alle opere pubbliche e funzionario distaccato del relativo Ministero. L'interessato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge art. 314 c.p.p. e vizio motivazionale. Le ragioni ostative alla riparazione. La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso. Gli Ermellini hanno ripercorso la giurisprudenza in tema di riparazione per ingiusta detenzione, partendo dall'analisi della norma, che identifica l'indennizzo nella somma conferita per porre rimedio ad un pregiudizio arrecato lecitamente. Proprio la liceità dello stesso distingue la disposizione di cui all'art. 314 c.p.p. dal risarcimento del danno, che consegue invece a un fatto illecito. Ostative alla concessione dell'indennizzo di cui sopra sono, però, tutte quelle condotte che abbiano dato causa o concorso a dare causa all'ingiusta detenzione e caratterizzate da colpa grave o dolo. Il Collegio ha anche ricordato cosa debba intendersi per dolo e colpa grave con riferimento alla disposizione in esame, riconducendo il primo elemento soggettivo alla volontarietà e consapevolezza della condotta, e deducendo il secondo dall'art. 43 c.p In particolare, sarebbe colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti, consegue un effetto idoneo a trarre in errore l'organo giudiziario . Tale colpa, peraltro, deve essere grave, cioè determinata da negligenza, imprudenza o imperizia decisamente macroscopiche. I Giudici del Palazzaccio hanno evidenziato come il Giudice della riparazione esamini, ai fini della sua decisione, gli stessi elementi che si trova a valutare il giudice della cognizione penale, ma, a differenza di quest'ultimo, il primo non deve stabilire se tali condotte costituiscano reato, bensì se siano state condizionanti ai fini della detenzione. La Corte ha, poi, precisato che la colpa può essere processuale es. auto incolpazione oppure extraprocessuale es. frequentazioni ambigue . Per quanto riguarda la colpa extraprocessuale, ovviamente, deve essere fornita adeguata motivazione in merito alla idoneità oggettiva delle condotte a rappresentare degli indizi di colpevolezza. Il Collegio non ha, inoltre, mancato di dare conto della giurisprudenza in tema di connivenza passiva la stessa può costituire un'ipotesi di colpa grave, ostativa alla concessione dell'indennizzo, qualora ricorra almeno uno dei successivi requisiti violazione di doveri di solidarietà sociale, tolleranza della prosecuzione o consumazione dell'attività criminosa, rafforzamento della volontà criminosa dell'agente. Gli Ermellini hanno chiosato, sottolineando come il provvedimento impugnato abbia ampiamente motivato, in linea con quanto sopra, in merito all'ambiguità delle condotte poste in essere dal ricorrente. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 novembre 2018 – 12 marzo 2019, n. 10868 Presidente Di Salvo – Relatore Cenci Ritenuto in fatto 1. Il 18 gennaio - 13 aprile 2018 la Corte di appello di Napoli ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di M.M. , sottoposto alla misura degli arresti domiciliari dal 17 dicembre 2008 al 6 marzo 2009 in relazione alle accuse di turbativa d’asta, rivelazione di segreto di ufficio e corruzione allo stesso mosse in qualità di provveditore alle opere pubbliche per la Campania ed il Molise, prima, e di funzionario distaccato presso il Ministero delle opere pubbliche, poi, cioè per avere concorso a turbare la gara del pubblico appalto per la manutenzione, ordinaria e straordinaria, delle principali strade di Napoli progetto detto Global Service , anche in violazione del dovere di segretezza, al fine di agevolare le imprese riconducibili al gruppo R. dell’imprenditore R.A. e di procurare a sé e a questi un indebito profitto patrimoniale capo B e per avere compiuto atti contrari ai doveri di ufficio al fine di consentire alle imprese riconducibili al gruppo R. l’aggiudicazione di appalti banditi da enti locali territoriali, ricevendo o comunque accettando la promessa di ricevere denaro o altre utilità economicamente valutabili consistenti nell’assunzione di persone da lui segnalate presso le ditte riconducibili al gruppo R. e nel conferimento a persone segnalati da M.M. di incarichi professionali remunerativi nell’ambito di appalti aggiudicati a R. capo M . Dall’accusa di cui al capo B era stato - irrevocabilmente assolto dal G.u.p. del Tribunale di Napoli il 19 marzo 2019 all’esito del giudizio abbreviato, mentre la condanna inflitta dai giudici di merito per il capo M veniva, il 9 luglio 2014, annullata seni rinvio dalla Corte di cassazione, che rigettava anche l’impugnazione del P.G. per il reato di cui al capo B . 2. Ricorre per la cassazione dell’ordinanza, tramite difensore, M.M. , che si affida ad un solo motivo, con cui denunzia promiscuamente violazione di legge art. 314 c.p.p. e difetto motivazionale. Assume il ricorrente, dopo avere richiamato, in sintesi, il ragionamento svolto dalla Corte di legittimità nella sentenza di annullamento senza rinvio per il reato di corruzione, che il comportamento extraprocessuale di M. non ha potuto dare causa al provvedimento restrittivo, in quanto il suo trasferimento a Roma, ad ufficio non competente, era circostanza ben nota agli inquirenti, attesa la sua pubblicità, e che il provvedimento amministrativo ipoteticamente a vantaggio di R. , cioè l’adeguamento del prezziario, era a firma del solo Ru.Sa. e non già di M. , e che la riconosciuta insussistenza di gravi indizi di concorso in corruzione a carico di Ru. , il quale era stato liberato dal Tribunale per il riesame dopo pochi giorni dall’arresto per mancanza di gravi indizi di colpevolezza, avrebbe dovuto estendere la sua valenza anche nei confronti di M. , attesa la natura propria del reato di corruzione, che non poteva esistere senza il concorso dell’estraneo, nel caso di specie M. , ormai incompetente, rispetto a Ru. , al quale è stato, invece, riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, ciò che rafforzerebbe la valutazione sulla illogicità della decisione impugnata. Il comportamento di M. , in definitiva, non avrebbe dato causa in senso tecnico-giuridico, alla privazione della libertà, che sarebbe stata originata solo da iniziativa di tipo moralistico degli inquirenti, privo di fondamento giuridico. 3. Il Procuratore generale della S.C., nella requisitoria scritta ex art. 611 c.p.p. del 17-18 settembre 2018, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione. Considerato in diritto 1. È preliminarmente necessario richiamare i principi informatori della disciplina dell’istituto ex art. 314 c.p.p. come enucleati dalla Corte di legittimità trattandosi di principi consolidati, appare superfluo il richiamo puntuale delle numerose pronunzie delle Sezioni semplici, essendo preferibile affidarsi - prevalentemente, anche se non esclusivamente - a passaggi motivazionali della S.C. nella qualificata composizione a Sezioni Unite. 1.1. Ebbene, l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione è esclusa, secondo l’espresso disposto dell’art. 314 c.p.p., qualora l’istante vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave , con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636 . 1.2. L’indennizzo in questione si risolve nell’attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente perché secondo legge arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636 Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035 . 1.3. Quanto alle valenze definitorie delle espressioni dolo e colpa grave , è stato chiarito Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636 che dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali indipendentemente dal fatto di confliggere o meno con una prescrizione di legge , difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell’id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo , sicché l’essenza del dolo sta, appunto, nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all’evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento riparatorio . Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno ricavati dall’art. 43 c.p., secondo cui, come noto, è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti anche se adottando l’ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere , consegue un effetto idoneo a trarre in errore l’organo giudiziario in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc. pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, con l’adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636 . E in tale ultimo caso la colpa deve essere grave , come esige la norma, connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636 . 1.4. Posto, poi, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano dato causa o abbiano concorso a dar e causa all’instaurazione dello stato privativo della libertà, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, si rileva che ad escludere il diritto in questione è pur sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi accertati o non negati Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636 in conformità, tra le Sezioni semplici, v. Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867 , con esclusione, dunque, di dati meramente congetturali. 1.5. Si è anche precisato che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato il primo, invece, deve valutare non già se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si posero come fattore condizionante anche nel concorso dell’altrui errore alla produzione dell’evento detenzione Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata da/la parte Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203638 cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867 Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252 Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114 . Il giudice della riparazione deve seguire un iter logico-motivazionale autonomo rispetto a quello del processo penale e costituiscono compito del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave. In particolare, In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238 in senso conforme, v. Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808 . Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha l’obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica infatti, il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione. 1.6. Quanto alla colpa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, può essere di due tipi colpa processuale ad es., auto-incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014, dep. 2015, Garcia De Medina, Rv. 263197 Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, Davoli, Rv. 248074 Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, dep. 2002, Pavone, Rv. 220984 , che però nel caso di specie non rileva, ovvero colpa extraprocessuale, come ad esempio frequentazioni ambigue, connivenza non punibile ovvero comportamenti comunque idonei ad essere percepiti all’esterno come contiguità criminale. Al riguardo, appare opportuno richiamare le puntualizzazioni della S.C. in tema di colpa extraprocessuale causativa della custodia cautelare ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, colpa che può essere integrata, oltre che da comportamenti extraprocessuali quali, a mero titolo di esempio, frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436 Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397 o ingiustificate frequentazioni che si prestino oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610 Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782 o comportamenti deontologicamente scorretti Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, Farina, Rv. 269034 Sez. 4, n. 52871 del 15/11/2016, Tavelli, Rv. 268685 , purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretati come indizi di colpevolezza, così da essere, quanto meno, in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato cfr. Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, Farina, Rv. 269034, cit. Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit. Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397, cit. Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, Rv. 259082 Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610, cit. Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, Fratepietro, Rv. 257878 Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782, cit. , anche dalla connivenza passiva. Ed a proposito della connivenza si è precisato dopo una progressiva elaborazione giurisprudenziale, le cui tappe essenziali possono, schematicamente, dirsi rappresentate dalle pronunzie rese, in ordine cronologico, da Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006, Cambareri, Rv. 235397 Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008 dep. 2009, Vottari, Rv. 242538 Sez. 4, n. 17/11/2011, dep. 2012, Cantarella, Rv. 252725 che può costituire colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, la connivenza, ove ricorra almeno uno dei seguenti indici a nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venire meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose b nel caso in cui si concreti non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia c nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti avere oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo effetto in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente nel giudizio di riparazione la condotta connivente idonea ad inibire la riparazione, per essere qualificata gravemente colposa, deve essere ancorata alla preventiva conoscenza delle attività criminose che si stanno per compiere in presenza del connivente la valutazione del giudice di merito sull’esistenza delle caratteristiche che deve assumere la connivenza, per la rilevanza ai fini della riparazione, si sottrae al vaglio di legittimità ove sia stato dato congruo conto, in modo non illogico, delle ragioni poste a fondamento della descritta efficacia della condotta passiva così Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139 . Profilo di colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, affine alla connivenza passiva, di cui si è detto, può essere costituito anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, essendo consapevole dell’attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come una sua contiguità Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 249237 in termini Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218 v. anche, più recentemente, Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit. Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, Mannino, Rv. 258485 Sez. 4, n. 5628 del 13/11/2013, dep. 2014, Maviglia, Rv. 258425 . 2. Ebbene, tanto premesso in linea generale, stima il Collegio che nel caso di specie la Corte di appello di Napoli abbia fatto buon governo dei principi sopra richiamati. Si osserva, infatti, al riguardo quanto segue. Il ricorso trascura che la Corte di appello di Napoli ha valorizzato pp. 5-8 del provvedimento impugnato la severa motivazione della Corte di cassazione nella sentenza del 9 luglio 2014 n. 40306, ove si afferma che la strumentalità del provvedimenti di modifica del prezziario dei lavori pubblici balza evidente, che il contenuto dell’atto è stravolto e privo di motivazione tecnica, che l’atto è risultato essere stato scritto dal funzionario sotto la vera e propria dettatura di M. , come reso evidente dalle conversazioni intercettate, che registrano sia l’apprezzamento di R. per quanto fatto da M. sia le richieste di quest’ultimo di vari favori assunzioni di personale dallo stesso segnalato, questioni di personale e di incarichi sia le pressioni su Ru. , cui si promettevano avanzamenti in carriera. Il comportamento scientemente posto in essere da M.M. è stato dunque - con motivazione non illogica ed immune da vizi rilevabili in sede di legittimità - ricondotto dai giudici di merito alla categoria delle condotte, a dir poco, ambigue, tali comunque da essere interpretate come indizi di complicità v., ad esempio, Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610 Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782 , di cui si è già detto in linea generale al punto n. 1.6. del considerato in diritto , condotte comunque stimate in relazione di concausalità con l’errore in cui è incappata l’autorità giudiziaria, non essendo stata esclusa la consapevole partecipazione di M. a fatti che, nella dinamica fase investigativa, potevano essere classificati come corruttivi, mancando solo per il perfezionamento del reato, che è reato proprio funzionale, la presenza di potere funzionale in capo all’agente infatti, Il delitto di corruzione appartiene alla categoria dei reati propri funzionali perché elemento necessario di tipicità del fatto è che l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell’ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto, nel senso che occorre che siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata da quest’ultimo, con la conseguenza che non ricorre il delitto di corruzione passiva se l’intervento del pubblico ufficiale in esecuzione dell’accordo illecito non comporti l’attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, e invece sia destinato a incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella e altri, Rv. 234359 in conformità, v. già in precedenza Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, dep. 2004, P.G. Napoli, Balsano e altri, Rv. 227100, e successivamente Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016, Margiotta, Rv. 267060, e Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, Martinelli e altri, Rv. 247373 ed avendo la stessa S.C. nel caso di specie sottolineato sia l’atto era stato materialmente redatto da M. e reso giuridicamente rilevante con la firma apposta dalla longa manus Ru. sia che al di là delle infrazioni disciplinari, potrebbero ravvisarsi, sulla base logicamente di un adeguato quadro probatorio, altre ipotesi di reato, quali la corruzione attiva, l’istigazione alla corruzione, il millantato credito, ma non la corruzione passiva, considerato, appunto, che il pubblico ufficiale ha agito al di fuori delle sue funzioni e, quindi, come extraneus rispetto al funzionario competente e già non come intraneus v. le considerazioni svolte alle pp. 39-42 della sentenza di Sez. 6, n. 40306 del 09/07/2014 . 3. Discende, dunque, la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge art. 616 c.p.p. , al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.