Gli effetti penali della voluntary disclosure

La dichiarazione fraudolenta appartiene alla lista dei reati tributari che godono della copertura prevista dall’art. 5-quinques l. n. 167/1990, che esclude la punibilità per tale delitto di colui che presta collaborazione volontaria. Pertanto, qualora le somme derivanti dall’utilizzo di fatture emesse per operazioni inesistenti siano state sottoposte a sequestro, venendo meno la punibilità dell’imputato, viene meno anche la legittimità della protrazione del sequestro di tali somme finalizzato unicamente alla confisca.

Lo afferma la Corte di Cassazione con sentenza n. 10801/19 depositata il 12 marzo. Il caso. Il PM presso il Tribunale di Roma propone ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di annullamento del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP nei confronti degli indagati per i reati di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 recante Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti , al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013. Con unico motivo di ricorso, il Pubblico Ministero contesta, in primo luogo, l’operatività della disciplina prevista dalla l. n. 186/2014 poiché la richiesta di ammissione alla procedura di v oluntary disclosure è intervenuta solo dopo che l’amministratore unico della società aveva avuto conoscenza dell’esecuzione del sequestro delle fatture e, in secondo luogo, l’ insensibilità delle somme provento di reato sottoposte a sequestro alla procedura di rientro delle somme non dichiarate. La formale conoscenza osta alla collaborazione volontaria. Nel dichiarare il ricorso inammissibile, la Corte di Cassazione ritiene di non dover condividere gli assunti dedotti dal PM in quanto ciò che osta all’ammissibilità della richiesta di collaborazione volontaria è unicamente la formale conoscenza in capo all’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione, accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento penale per violazione di norme tributarie . Nella fattispecie, oltre all’assenza di risultanze in merito a tale formale conoscenza in capo all’amministratore unico della società, il Tribunale del Riesame nell’ordinanza impugnata ha chiarito, in termini non sindacabili in sede giudizio di legittimità, che il decreto di sequestro cui si è riferito il Pubblico Ministero è intervenuto nei confronti di un soggetto di terso rispetto agli indagati per il reato di riciclaggio. La voluntary diclosure copre anche il sequestro. Per quanto concerne, poi, la censura relativa alla non incidenza dell’istituto della collaborazione volontaria sull’operatività delle misure cautelari, gli Ermellini affermano che occorre tenere conto degli effetti che la disciplina di v oluntary disclosure produce sul piano penale. In particolare, l’art. 5- quinques della l. n. 167/1990 prevede espressamente che nei confronti di colui che presta collaborazione volontaria è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10- bis e 10- ter d.lgs. n. 74/2000 . Pertanto, perfezionata la procedura e pagate le imposte dovute, la causa di non punibilità fa venir meno la natura di profitto del reato in capo alle somme derivate dall’utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, come correttamente sostenuto dal Tribunale. Per tali ragioni, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del PM.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2018 – 12 marzo 2019, n. 10801 Presidente Sarno – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma ha proposto ricorso avverso l’ordinanza emessa in data 28/06/2018 dal Tribunale del riesame della medesima città di annullamento del decreto di sequestro preventivo emesso, in data 28/05/2018, dal G.i.p. del Tribunale di Roma nei confronti di S.M. e B.F. per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 perché il primo, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della RM81 S.p.A., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2010 - 2011 - 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti, indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di Euro 3.475.271,76 capo sub a e perché, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della USI DOPC s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di Euro 59.561,00 capo sub b e la seconda perché, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della BARBARA s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di Euro 357.000,00. 2. Con un unico motivo di ricorso, lamenta la violazione ed erronea applicazione della legge penale nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione che è giunta ad annullare il provvedimento cautelare ritenendo pagato il profitto dei reati così come determinato in relazione alle fatture per operazioni inesistenti utilizzate. Il Tribunale avrebbe errato nel valutare la fattispecie sottoposta al suo giudizio in quanto la L. n. 186 del 2014, recante misure per l’emersione ed il rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale, ha introdotto, dopo il D.L. n. 167 del 1990, art. 5 ter, l’art. 5 quater che prevede l’istituto della collaborazione volontaria con gli uffici finanziari. Nella specie, è stato previsto che l’autore della violazione degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1, del richiamato D.L. n. 167 del 1990 commessa fino al omissis , può avvalersi di tale procedura per l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato e per la definizione dell’accertamento, mediante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio, per le violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di IRAP, di IVA ed eventuali violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti di imposta. Deduce, pertanto, che l’adesione alla collaborazione volontaria, i cui termini di scadenza erano fissati al 30/09/2015, prevedeva all’art. 5 quinquies, lett. a l’esclusione della punibilità per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, 4, 5, 10 bis e 10 ter. Tuttavia il comma 2 dell’art. 5 quater prevedeva che la collaborazione volontaria non fosse ammessa se la richiesta fosse stata presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 4, comma 1 avesse avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazioni di norme tributarie. Nel caso di specie, lamenta che l’amministratore unico pro tempore della RM 81 S.p.A. sarebbe venuto a conoscenza delle attività di polizia giudiziaria nei confronti della società per violazioni di norme penal-tributarie in data 25/05/2015, quando sarebbe stata data esecuzione al provvedimento cautelare emesso dall’A.G. di Avezzano, con il sequestro delle fatture ricevute dalla TECHPROJECTS s.r.l., escludendosi quindi il ricorso alla Voluntary Disclosure presentata telematicamente all’Agenzia delle Entrate di Roma in data 03/09/2015. Ciò posto, deduce che le somme sottoposte a sequestro con il decreto del G.i.p. sarebbero state provento dei reati tributari contestati e, per tale ragione, sottoposti a cautela giudiziaria, e tale circostanza sarebbe del tutto diversa da quella che avrebbe originato la Voluntary Disclosure, per la quale l’Agenzia delle Entrate avrebbe determinato le somme da pagare. Nella specie, infatti, la predetta procedura avrebbe riguardato il rientro delle somme non dichiarate che, contestualmente, troverebbero origine nelle attività illecite aventi ad oggetto l’emissione di numerose fatture per operazioni inesistenti. Pertanto, se da un lato la procedura del rientro e del disvelamento dellè somme sarebbero state oggetto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, da altro lato, questa per nulla inciderebbe sulla separata e autonoma procedura di sequestro penale delle somme provento di reato. Deduce, altresì, che nei reati contestati si dovrebbe tener conto sia del prezzo del reato sia del profitto dello stesso pertanto, il Tribunale avrebbe errato nel non ritenere separate le somme oggetto di imposte evase, per le quali sarebbe stata formalizzata la Voluntary Disclosure, dal provento di reato di emissioni di fatture per operazioni inesistenti che avrebbero giustificato il sequestro penale. 3. In data 20/11/2018 ha presentato memoria il Difensore dell’indagata B. chiedendo dichiararsi inammissibile o in subordine rigettarsi il ricorso del P.M Motivi della decisione 1. Il ricorso è inammissibile. L’ordinanza impugnata ha evidenziato che gli indagati hanno presentato, ai sensi della normativa di cui alla L. n. 186 del 2014, domanda di collaborazione volontaria c.d. Voluntary Disclosure in relazione ai reati loro contestati di cui all’art. 2 cit., successivamente avendo anche provveduto al pagamento delle somme relative dovute a titolo di imposte evase come calcolate dall’Agenzia delle Entrate, e di qui ha dedotto il venir meno, in capo alle somme oggetto di sequestro, della natura di profitto dei reati appena ricordati. A fronte di ciò il P.M. ricorrente ha, da un lato, contestato la operatività, nella specie, della disciplina appena ricordata posto che la richiesta di ammissione alla procedura, presentata il 03/09/2015, sarebbe intervenuta dopo che l’amministratore unico della RM81 Spa aveva avuto conoscenza, in data 27/05/2015, della esecuzione del provvedimento di sequestro della fatture ricevute dalla Techprojects Srl, così realizzandosi l’evento ostativo espressamente configurato dalla legge all’art. 5 quater, comma 2, che ha previsto, infatti, che la collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria e, dall’altro, reclamato la insensibilità delle somme provento di reato sottoposte a sequestro alla procedura di rientro delle somme non dichiarate. Tali assunti non sono, tuttavia, condivisibili. Quanto al primo profilo, invero, va chiarito che alla stregua del D.L. n. 167 del 1990, art. 5 quater introdotto dalla L. n. 186 del 2014, ciò che osta alla ammissibilità della richiesta di collaborazione volontaria è unicamente, come appena ricordato, la formale conoscenza in capo all’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria e, nella specie, al di là in ogni caso, della assenza di risultanze in ordine a tale formale conoscenza, l’ordinanza impugnata ha invece chiarito, in termini di resoconto processuale non sindacabile in questa sede, che il decreto di sequestro cui ha fatto riferimento il ricorrente sarebbe intervenuto nei confronti di soggetto terzo rispetto agli indagati ovvero M.A. , quale legale rappresentante della Techprojects per il reato di riciclaggio diverso dunque da quelli contestati agli indagati , in tal modo esulandosi dal campo applicativo proprio della causa ostativa ricordata. Quanto poi al secondo, impostazione del P.M. ricorrente, assiomaticamente volta a ritenere che l’istituto della collaborazione non inciderebbe sulla operatività delle misure cautelari, appare non tenere conto degli effetti, sul piano penale, della disciplina della Voluntary Disclosure sul punto è dirimente osservare che la L. n. 167 del 1990, art. 5 quinquies cit. ha previsto espressamente che nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria è esclusa la punibilità per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, 4, 5, 10 bis e 10 ter . Di qui, dunque, la constatazione che, perfezionata la procedura e pagate le relative imposte, la causa di non punibilità farebbe venir meno, in capo alle somme derivate dalla utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, la natura di profitto del reato venendo dunque meno la confiscabilità di dette somme e, conseguentemente, divenendo illegittima la protrazione di un sequestro unicamente a detta confisca finalizzato. Sicché, del tutto correttamente, in applicazione della disciplina appena ricordata, il Tribunale ha disposto il dissequestro delle somme assoggettate a confisca. Al contrario, il ragionamento del P.M., che parrebbe ritenere il sequestro esente dagli effetti della disciplina sulla collaborazione volontaria sulla base di una diversità delle somme non dichiarate, oggetto della procedura, da quelle invece oggetto di sequestro, oltre a confutare su un piano meramente fattuale il diverso approdo sul punto della ordinanza impugnata, trascura di considerare che, essendo tra i reati inclusi nella Voluntary Disclosure anche, specificamente, quello di dichiarazione fraudolenta, le somme da rimpatriare altro non possono essere posto che nessun altro senso avrebbe avuto l’inclusione anche del reato ex art. 2 cit. , che quelle stesse derivate dalla utilizzazione delle fatture relative alle operazioni inesistenti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del P.M