Le “incredibili” dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

La valutazione sulla credibilità dei collaboratori di giustizia deve prescindere dalle utilità che i medesimi possono ricevere nell’ambito del trattamento loro assicurato dalla legge e dall’interesse che, per continuare ad usufruire di detto trattamento, essi avrebbero nel fornire ulteriori dichiarazioni accusatorie nei confronti di terzi.

Inoltre, in tema di dichiarazione de relato , qualora la persona alla quale il collaboratore di giustizia ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all’esito di una valutazione complessiva della credibilità del dichiarante diretto, la deposizione del dichiarante de relato in quanto, da un lato, l’art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall’altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare. Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8218/19, depositata il 25 febbraio, nella quale ha sancito due principi di diritto riguardanti le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. Il caso. La Corte d’Appello di Bari, in totale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Trani, assolveva gli imputati dai reati loro ascritti, ritenendo insufficienti gli elementi probatori a loro carico costituiti dalle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, ritenuti non attendibili in quanto avrebbero riferito in merito a fatti appresi de relato da altri soggetti che a loro volta avevano negato di esserne a conoscenza, nonché, con particolare riguardo ad uno di essi collaboratori, di confidenze ricevute in carcere da uno degli imputati. La Corte d’Appello, inoltre, pur escludendo che il movente possa costituire fonte indiziaria, ha ritenuto che la pluralità di moventi alternativi fosse tale da non poter ritener superata, alla luce dell’incertezza del quadro accusatorio incerto, la soglia del ragionevole dubbio. Ricorreva il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bari, deducendo quattro motivi di ricorso, di cui uno, ritenuto infondato dagli Ermellini, riguardante l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello rispetto a diversa valutazione del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese prima di modificarne il relativo giudizio di attendibilità precedentemente formulato i restanti tre, con riguardo alla credibilità dei collaboratori di giustizia e all’attendibilità delle dichiarazioni de relato rese dagli stessi. Il primo principio di diritto la valutazione della credibilità dei collaboratori di giustizia. Il Supremo Collegio ha ritenuto meritevoli di accoglimento i suddetti tre motivi formulati dal Procuratore Generale, sancendo due distinti principi di diritto in punto, cui dovrà attenersi la Corte d’Appello di Bari per colmare i vizi motivazionali rilevati dalla Cassazione. Con il primo di essi, gli Ermellini hanno statuito come la valutazione sulla credibilità dei collaboratori di giustizia deve prescindere dalle utilità che i medesimi possono ricevere nell’ambito del trattamento loro assicurato dalla legge e dall’interesse che, per continuare ad usufruire di detto trattamento, essi avrebbero nel fornire ulteriori dichiarazioni accusatorie nei confronti di terzi . La Cassazione è pervenuta a tale conclusione richiamandosi a molteplici pronunce della giurisprudenza di legittimità e ribadendo i criteri che il giudicante è chiamato a seguire ai fini della prova di responsabilità penale dell’accusato, nei casi di chiamata in correità nei quali l’esame della fonte diretta risulti impossibile. In particolare, ha statuito come, in punto di riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità de relato , possa essere utilizzato qualunque elemento probatorio, diretto o indiretto, purché estraneo alle dichiarazioni da riscontrare. Il secondo principio di diritto l’attendibilità della dichiarazione de relato. Il Supremo Collegio ha poi enunciato un secondo principio di diritto riguardante l’attendibilità della dichiarazione de relato rese dai collaboratori di giustizia, muovendo da analoga disamina dell’iter giurisprudenziale cha l’ha condotto a tale conclusione, nonché dal richiamo alle norme processualpenalistiche. Così, la Cassazione ha statuito come la reciproca conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni imputate in procedimenti connessi non impone che queste ultime riguardino l’ idem dictum , essendo sufficiente che i fatti rappresentati siano in rapporto di univoca implicazione rispetto alla specifica condotta criminosa da provare. Muovendo da tali assunti, gli Ermellini hanno enunciato il principio di diritto in base al quale, in tema di dichiarazione de relato , qualora la persona alla quale il collaboratore di giustizia ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all’esito di una valutazione complessiva della credibilità del dichiarante diretto, la deposizione del dichiarante de relato in quanto, da un lato, l’art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall’altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare . Alla luce del corposo ragionamento giuridico compiuto, la Corte di legittimità ha dunque accolto il ricorso, annullando la sentenza con rinvio per nuovo giudizio avanti ad altra Sezione delle Corte d’Appello di Bari.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 gennaio – 25 febbraio 2019, n. 8218 Presidente Mazzei – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Bari, in totale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Trani in data 17 febbraio 2016, ha assolto N.F. e S.N. dai delitti, commessi in omissis in concorso tra loro e con altri rimasti sconosciuti, di tentato omicidio pluriaggravato commesso in danno di D.P. artt. 110, 61, 56, 81 e 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1, n. 3, L. n. 203 del 1991, art. 7, D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 72 - capo A , di detenzione, porto e ricettazione aggravati di un’arma da guerra utilizzata per l’agguato artt. 81, 61, 110 e 648 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4, L. n. 203 del 1991, art. 7, D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 72 - capo B e di ricettazione e incendio aggravati dell’autovettura impiegata per commettere il tentato omicidio artt. 81, 61, 110, 424 e 648 c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7 - capo C . 1.1. La Corte d’appello ha anzitutto evidenziato che la persona offesa, pur avendo attribuito agli imputati la responsabilità dei fatti, ha fatto riferimento a una supposizione , mentre i tre testi M.S. M.S. M.B. , che hanno parzialmente assistito al fatto, non sono stati anch’essi in grado di descrivere gli aggressori perché con il viso travisato. La Corte d’appello di Bari, accogliendo totalmente gli appelli presentati nell’interesse degli imputati, li ha assolti dai delitti sopra indicati ritenendo insufficienti gli elementi probatori a loro carico costituiti dalle dichiarazioni, giudicate non attendibili e prive di riscontri, dei collaboratori di giustizia S.T. +Altri che hanno riferito dei fatti dai medesimi appresi de relato da altri soggetti i quali hanno negato di esserne a conoscenza, nonché, per quanto riguarda il collaboratore S.P. , dalle confidenze ricevute in carcere dall’imputato N. . 1.2. La Corte d’appello ha così valutato le dichiarazioni accusatorie - S.P. non è intrinsecamente attendibile perché non è credibile la genesi della confidenza ricevuta dall’imputato N. mentre entrambi si trovavano detenuti, non essendo stato chiarito come mai, pur in assenza di particolari rapporti di intima amicizia e confidenza, l’imputato avrebbe rilevato un fatto gravissimo senza alcuna plausibile ragione e senza che tale confidenza potesse giustificarsi dal particolare contesto nella quale era stata fatta, poiché è stata ritenuta illogica la giustificazione della riferita confessione. Il collaboratore ha riferito che l’imputato si è lasciato andare alla confessione perché insospettito dall’avere colto una strizzatina d’occhio tra il proprio sodale L.E. e il difensore di entrambi in un distinto processo. D’altra parte, la descrizione della dinamica dei fatti è stata riferita dal collaboratore in modo contraddittorio poiché in un primo momento ha negato di averla appresa dall’imputato, mentre in un secondo passaggio della deposizione ha attribuito allo stesso il racconto dettagliato dell’intera dinamica dell’agguato, salvo poi precisare che il numero dei colpi esplosi era stato dal medesimo appreso per voci di popolo. Il collaboratore di giustizia è stato anche contraddittorio nel riferire del movente dell’agguato, mentre è stato giudicato non credibile allorquando ha riferito di avere appreso, poco pochi giorni dopo l’agguato, della responsabilità degli imputati attraverso un biglietto fattogli recapitare da L.F. , tramite un detenuto lavorante della casa circondariale ove si trovava ristretto, perché a sua volta lo consegnasse ad P.A. , avendo i suddetti entrambi escluso di essersi scambiati dei biglietti e apparendo incredibile che una tale comunicazione fosse veicolata attraverso S. che non ricopriva una posizione di rilievo nel panorama delinquenziale. Parimenti non credibile è stato giudicato il narrato del collaboratore che ha riferito di aver appreso da F.P. il quale ha negato la circostanza della responsabilità di entrambi gli imputati per essere stato presente all’agguato - S.T. non è intrinsecamente credibile perché riferisce la conoscenza dei fatti per averla appresa da soggetti la vittima F.P. B.N. che hanno negato di avere fatto tali confidenze e perché la posizione dallo stesso occupata all’interno del gruppo degli spacciatori del clan P. - P. non poteva consentirgli di ricevere informazioni tanto delicate che sono state, peraltro, esposte con approssimazione e genericità, sicché il racconto è stato giudicato inverosimile, posticcio e frutto di voci colte qua e là e perciò idoneo a minare fortemente la credibilità dello stesso. Anche le ragioni della scelta collaborativa che risale al 2008 sono giudicate generiche, mentre il racconto dell’episodio delittuoso è temporalmente collocato in orario sbagliato - N.C. e D.C.G. sono giudicati generici nell’individuare il movente dell’azione che viene, in realtà, ricondotto a diverse causali che riguardano anche terzi soggetti che avevano valide ragioni per attentare alla vita di D. - P.R. è giudicato generico nel riferire voci correnti di popolo in ordine all’omicidio, avendo peraltro indicato anche un terzo soggetto del tutto estraneo alla vicenda - C.G. , che ha riferito del movente dell’agguato e della responsabilità degli imputati, è giudicato non attendibile, poiché smentito dai soggetti E.G. D.G.R. dai quali afferma di avere appreso del movente dell’azione, e addirittura menzognero nel riferire delle confidenze apprese da G.F. supposto mandante , perché è stato giudicato impossibile che questi avesse potuto apprendere il OMISSIS giorno dei fatti la notizia della minaccia asseritamente fatta dalla vittima il giorno OMISSIS ai danni del sodale L.E. e quindi organizzare e coordinare l’agguato posto in essere, per suo ordine, dagli imputati, procurando anche agli stessi l’autovettura utilizzata. 1.3. La Corte d’appello, pur escludendo che il movente possa costituire un indizio, ha ritenuto che la pluralità di moventi alternativi fosse tale da non potersi superare, in presenza di un quadro accusatorio incerto, la soglia del ragionevole dubbio. 2. Ricorre il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Bari che ha depositato, oltre al ricorso principale, motivi aggiunti in data 15 gennaio 2018, in data 19 gennaio 2018 e in data 19 settembre 2018. La pubblica accusa sviluppa quattro motivi di ricorso che possono essere così riassunti. 2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 192 c.p.p., art. 111 Cost., art. 6 Convenzione EDU, per il mancato rispetto delle procedure previste in materia di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, rispetto alla diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive. La Corte d’appello avrebbe dovuto procedere a nuovo esame dei collaboratori di giustizia prima di modificare il giudizio di attendibilità formulato dal primo giudice primo motivo . 2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 3, art. 238-bis c.p.p., e vizio della motivazione con riguardo alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e alla mancata valutazione, a tale proposito, delle sentenze irrevocabili che ne attestano il percorso collaborativo e la piena attendibilità. L’attendibilità dei collaboratori di giustizia è già stata vagliata e riconosciuta in numerose pronunce ormai definitive per P. , C. e S. , sicché è sbrigativa e superficiale la motivazione del provvedimento impugnato che, dimenticando volutamente tali pronunce pur acquisite agli atti, compie una valutazione di segno opposto senza confrontarsi con tali elementi. D’altra parte, la Corte distrettuale ha inteso svalutare il contributo conoscitivo dei collaboratori di giustizia affermando che, trattandosi di indicazioni di reità e non di correità, il valore delle stesse sarebbe minore poiché i dichiaranti non si dichiarano contemporaneamente responsabili di altri reati oltre ad essere un’affermazione errata in diritto, essa non tiene conto del fatto che, invece, i collaboratori hanno reso ampie dichiarazioni autoaccusatorie seppure in relazione ad altri reati separatamente giudicati. La Corte distrettuale ha, pertanto, erroneamente proceduto a una valutazione atomistica delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, giungendo erroneamente a ipotizzare in maniera del tutto immotivata e ingiustificata che la convergenza delle dichiarazioni sia il risultato di una sorta di fenomeno di allineamento delle indicazioni più recenti S. rispetto a quelle più risalenti S. con conseguente neutralizzazione delle une e delle altre . La Corte distrettuale ha, inoltre, errato nel non valorizzare la diversità delle fonti di conoscenza indicate da ciascun collaboratore, elemento che invece rafforza la convergenza delle varie dichiarazioni secondo motivo . 2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 195 c.p.p., comma 2, e vizio della motivazione con riguardo alle valutazioni probatorie relative al dichiarante testimone di riferimento. La Corte distrettuale ha errato nel ritenere inattendibile il collaboratore di giustizia dichiarante de relato solo perché la fonte di conoscenza lo ha smentito, senza considerare che, trattandosi di informazioni veicolate in ambienti criminali, il dichiarante di riferimento, spesso pluripregiudicato e sovente implicato in reati afferenti all’organizzazione criminale nell’ambito della quale è maturato il delitto, è scarsamente attendibile proprio perché non ha intrapreso quel percorso di collaborazione che ha portato il collaboratore a mutare il proprio atteggiamento e ad esporsi a rischi anche per la propria incolumità fisica. D’altra parte, le dichiarazioni di tali dichiaranti di riferimento sono costellate di incertezze, mancanza di ricordi e altri schemi verbali indicativi della volontà di non collaborare con l’autorità giudiziaria. Il totale sovvertimento delle regole logiche di valutazione della prova dichiarativa fornita dal collaboratore di giustizia rispetto al narrato del dichiarante di riferimento, che risulta implicato in vicende criminali, emerge palese con riguardo alla ritenuta calunniosità delle dichiarazioni di C. , perché la pretesa credibilità della smentita di G. non tiene conto del fatto che il medesimo ha palesemente espresso una forte avversità per il dichiarante quale ex affiliato alla sua organizzazione proprio perché nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia terzo motivo . 2.4. Vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta inattendibilità del collaboratore S. il quale ha riferito della confessione ricevuta dall’imputato N. . La Corte distrettuale ha affermato la non credibilità del collaboratore muovendo da un presupposto erroneo e inaccettabile, laddove si ipotizza che questi ha reso le dichiarazioni perché ha dovuto dimostrare di essere a conoscenza di fatti di rilevanza penale tali da meritare il programma di protezione il tutti i benefici connessi all’invocato status . La Corte ha erroneamente valorizzato, allo scopo di ritenere non attendibile il collaboratore, un presunto litigio con l’imputato N. che renderebbe incredibile la confessione raccolta, mentre lo screzio è accaduto nel 2012 e cioè in un momento successivo rispetto alla confidenza. Nel giudicare inattendibile il collaboratore, la Corte ha anche omesso di valorizzare che le ragioni della confidenza andavano ricercate nella consapevolezza da parte dell’imputato che il collaboratore all’epoca era vicino al clan L. e quindi meritevole di fiducia. Anche con riguardo al movente dell’omicidio, per come riferito dall’imputato al collaboratore, la Corte distrettuale ha completamente omesso di confrontarsi con quanto risulta dalla sentenza di primo grado, avendo N. fatto riferimento a un duplice ordine di ragioni sempre favorevoli al clan L. . Anche con riguardo alle modalità dell’omicidio, per come riferito dal collaboratore, la Corte, che pretende una precisione scientifica del ricordo, trascura la notevole distanza temporale tra i fatti 2007 e la prima rievocazione di essi 2013 ,fatta in occasione dell’interrogatorio con il Pubblico ministero e poi riproposta nel 2015 nel corso del giudizio di primo grado nonché la costanza del narrato che fa riferimento all’uso di un’arma da guerra. Il giudizio di mendacio formulato conclusivamente dalla Corte distrettuale nei confronti del collaboratore S. è affrettato ed erroneo perché, confondendo il percorso criminale del collaboratore e delle organizzazioni alle quali si è avvicinato, trascura di rilevare, come invece risulta dalle sentenze acquisite e dalle stesse dichiarazioni del collaboratore di giustizia, la fondamentale differenza esistente tra la affiliazione a un gruppo mafioso quello di G. dal 2004 e la partecipazione con altri a diverse attività criminali attività di spaccio posta in essere con il clan L. nel 2007 quarto motivo . 2.5. Con i motivi aggiunti depositati il 15 gennaio 2018 e il 19 gennaio 2018 si allegano elementi nuovi derivanti dalla scelta di collaborazione fatta da E.G. , mentre con quelli depositati il 19 settembre 2018 si allegano elementi nuovi derivanti dalle dichiarazioni di A.S. . 3. Il difensore degli imputati ha depositato memoria con la quale chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso perché - il primo motivo è inammissibile in quanto contrasta con il principio di diritto espresso da S.U. Troise Sez. U., n. 14800 del 21/12/2017 dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - il secondo motivo è manifestamente infondato perché le decisioni, che si assume non siano state considerate, sono invocate non ai fini della prova del fatto in esse accertato, ma per valutare la presunta credibilità del collaboratore di giustizia. D’altra parte, il motivo è inammissibile perché cerca di introdurre una diversa ricostruzione degli elementi di prova e del fatto - il terzo motivo è inammissibile perché cerca di introdurre una diversa ricostruzione degli elementi di prova e del fatto - il quarto motivo è inammissibile perché introduce una censura in fatto - i motivi aggiunti pongono all’attenzione della Corte elementi nuovi, mai introdotti nel giudizio di merito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni che saranno esposte, pur non potendosi esaminare i motivi nuovi presentati dal Pubblico ministero ricorrente, poiché caratterizzati dalla allegazione di elementi sopravvenuti alla sentenza impugnata. 2. Deve essere premesso che la giurisprudenza di legittimità ha autorevolmente affermato che il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 dep. 2018, Troise, Rv. 272430 . Si tratta di un canone ermeneutico particolarmente utile nel caso in esame poiché la Corte d’appello ha ribaltato il giudizio di colpevolezza espresso dal Tribunale procedendo a una diversa valutazione delle fonti dichiarative. 2.1. È, perciò, infondato il primo motivo di ricorso secondo il quale il giudice di secondo grado, nel pronunciare l’assoluzione in totale riforma della sentenza di primo grado, dovrebbe obbligatoriamente procedere a nuovo esame delle fonti dichiarative che ritiene non attendibili, poiché, come chiaramente stabilito con la sentenza dianzi richiamata, un tale obbligo non sussiste. 3. Sono fondati i restanti motivi di ricorso poiché la sentenza impugnata, oltre a essere infarcita di alcuni errori di diritto che saranno puntualmente evidenziati, non fornisce una motivazione puntuale e adeguata della difforme conclusione adottata senza aver nuovamente esaminato le fonti dichiarative giudicate inattendibili. 3.1. Ai fini della corretta valutazione della chiamata in reità o in correità, la metodologia alla quale il giudice di merito deve conformarsi non può che essere quella indicata da Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192465, come precisata, con specifico riferimento alla dichiarazione de relato, da Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012,dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145. In particolare, si è affermato che la chiamata in correità o in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova di responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore. Per il conseguimento del fine precisato si richiede a la valutazione positiva della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità b l’accertamento dei rapporti personali tra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo c la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum d l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente e l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti d’informazione diverse. La procedura di verifica delle dichiarazioni eteroaccusatorie dei coimputati o degli imputati in procedimento connesso o collegato deve essere più attenta e rigorosa nei casi di conoscenza de auditu. Il giudizio di attendibilità del chiamante c.d. attendibilità intrinseca soggettiva e della specifica dichiarazione da costui resa c.d. attendibilità intrinseca oggettiva impone un’indagine molto attenta anche sulla causa scientiae del dichiarante, la cui conoscenza, traendo origine dalla trasmissione di informazioni ad opera di un altro soggetto, può essere esposta a maggiori rischi di errore. La chiamata de relato, presentando una struttura analoga alla testimonianza indiretta, mutua da questa, almeno per quanto attiene alla valutazione dell’attendibilità intrinseca, il metodo di verifica, che implica necessariamente uno sdoppiamento della valutazione occorre verificare non soltanto l’attendibilità intrinseca soggettiva e oggettiva del dichiarante in relazione al fatto storico della narrazione percepita, ma anche l’attendibilità della fonte primaria di conoscenza e la genuinità del suo narrato, che integra l’elemento di prova più significativo del fatto sub iudice. Con specifico riferimento alla chiamata de auditu, non asseverata dalla fonte primaria, la valutazione della credibilità intrinseca delle relative dichiarazioni impone di apprezzarne la spontaneità, la coerenza, la costanza e la precisione, indagando, in particolare, proprio per il maggiore rigore valutativo imposto dalla peculiarità del caso, sulle circostanze concrete di tempo e di luogo in cui avvenne il colloquio tra il loquens e il soggetto di riferimento nonché sulla natura dei rapporti di frequentazione e di familiarità tra i due, così da giustificare le confidenze, di tenore certamente compromettente, ricevute dal primo. Nella specifica situazione risulta più complesso saggiare l’attendibilità intrinseca del soggetto di riferimento/il racconto del quale proviene dalla fonte de relato. Se questa, però, non avendo avuto un ruolo diretto nei fatti delittuosi in contestazione, fornisce particolari precisi, compatibili col quadro probatorio già acquisito e non contraddetti, per averli appresi dalla fonte primaria, con la quale intratteneva rapporti di frequentazione e di confidenza, e se non sussistono ragioni sintomatiche di una comunicazione di notizie false, può agevolmente ritenersi, per consequenzialità logica e in base a una consolidata massima di esperienza, la corrispondenza al vero della confidenza extraprocessuale proveniente dal soggetto di riferimento, anche se dal medesimo non asseverata in sede processuale. Dunque, l’operazione logica di verifica giudiziale della chiamata de relato, perché la stessa possa assurgere al rango di prova idonea a giustificare un’affermazione di responsabilità, necessita, inoltre, di convergenti e individualizzanti riscontri esterni in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa e alla specifica condotta criminosa dell’incolpato, essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un più rigoroso e approfondito controllo del contenuto narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226090 . Quanto alla tipologia e all’oggetto dei riscontri, la genericità dell’espressione altri elementi di prova utilizzata dall’art. 192 c.p.p., comma 3, legittima l’interpretazione secondo cui vige il principio della libertà dei riscontri , nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura e ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio anche indiretto legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma. È, poi, fin troppo ovvio precisare che non si richiede che il riscontro integri la prova del fatto, giacché, se così fosse, perderebbe la sua funzione gregaria e sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice, sicché verrebbe meno la necessità di far leva anche sulla prova principale, ritenuta da sola non sufficiente. Il riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità de auditu può, dunque, essere offerto dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più degli altri soggetti indicati nella richiamata norma. Qualunque elemento probatorio, diretto o indiretto che sia, purché estraneo alle dichiarazioni da riscontrare, può essere legittimamente utilizzato a conferma dell’attendibilità delle stesse. Poiché non può escludersi che la tecnica della mutual corroboration possa consentire l’ingresso nel processo del mendacio concordato e finalizzato a incolpare una persona estranea ai fatti, al giudice di merito è affidato il compito di verificare l’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione e, quindi, l’attitudine di una o più di esse a fungere da riscontro estrinseco di quella o di quelle che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione. 4. Ha anzitutto errato la Corte distrettuale nell’approcciarsi al contenuto dichiarativo offerto dai collaboratori di giustizia allorquando ha fatto dichiaratamente riferimento alla esistenza di una sorta di pregiudizio nei confronti di costoro derivante dalle utilità che i medesimi ricevono nell’ambito del trattamento loro assicurato dalla legge e dall’interesse che i medesimi avrebbero a fornire dichiarazioni pure che sia accusatorie nei confronti di terzi. La sentenza impugnata ha, perciò, violato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale in tema di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese da collaboranti, il generico interesse a fruire dei benefici premiali non intacca la credibilità delle dichiarazioni rese dai collaboranti perché l’interesse a collaborare in vista dei benefici di legge non va confuso con l’interesse concreto a rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti di terzi Sez. 2, n. 39241 del 08/10/2010, Montesarchio, Rv. 248771 Sez. 5, n. 50589 del 30/09/2013, Martinelli, Rv. 257832 La valutazione sulla credibilità dei collaboratori di giustizia va dunque effettuata secondo i criteri generali, dovendosi escludere che per quelli tra di essi che accettino di diventare collaboranti per motivi pratici , od anche soltanto per usufruire dei benefici di legge, valgano regole più restrittive rispetto a quelle generali. 4.1. Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto la valutazione sulla credibilità dei collaboratori di giustizia deve prescindere dalle utilità che i medesimi possono ricevere nell’ambito del trattamento loro assicurato dalla legge e dall’interesse che, per continuare ad usufruire di detto trattamento, essi avrebbero nel fornire ulteriori dichiarazioni accusatorie nei confronti di terzi . 5. È, inoltre, fondato il motivo di ricorso che denuncia il vizio della motivazione con riguardo al giudizio di inattendibilità dei collaboratori di giustizia. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, esaminando una situazione opposta in cui un collaboratore, ritenuto inattendibile in un diverso giudizio, è stato invece riconosciuto credibile senza esaminare il precedente, che in tema di dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia, qualora sia dedotta l’inattendibilità sulla base di quanto affermato in una precedente sentenza, il giudice procedente, pur non essendo vincolato a tale valutazione, deve motivare adeguatamente e specificamente il proprio diverso apprezzamento Sez. 6, n. 2900 del 12/12/2013 dep. 2014, Graziano, Rv. 258247 , sicché deve concludersi che le precedenti valutazioni di attendibilità non costituiscono un limite al libero apprezzamento del giudice, ma richiedono una puntuale motivazione per discostarsi dal precedente giudizio. 5.1. Il motivo di ricorso è fondato perché la sentenza impugnata è incentrata su una lettura parziale e atomistica del propalato accusatorio, senza doverosamente confrontarsi con le acquisite valutazioni positive di credibilità consacrate in pronunce irrevocabili che, pur non costituendo un presunzione di attendibilità, costituiscono un elemento logico che deve essere preso in considerazione dal giudice quando procede a valutare la attendibilità del collaboratore di giustizia già esaminato in altro procedimento. 6. È fondata la censura dell’argomentazione, variamente articolata nella sentenza impugnata, secondo cui le dichiarazioni dei diversi collaboratori, che sono state poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità nel giudizio di primo grado, non sarebbero idonee a riscontrarsi reciprocamente perché cadenti su momenti o azioni diversi. Va al proposito ricordato che le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b , sono idonee a fornirsi reciproco riscontro qualora siano attendibili e, anche in relazione a distinti frammenti dell’attività criminosa, colleghino l’indagato o l’imputato al fatto Sez. 1, n. 40237 del 10/10/2007, Cacisi, Rv. 237867 , sicché il giudice deve verificare l’idoneità dell’una dichiarazione a costituire riscontro dell’altra e non limitarsi a riscontrare la parziale coincidenza delle narrazioni e perciò solo escluderne la rilevanza. 7. Hanno, inoltre, fondamento le obiezioni del Pubblico ministero ricorrente circa l’irrilevanza della parziale non coincidenza tematica delle rappresentazioni fattuali dei chiamanti in reità. La reciproca conferma della attendibilità delle dichiarazioni delle persone imputate in procedimenti connessi a norma dell’art. 12 c.p.p., ovvero imputate di reato collegato ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b , non esige che le propalazioni attengano all’idem dictum è bensì sufficiente che i fatti rappresentati siano in rapporto di univoca implicazione rispetto alla specifica condotta criminosa da provare così, in motivazione, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012,dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 , sempre che l’eventuale parziale disallineamento delle dichiarazioni non trasmodi in palese divergenza nella ricostruzione dell’accadimento. 8. È fondata anche la censura relativa al canone valutativo della dichiarazione del dichiarante di riferimento ex art. 195 c.p.p., comma 2, che, a sua volta imputato o indagato in procedimento connesso, smentisca il contenuto della dichiarazione del collaboratore di giustizia. 8.1. Nei processi di criminalità organizzata accade spesso che il chiamante in correità o in reità riferisca legittimamente delle confidenze ricevute da un imputato, non ostandovi il divieto di cui all’art. 62 c.p.p., norma che, pur rubricata divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato , si riferisce alle sole dichiarazioni rese in un contesto procedimentale Sez. 2, n. 46607 del 19/11/2009, Sanza, Rv. 246563 Sez. 2 n. 4439 del 02/12/2008, dep. 02/02/2009, Ladini, Rv. 243274 si è detto, infatti, che in tale evenienza, il disposto dell’art. 195 c.p.p. non impone l’escussione della fonte diretta così, in motivazione, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 . Tale opzione ermeneutica è legittimata, innanzi tutto, dal tenore letterale della norma, la quale, prevedendo che il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste cioè le fonti dirette siano chiamate a deporre comma 1 e può disporre anche d’ufficio l’esame comma 2 , presuppone in capo all’organo giudicante il potere di ottenere la presenza in dibattimento della fonte diretta ai fini dell’esame e quindi i connessi poteri, quale quello di disporre l’accompagnamento coattivo artt. 132, 133 e 490 c.p.p. , che non può avere come destinatario l’imputato, il quale può essere sottoposto ad esame solo se ne fa richiesta o vi consente art. 208 c.p.p. . Milita, inoltre, a favore di tale interpretazione l’argomento logico-sistematico che fa ritenere incongruo -a seconda dei casi - l’obbligo o la facoltà del giudice di escutere la fonte diretta, che, identificandosi con l’imputato, non può essere chiamata a rendere dichiarazioni che possono pregiudicare la sua posizione Sez. 2, n. 17107 del 22/03/2011, Cocca, Rv. 250252 Sez. 6, n. 33750 dell’11/05/2005, Longoni, Rv. 232043 Sez. 5. n. 26628 del 25/03/2004, Sappracone, Rv. 229863 Sez. 5, n. 552 del 13/03/2003, dep. 12/01/2004, Attanasi, Rv. 227021 . 8.2. Per quanto riguarda la testimonianza indiretta la giurisprudenza di legittimità ha affermato che in tema di testimonianza indiretta, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all’esito di una valutazione improntata a speciale cautela, la deposizione del teste de relato in quanto, da un lato, l’art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall’altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014 dep. 2015, N., Rv. 261793 . Si tratta, cioè, di uno specifico onere motivazionale che non può limitarsi alla prevalenza della dichiarazione diretta rispetto a quella indiretta. 8.3. Ciò premesso, quando il dichiarante di riferimento viene esaminato sul contenuto della dichiarazione riportata dal collaboratore di giustizia, il giudice è tenuto a compiere una valutazione di attendibilità che non può prescindere dalla considerazione delle caratteristiche di esso dichiarante, dei rapporti esistenti con i chiamati in reità o correità, del contegno processuale e, più in generale, della evidente ritrosia a confermare il contenuto dichiarazioni accusatorie che coinvolgono persone allo stesso vicine e che riguardano, usualmente, fatti costituenti grave reato. Se, per un verso, il collaboratore di giustizia ha dimostrato di aver intrapreso un chiaro percorso di allontanamento dalla precedente condotta deviante, per altro verso, il dichiarante di riferimento, qualora appartenente al contesto entro il quale sono maturati i fatti per i quali si procede, risulta portatore di un interesse contrastante che impone al giudice di scrutinare attentamente il valore probatorio della sua dichiarazione. 8.4. Nel caso di specie la Corte distrettuale si è limitata a dare atto che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non hanno trovato conforto nei dichiaranti di riferimento, senza neppure verificare la credibilità e attendibilità di questi ultimi che risultano a vario titolo coinvolti in attività criminali connesse a quelle oggetto del giudizio e che, proprio per il contenuto delle dichiarazioni oggetto di esame che si riferiscono alla commissione di gravi reati contro la persona e in tema di armi, si vengono a trovare di fronte alla scelta se ammettere o negare il proprio coinvolgimento anche solo indiretto in tali fatti. Per tali ragioni la sentenza mostra un evidente errore logico-giuridico che ne impone, anche sotto questo profilo, l’annullamento, dovendo la Corte distrettuale fare applicazione del seguente principio di diritto in tema di dichiarazione de relato, qualora la persona alla quale il collaboratore di giustizia ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all’esito di una valutazione complessiva della credibilità del dichiarante diretto, la deposizione del dichiarante de relato in quanto, da un lato, l’art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall’altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare . 9. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bari che, attenendosi agli indicati principi di diritto, colmerà i vizi motivazionali sopra evidenziati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.