Epiteti offensivi in chat su una terza persona possono valere una condanna

Riflettori puntati su alcune conversazioni realizzate da alcuni minorenni tramite WhatsApp. Esclusa l’imputabilità del ragazzo sotto processo all’epoca dei fatti non aveva neanche 14 anni. Allo stesso tempo, però, è impossibile ipotizzare un proscioglimento nel merito, poiché lo scambio di messaggi online era caratterizzato da offese rivolte a una minorenne non presente nella chat di gruppo.

Offendere pesantemente una persona in una chat di gruppo su WhatsApp può costare una condanna per diffamazione”. A dirlo i Giudici della Cassazione, che hanno affrontato il delicato caso riguardante alcuni minorenni. Esclusa l’imputabilità di uno dei soggetti indagati, poiché minore degli anni 14” al momento del fatto. Per i magistrati, però, è bene precisare che anche gli insulti messi per iscritto in una chat di gruppo e rivolti a una persona estranea a quello scambio on line sono sufficienti per parlare di diffamazione Cassazione, sentenza n. 7904/19, sez. V Penale, depositata il 21 febbraio . Trascrizioni. Tutto ha origine in un gruppo su WhatsApp che vede coinvolti numerosi minorenni. Durante una chat vengono rivolte pesanti offese a una ragazza – anch’ella minorenne – ma quegli epiteti non rimangono privati, bensì vengono alla luce. E così sotto processo con l’accusa di diffamazione finisce uno dei componenti della chat, che, all’epoca dei fatti, non aveva neanche 14 anni. Quest’ultimo dato lo salva. Il Gip del Tribunale dichiara il non luogo a procedere , poiché ci si trova di fronte a una persona non imputabile . Esclusa, invece, l’ipotesi del proscioglimento del minore nel merito . E su questo fronte i Giudici della Cassazione confermano le osservazioni del Gip e respingono le obiezioni proposte dal minorenne – oggi 15enne – e dai suoi genitori. Inequivocabili sono le trascrizioni delle conservazioni realizzate su WhatsApp. Per i giudici, in sostanza, è impossibile parlare di mera ingiuria . Più logico, invece, catalogare il comportamento tenuto dal minorenne come una diffamazione in piena regola della persona che in chat era stata definitiva con parole offensive.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 gennaio – 20 febbraio 2019, n. 7904 Presidente Pezzullo - Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. Nell'interesse di Co. Al. è proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Bari del 18 gennaio 2018, che ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Co. Al., indagato per il delitto di cui all'art. 595 cod. pen., trattandosi di persona non imputabile perché minore degli anni quattrodici al momento del fatto. A sostegno della decisione assunta, il giudice censurato ha escluso che dagli atti d'indagine emergesse l'evidenza della prova richiesta ai fini dell'invocato proscioglimento nel merito del minore, atteso che il tenore dei messaggi a questi riferibili, versati nella chat di un 'gruppo whatsapp' cui egli partecipava, non potevano dirsi 'ictu oculi' privi di valenza offensiva per la reputazione di altra minore. 2. Della sentenza impugnata è chiesto l'annullamento, denunciandosi - il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 234 cod.proc.pen., per essere inutilizzabili le trascrizioni delle conversazioni effettuate tramite 'whatsapp' non essendone stato acquisito il relativo supporto, il quale solo costituisce la prova documentale delle conversazioni medesime - il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 595 cod. pen., la situazione di scambio comunicativo che viene in rilievo in una 'chat' di 'whatsapp' non integrando il delitto di diffamazione, ma l'illecito civile di ingiuria - il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 599, comma 2, cod. pen., e il vizio di motivazione, nella parte in cui il giudice censurato aveva escluso che l'allontanamento di una delle minori partecipanti alla 'chat' dalla scuola, determinata da contrasti con la minore vittima delle espressioni offensive, non integrasse il fatto ingiusto altrui suscettibile di innescare la reazione degli autori del reato rilevante quale causa di loro non punibilità. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Il primo motivo è inammissibile per aspecificità, perché omette di indicare l'incidenza dell'eventuale eliminazione dell'elemento di prova ritenuto inutilizzabile - nel caso di specie le trascrizioni delle conversazioni whatsapp -ai fini della cosiddetta prova di resistenza ciò in quanto, secondo il magistero di questa Corte, gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 - dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 269218 Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 - dep. 23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011 Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014 - dep. 06/05/2014, Barilari, Rv. 259452 . Indicazione tanto più necessaria nel caso al vaglio, posto che è lo stesso ricorrente a dare atto, nel corpo del motivo di ricorso, dell'esistenza, nel compendio probatorio, della stampa dei messaggi di contenuto offensivo riferibili all'indagato, estrapolata dal 'display' di un telefono cellulare nella disponibilità della persona offesa, certamente utilizzabile alla stregua di prova documentale ai sensi dell'art. 234 cod.proc.pen., che consente L'acquisizione di scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia o qualsiasi altro mezzo e della quale non è disconosciuta la genuinità. 2. Il profilo di doglianza che deduce l'inconfigurabilità del delitto di diffamazione, attesa la partecipazione della destinataria delle offese alla chat' di 'whatsapp', ricorrendo, piuttosto, l'illecito civile di ingiuria, deve essere affrontato assumendo a parametro interpretativo i principi enunciati da questa Corte in tema di diffamazione commessa mediante 'e - mail' o mediante 'internet'. Nelle pronunce in materia si è, infatti, argomentato nel senso che la eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive non può indurre a ritenere che, in realtà, venga, in tale maniera, integrato l'illecito di ingiuria magari, a suo tempo, sub specie del delitto di ingiuria aggravata ai sensi dell'art. 594, comma 4, cod.pen. , piuttosto che il delitto di diffamazione, posto che, sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato 'e-mail' o 'internet consenta, in astratto, anche al soggetto vilipeso di percepire direttamente l'offesa, il fatto che messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori - i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi -, fa si che l'addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, P.M. in proc. Nastro, Rv. 254044 Sez. 5, n. 4741 del 17/11/2000, Pm. In proc. Ignoti, Rv. 217745 di qui l'offesa alla reputazione della persona ricompresa nella cerchia dei destinatari del messaggio. Nel caso al vaglio, peraltro, dallo stesso tenore dei messaggi offensivi siccome riportato in sentenza Si vabbè non se ne deve andare lei per colpa di una Troia Putt zo emerge come la minore parte lesa del reato fosse estranea allo specifico contesto comunicativo, nel quale erano coinvolti i soli minori indagati dialoganti tra loro. 3. Il secondo motivo di ricorso non tiene conto dello statuto probatorio della pronuncia di proscioglimento nel merito adottabile ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod.proc.pen Se, infatti, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 , l'approfondimento richiesto ai fini della verifica del ricorrere, nel caso al vaglio, della causa di non punibilità di cui all'art. 599, comma 2, cod. pen., è incompatibile con l'evidenza richiesta dalla norma dianzi evocata, che presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione Sez. 2, n. 9174 del 19/02/2008, Palladini, Rv. 239552 . 4. S'impone, pertanto, il rigetto del ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, tanto essendo imposto dalla legge. P. Q. M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.