Il decorso ex novo dei termini massimi di custodia cautelare

La decorrenza del termine di fase, nelle ipotesi in cui sia disposto dal giudice d’appello l’annullamento della sentenza impugnata che riporta l’intero procedimento alla fase di primo grado, non può essere individuato dall’esecuzione della misura cautelare.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n, 7647/19, depositata il 20 febbraio. Il caso. Il Procuratore della Repubblica propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che aveva accolto l’appello proposto dall’imputato, sottoposto a misura cautelare in carcere perché ritenuto responsabile di numerosi episodi di violenza sessuale a danno della figlia minore. I termini di ogni fase processuale. Per quanto riguarda il computo dei termini di custodia cautelare, il Supremo Collegio ribadisce che esso è regolato dall’art. 303 c.p.p. in relazione a 4 distinte fasi processuali, indagini preliminari, giudizio di primo grado, giudizio di appello e fase successiva fino alla sentenza irrevocabile, facendo alcune distinzioni in particolare è previsto il computo del temine massimo determinato nelle prime due fasi di giudizio con riferimento alla pena stabilita dalla legge per il reato per cui si procede, mentre nelle due fasi successive il computo stesso va ancorato alla pena concretamente irrogata. Ebbene, nel caso in esame, anche se il processo era pervenuto alla fase di appello, la sentenza di annullamento della pronuncia di condanna ha determinato la regressione del procedimento al primo grado di giudizio, pertanto trovano applicazione i criteri di computo del termine dettati dalla legge per le prime due fasi di giudizio. Dunque tale motivo di ricorso risulta infondato. Computo ex novo dei termini. Fondato invece è il secondo motivo di ricorso. A tal proposito la decorrenza del termine di fase, nelle ipotesi in cui sia disposto dal giudice d’appello l’annullamento della sentenza impugnata che riporta l’intero procedimento alla fase di primo grado, non può essere individuato come invece avevano ritenuto i giudici del riesame nel caso in esame dall’esecuzione della misura cautelare poiché si tratta di una fase, ossia quella delle indagini preliminari, antecedente a quella in cui il procedimento è regredito. Ma trova applicazione la regola che impone la decorrenza ex novo dei termini di fase relativamente a ciascun stato e grado del procedimento. Pertanto, sia che il dies a quo venga individuato dalla data del provvedimento che dispone il regresso, sia che la decorrenza venga fissata in concomitanza con la data di emissione del provvedimento che dispone il giudizio, in ogni caso il termine di fase previsto per il giudizio di primo grado non può reputarsi scaduto. L’ordinanza impugnata va quindi annullata con rinvio al Tribunale del riesame.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 giugno 2018 – 20 febbraio 2019, n. 7647 Presidente Sarno - Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 19.4.2018 il Tribunale di Caltanissetta ha accolto l’appello proposto da I.V. , sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere in quanto imputato per diversi episodi di violenza sessuale ai danni della figlia minore, avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di Gela in data 28.3.2018 con la quale era stata rigettata l’istanza di declaratoria di inefficacia della misura custodiale per decorrenza dei termini di fase, con conseguente scarcerazione del medesimo. 2. Avverso il suddetto provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gela ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, dopo aver premesso che l’imputato, sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere con ordinanza del GIP presso il Tribunale di Gela in data 6.3.2016, era stato condannato, a seguito di giudizio immediato, dal Tribunale di Gela, in quanto ritenuto responsabile dei delitti di violenza sessuale contestatigli, alla pena di nove anni e sei mesi di reclusione, ma che detta pronuncia era stata annullata dalla sentenza pronunciata dalla Corte di Appello in data 9.1.2018, con conseguente regressione del procedimento e della fase cautelare al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 303 c.p.p., comma 2, trattandosi di annullamento disposto ai sensi dell’art. 604 c.p.p., contesta il richiamo effettuato dal Tribunale del Riesame alla sentenza a Sezioni Unite del 2014 in quanto riguardante un diverso caso di sospensione rientrante nell’art. 304 c.p.p., comma 2, e la conseguente ritenuta inapplicabilità nel computo del doppio termine di fase del termine di sei mesi. Sostiene al riguardo il ricorrente che, trattandosi di annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 604 c.p.p., debba trovare applicazione il termine di sei mesi di cui all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b , da sommare al termine massimo di due anni. 2.2. Con il secondo motivo deduce che altresì errata deve ritenersi la decorrenza, affermata dal Tribunale del riesame, del termine di due anni dalla data di esecuzione della misura custodiale, atteso che essendo il procedimento regredito al giudizio di primo grado e non alla fase delle indagini preliminari, trova applicazione la previsione di cui all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b , secondo cui il termine relativo a tale fase decorre dall’emissione del provvedimento che dispone il giudizio, ovverosia dal decreto di ammissione al giudizio abbreviato dell’8.7.2016, essendo principio pacifico che l’effetto derivante dall’applicazione dell’art. 303, comma 2, sia la decorrenza del nuovo termine di fase del tutto svincolata dal tempo già trascorso nella fase o nel grado in cui il processo è regredito, a questo non cumulabile. Considerato in diritto 1. Il primo motivo non può ritenersi meritevole di accoglimento. Osserva il Collegio che il computo dei termini di custodia cautelare è regolato dall’art. 303 c.p.p., che lo disciplina in relazione a quattro distinte fasi indagini preliminari, giudizio di primo grado, giudizio di appello e fase successiva sino alla sentenza irrevocabile , distinguendo il computo del termine massimo che nelle prime due fasi va determinato con riferimento esclusivo alla pena stabilita dalla legge per il reato per il quale si procede, mentre nelle due fasi successive va ancorato non più alla pena legislativamente prevista, bensì a quella concretamente irrogata, non potendo pertanto prescindersi dalla intervenuta pronuncia di condanna e dagli effetti che da essa scaturiscono. Nel caso di specie, pur essendo il processo pervenuto alla fase di appello, tuttavia la sentenza di annullamento, resa dalla Corte distrettuale di Caltanissetta, della pronuncia di condanna a nove anni e sei mesi di reclusione emessa dal giudice di prime cure, ha determinato la regressione del procedimento al giudizio di primo grado, di talché trovano necessariamente applicazione, relativamente al computo dei termini di fase, i criteri dettati per le prime due fasi del giudizio in base al combinato disposto degli artt. 278 e 303 c.p.p., con conseguente decorrenza ex novo come previsto dall’art. 303, comma 2, dei termini previsti dal primo comma relativamente a ciascun stato e grado del procedimento. In tale computo occorre tuttavia tenere conto dell’art. 304 c.p.p., comma 6, che individua l’insuperabile termine di fase finale nel doppio di tale termine laddove prevede che la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall’art. 303 c.p.p., commi 1, 2, e 3, senza tener conto dell’ulteriore termine previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b , n. 3 bis . Risponde invero all’interpretazione consolidata di questa Corte il principio secondo il quale l’applicazione del meccanismo di recupero previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b , n. 3 bis, che consente il prolungamento dei termini di fase per mezzo dell’imputazione del periodo residuo a fasi diverse, non comporta l’aumento dei termini massimi di custodia di cui all’art. 304 c.p.p., comma 6 Sez. 6, n. 46482 del 30/10/2013 - dep. 21/11/2013, P.M. in proc. Mennella, Rv. 257710 Sez. 6, n. 38671 del 07/10/2011 - dep. 25/10/2011, Amasiatu, Rv. 250847 . Avendo il Tribunale del riesame correttamente escluso dal computo i sei mesi di cui all’art. 303, comma 1, lett. b , l’ordinanza impugnata deve ritenersi sotto tale profilo immune da censure. 2. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso. La decorrenza del termine di fase, allorquando sia stato disposto dai giudici di appello l’annullamento della sentenza impugnata che riporta l’intero procedimento alla fase di primo grado, non può essere individuato, come sostengono i giudici del riesame, dall’esecuzione della misura cautelare, nella specie emessa dal GIP del Tribunale di Gela in data 6.3.2016 ed eseguita in pari data, perché trattasi di una fase, ovverosia quella delle indagini preliminari, antecedente a quella in cui il procedimento è regredito, che non consente di computare l’intero periodo trascorso in vinculis dall’originaria decorrenza della custodia cautelare ai fini della diversa fase relativa al primo grado di giudizio. Trova infatti applicazione il disposto di cui all’art. 303 c.p.p., comma 2, che impone la decorrenza ex novo dei termini di fase relativamente a ciascun stato e grado del procedimento. Norma questa in cui, come infatti già affermato in un risalente ma tuttora condivisibile arresto di questa Corte, ai fini del nuovo decorso dei termini di fase della durata della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 2, la previsione di una situazione sufficientemente determinata, qual è l’annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, esplicitata dalla stessa norma, ha valore semplicemente esemplificativo, e pertanto il meccanismo della nuova decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare va ricollegato a tutti i casi di regressione o di rinvio del procedimento ad altro giudice, anche se questi ne ha avuto già cognizione Sez. 1, n. 3972 del 05/06/1997 - dep. 08/10/1997, Esen e altri, Rv. 208584 . Pertanto, sia che il dies a quo venga individuato secondo quanto previsto dallo stesso art. 303, comma 2, dalla data del provvedimento che dispone il regresso, ovverosia dal 9.1.2018, tale essendo la data di pronuncia della sentenza della Corte di Appello che ha annullato la decisione di primo grado, computandosi da allora il termine di un anno, sia che la decorrenza venga fissata, secondo quanto disposto dall’art. 303, comma 1, lett. b , in concomitanza con la data di emissione del provvedimento che dispone il giudizio, ovverosia dal decreto di giudizio immediato dell’8.7.2016, considerandosi in tal caso il termine massimo complessivo di fase, pari a due anni, in ogni caso il termine di fase previsto per il giudizio di primo grado non può reputarsi scaduto. L’ordinanza impugnata deve essere conseguentemente annullata con rinvio per nuovo esame, anche valutando eventuali periodi di sospensione non noti a questa Corte, al Tribunale di Gela, che dovrà attenersi ai rilievi sopra evidenziati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con invio al Tribunale di e Caltanissetta.