È necessario specificare i luoghi oggetto del divieto di avvicinamento?

Gli Ermellini rispondono negativamente la generica indicazione dei luoghi frequentati dalla persona offesa non comporta l’illegittimità dell’ordinanza che dispone il divieto di avvicinamento a detti luoghi, poiché, l’individuazione deve avvenire per relationem in riferimento ai luoghi di volta in volta frequentati dalla persona offesa.

Così il Supremo Collegio con la sentenza n. 7633/19, depositata il 19 febbraio. La misura cautelare personale. Il Tribunale di Reggio Calabria conferma l’ordinanza del GIP tramite cui è stata applicata all’indagato la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati ex art. 282 -ter , c.p.p. dalla convivente e dei loro figli minori, persone maltrattate dallo stesso indagato. In sede di riesame, il Tribunale confermava l’ordinanza del GIP. Il condannato ricorre in Cassazione lamentando l’illogicità della decisione del Tribunale i Giudici, in particolare, non avrebbero specificato quali siano i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa . Individuazione dei luoghi. La S.C. ribadisce che l’ordinanza che dispone la misura cautelare personale ex art. 282 -ter , c.p.p. è da ritenere legittima anche se non indichi specificamente i luoghi oggetto del divieto . Tale individuazione, aggiungono gli Ermellini, deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi, in cui, di volta in volta, si trovi la persona offesa . Ne consegue che, laddove tali luoghi vengano frequentati dall’imputato per pura coincidenza, costui deve comunque allontanarsi dagli stessi. Diversamente ragionando, sottolineano i Magistrati della Suprema Corte, individuare solo alcuni e specifici luoghi in cui l’imputato non può accedere in forza della misura cautelare suddetta, consentirebbe all’agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell’elenco definito dal giudice in tal modo si indebolirebbe la ratio della norma considerata, diretta a tutelare il diritto della persona offesa di esplicare la propria personalità e la propria vita in condizioni di assoluta sicurezza. In ragione di ciò, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 gennaio – 19 febbraio 2019, n. 7633 Presidente Petitti - Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Reggio Calabria, adito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza del 30/03/2018 con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso quel Tribunale aveva disposto nei riguardi di S.H.P. l’applicazione della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese, in relazione al delitto di cui all’art. 572 c.p., e art. 61 c.p., n. 5, per avere maltrattato la convivente P.S. ed i loro due figli minori A. e D. . Rilevava il Tribunale come le emergenze procedimentali - in specie, le precise dichiarazioni accusatorie della P. , che avevano trovato riscontro nelle deposizioni della di lei sorella F. e di un vicino di casa, tal F.A. , nonché la documentazione relativa a precedenti denunce presentate dalla donna - avessero integrato i gravi indizi di colpevolezza a carico del S. e come le circostanze fattuali e la personalità dell’indagato avessero comprovato la esistenza di un concreto ed attuale pericolo di recidiva, adeguatamente fronteggiabile con l’applicazione della indicata misura cautelare personale non custodiale. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso S.H.P. , con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Francesco Calabrese, il quale ha dedotto i seguenti due motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 292, 274 e 275 c.p.p., art. 572 c.p., per avere il Tribunale del riesame confermato l’ordinanza genetica della misura, riproponendo il contenuto motivazionale del primo provvedimento, senza spiegare perché quella misura è adeguata rispetto alle esigenze cautelari ritenute sussistenti, e senza chiarire perché esista un rischio di reiterazione di analoghi reati, benché risulti che la persona offesa si sia trasferita con i figli in un’altra regione. 2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 282 ter c.p.p., per avere il Tribunale reggino omesso di specificare quali siano i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, indicati invece in maniera molto indeterminata. 3. Il ricorso è inammissibile. 3.1. Per ciò che concerne il primo motivo del ricorso, va osservato che nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907 Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586 . Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma molto indeterminata, un uso indiscriminato del sistema del copia ed incolla informatico da parte del Tribunale del riesame, senza, tuttavia, specificare quali parti sarebbero state copiate dalla ordinanza applicativa della misura cautelare e quali sarebbero state inserite dal Collegio dell’impugnazione incidentale. Peraltro, l’esame comparativo dei due provvedimenti, quello genetico del G.i.p. e quello di conferma del Tribunale del riesame, esclude che vi sia stato un acritico procedimento di copiatura della motivazione. 3.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato, in quanto non è affatto vero che il provvedimento genetico della misura applicata ai sensi dell’art. 282 ter c.p.p., non contenga alcuna indicazione dei luoghi frequentati dalla persona offesa in relazione ai quali era stato imposto all’indagato il divieto di avvicinamento, avendo il Tribunale del riesame chiarito che quei luoghi erano stati sufficientemente specificati con l’imposizione al prevenuto di non avvicinarsi alla casa dove la P. ed i due figli avevano trasferito la loro abitazione, al luogo di lavoro della donna, nonché alla scuola ed all’asilo rispettivamente frequentati dai due minori. Peraltro, reputa questo Collegio di dover privilegiare il prevalente orientamento esegetico secondo cui, in tema di misure cautelari personali, è legittima l’ordinanza che dispone, ex art. 282 ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza indicare specificamente i luoghi oggetto di divieto, in quanto la predetta individuazione deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, si trovi la persona offesa, con la conseguenza che, ove tali luoghi, anche per pura coincidenza, vengano ad essere frequentati anche dall’imputato, costui deve immediatamente allontanarsi dagli stessi e ciò perché, diversamente ragionando, si consentirebbe all’agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell’elenco tassativo eventualmente definito dal giudice, frustrando così la ratio della norma, tesa alla più completa tutela del diritto della persona offesa di poter esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza Sez. 5, n. 28677 del 14/03/2016, C., Rv. 267371 in senso conforme Sez. 5, n. 30926 del 08/03/2016, S., Rv. 267792, per la quale il divieto di avvicinamento ben può essere riferito alla stessa persona offesa, e non ai luoghi da essa frequentati, laddove la condotta, di cui è temuta la reiterazione, si connoti per la persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima, in qualsiasi luogo questa si trovi . Né può seriamente pretendersi che dei luoghi elencati siano indicati la esatta ubicazione topografica città, via, numero civico , in quanto, soprattutto nelle ipotesi nelle quali la vittima si è allontanata per necessità dalla casa familiare, una siffatta precisazione finirebbe per permettere all’indagato di conoscere con esattezza i dati anagrafici e l’ubicazione di quei luoghi, sui quali la persona offesa potrebbe avere interesse, per evidenti ragioni, a mantenere un riserbo. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo indicato nel dispositivo che segue. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.