Offese e minacce al Pubblico Ufficiale nell’infermeria della casa circondariale: è oltraggio o ingiuria?

Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a Pubblico Ufficiale, gli ambienti penitenziari non ricadono nella definizione di luogo di privata dimora poiché non essendo nel possesso dei detenuti sono da considerare come luoghi accessibili da un numero indefinito di soggetti che hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi .

Così il Supremo Collegio con la sentenza n. 6798/19, depositata il 12 febbraio. La condotta. Un detenuto offende e minaccia un Pubblico Ufficiale all’interno dell’infermeria della Casa Circondariale di Trieste condotta contestata come oltraggio a Pubblico Ufficiale. Successivamente il Tribunale di Trieste, previa riqualificazione della condotta in termini di ingiuria e minaccia, dichiara l’improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela. Secondo il Tribunale infatti, l’infermeria non rappresenta un luogo pubblico o aperto al pubblico poiché l’accesso non è consentito a un numero indifferenziato di soggetti . Stautizione non condivisa dal Procuratore Generale distrettuale che chiede la pronuncia dei Giudici di legittimità. L’insussistenza dello ius excludendi alios. È oramai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a Pubblico Ufficiale, la cella e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico, e non come luogo di privata dimora, non essendo nel possesso” dei detenuti, ai quali non compete alcuno ius excludendi alios . La stessa Corte aggiunge che per qualificare un ambiente come luogo aperto al pubblico è necessario che sia fruibile e accessibile ad un numero indeterminato di soggetti che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi . Dunque, è irrilevante, inoltre, che l’accesso dei detenuti in detto luogo sia coattivo e volto a soddisfare un interesse pubblico . La S.C., considerando che la statuizione del Tribunale è erronea per aver attribuito un carattere non pubblico né aperto al pubblico all’infermeria della Casa Circondariale di Trieste quale ambiente penitenziario, annulla la sentenza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 novembre 2018 – 12 febbraio 2019, n. 6798 Presidente Gianesini – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Trieste ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, previa riqualificazione del reato di oltraggio di cui all’art. 341 bis c.p., originariamente contestato a P.D. in termini di ingiuria art. 594 c.p. e minaccia art. 612 c.p., comma 1 . 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale distrettuale, osservando che il Tribunale ha ritenuto che le offese e le minacce in danno del pubblico ufficiale non siano avvenute in luogo pubblico o aperto al pubblico , tale non ritenendo il luogo di accadimento della condotta infermeria della Casa Circondariale di , ma con ciò incorrendo in un palese errore di diritto evidenziato dalla costante giurisprudenza di legittimità di segno contrario. 3. Ha fatto pervenire memoria anche l’imputato resistente, che reputa come il ricorso non colga nel segno, atteso che nell’ambito carcerario l’accesso non è possibile ad un numero indifferenziato di soggetti non identificati o identificabili, mentre la sussistenza di elementi circostanziali idonei a sostenere un diversa valutazione rispetto a quanto prospettato avrebbe dovuto essere se del caso oggetto di allegazione e prova durante il processo di merito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. 2. È principio nel tempo costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la cella e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico, e non come luogo di privata dimora, non essendo nel possesso dei detenuti, ai quali non compete alcuno ius excludendi alios” e che ai fini della qualificazione dell’ambiente come luogo aperto al pubblico, è essenziale la sua destinazione alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi, essendo, invece, irrilevante che l’accesso dei detenuti sia coattivo e volto a soddisfare un interesse pubblico” Sez. 6, sent. n. 26028 del 15/05/2018, D. R., Rv. 273417 Sez. 7, ord. n. 21506 del 16/03/2017, Roman, Rv. 269781 conf. Sez. 1, sent. n. 1752 del 30/10/1986, dep. 1987, Biallo, Rv. 175126 Sez. 3, sent. n. 8600 del 20/05/1983, Gulino, Rv. 160756 . Risulta, dunque, palesemente contrastante con la predetta giurisprudenza la statuizione del Tribunale di Trieste in ordine al carattere non pubblico né aperto al pubblico degli ambienti penitenziari, interpretazione accolta con il sostegno di alcune decisioni di giudici di merito di segno analogo. 3. La decisione del Tribunale di Trieste va di conseguenza annullata ma essendo stata impugnata per saltum ai sensi dell’art. 569 c.p.p., comma 1, gli atti vanno trasmessi per il giudizio di appello al giudice competente ai sensi del comma 4 dello stesso articolo. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte d’Appello di Trieste.