Picchia la moglie e la obbliga a rimanere dentro casa: è sequestro di persona

Confermata la condanna per il marito. Respinta la tesi difensiva secondo cui egli avrebbe cercato così di calmare la consorte e di evitare di destare scandalo nei vicini di casa.

Prima ha aggredito e percosso la moglie, e poi l’ha obbligata a rimanere dentro l’appartamento, sostenendo di volerla calmare dopo il litigio e di volere evitare di destare scandalo nei vicini di casa. Giustificazione, quest’ultima, risibile, secondo i giudici, che difatti ritengono l’uomo colpevole di sequestro di persona Cassazione, sentenza n. 6738/19, sez. V Penale, depositata oggi . Tempo. Ricostruita la vicenda, il protagonista negativo – un uomo originario della Nigeria – è finito sotto processo per il comportamento tenuto nei confronti della moglie. Due i capi di accusa sequestro di persona e lesioni . Per il secondo reato vi è la remissione della querela da parte della donna. Per il primo reato, invece, il procedimento prosegue regolarmente, e si conclude, prima in Tribunale e poi in appello, con la condanna dell’uomo. Identico esito, infine, anche in Cassazione, dove viene respinta l’obiezione difensiva proposta dal legale del marito, obiezione centrata sul fatto che la privazione della libertà della donna era durata per un lasso temporale minimo e comunque non apprezzabile circa 15 minuti e sulla intenzione dell’uomo di far calmare la moglie la moglie in seguito al litigio e di non destare scandalo nel vicinato . Per i Giudici del Palazzaccio bisogna innanzitutto tenere a mente che il sequestro di persona si concretizza quando vi è l’impossibilità della vittima di recuperare la propria libertà di movimento, anche relativa, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può anche essere breve . E in questa vicenda, peraltro, è emerso che la privazione della libertà personale della donna è durata per un apprezzabile lasso temporale , cioè circa un’ora dopo che ella era stata brutalmente percossa dal marito. Impossibile, quindi, concludono i magistrati, negare la privazione della libertà di movimento subita dalla donna, che si trovava nell’impossibilità di recuperare agevolmente la sua condizione di libertà .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 novembre 2018 – 12 febbraio 2019, n. 6738 Presidente Pezzullo – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna emessa in data 5.10.2016 dal Tribunale di Monza per il reato di cui all'art. 605 cod. pen., essendo già intervenuta in primo grado remissione di querela da parte della persona offesa per il diverso reato di lesioni originariamente contestato all'imputato. Avverso la predetta sentenza ricorre l'imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a tre motivi di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione di legge processuale in riferimento agli artt. 420-bis e 420-quater, comma primo, cod. proc. pen. Si osserva che il giudice di prima istanza, nonostante avesse appreso dalle dichiarazioni della persona offesa che l'imputato era ristretto in carcere per un altro procedimento, aveva proseguito nell'espletamento della prova orale senza rinnovare immediatamente la notifica della citazione e senza disporre la traduzione dell'imputato in udienza. Errata era, dunque, la risposta fornita dalla Corte di Appello sul punto qui in esame, perché aveva evidenziato che, in assenza dell'imputato, non era stata espletata alcuna attività istruttoria. 1.2 Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge in riferimento agli artt. 605 e 54 cod. pen Si evidenzia che difetterebbe l'elemento soggettivo del reato contestato perché la privazione della libertà della vittima era durata per un lasso temporale minimo e comunque non apprezzabile circa 15 minuti e che l'intenzione del ricorrente non era quella di privare della libertà di movimento la moglie, ma solo quella di farla calmare in seguito al litigio e di non destare scandalo nel vicinato. 1.3 Con un terzo motivo si deduce violazione dell'art. 62 bis cod. pen. in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento. 2.1.1 Dalla lettura dell'incarto processuale - cui anche la Corte di Cassazione può accedere, essendo quello denunziato un error in procedendo che rende il giudice di legittimità giudice del fatto processuale - emerge che l'informazione al giudice procedente da parte della persona offesa circa lo stato di detenzione dell'imputato era stata fornita solo dopo la sua escussione testimoniale, di talché del tutto correttamente il giudice del dibattimento aveva disposto il rinvio dell'udienza per le ulteriori incombenze istruttorie e la traduzione dell'imputato per l'udienza così rinviata. Più in particolare, va evidenziato che dal confronto incrociato tra il verbale sintetico della udienza del 20.4.2016 e quello stenotipico emerge con chiarezza che, solo dopo il raccoglimento da parte del giudice del dibattimento della volontà della persona offesa di procedere alla remissione della querela e l'escussione della stessa persona offesa, si è acquisita la notizia fornita da quest'ultima della detenzione dell'odierno imputato presso il carcere di Bollate. Ne consegue che nessuna violazione delle norme sopra invocate è rintracciabile nel caso di specie, norme che, peraltro, riguardano il procedimento in absentia che non è certo applicabile al caso di specie, essendo stato raggiunto il ricorrente da regolare notifica della citazione a giudizio ed avendo avuto dunque contezza del procedimento a suo carico. Né è stato allegato e dimostrato da parte della difesa del ricorrente che, al momento della notificazione della citazione a giudizio dell'imputato, quest'ultimo si trovasse già in stato detentivo. Per come prospettato il motivo di doglianza è dunque infondato. 2.2 II secondo motivo di censura è invece inammissibile perché versato in fatto e diretto a rivalutare la prova dichiarativa, già, invece, correttamente scrutinata dai giudici del merito in ordine alla valutazione di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 605 cod. pen. e di un apprezzabile lasso temporale di privazione della libertà personale della vittima del reato. 2.2.1 Sotto quest'ultimo profilo, va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento espresso da questa Corte di legittimità, ai fini dell'integrazione del delitto di sequestro di persona art. 605 cod. pen. è sufficiente l'impossibilità della vittima di recuperare la propria libertà di movimento anche relativa, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può anche essere breve, a condizione che sia giuridicamente apprezzabile Sez. 5, Sentenza n. 28509 del 13/04/2010 Ud. dep. 20/07/2010 Rv. 247884 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 15443 del 26/11/2014 Ud. dep. 15/04/2015 Rv. 263340 - 01 . Ciò detto, l'impugnata motivazione dà conto della privazione da parte dell'agente della libertà personale della persona offesa per un apprezzabile lasso temporale circa un'ora, dopo che era' stata la stessa brutalmente percossa , di talché si evince con sicurezza il presupposto oggettivo della condotta consistita nella privazione della libertà di movimento della vittima che si trovava, dunque, nell'impossibilità di recuperare agevolmente la sua condizione di libertà. Proseguire oltre nella valutazione del profilo dell'apprezzabilità del lasso temporale richiesto per l'integrazione del reato in parola significherebbe penetrare nelle valutazioni di merito rimesse all'esclusiva cognizione dei giudici delle due prime fasi di giudizio e come tali inibite invece alla Corte di legittimità. 2.3 II terzo motivo di doglianza, articolato sul profilo della determinazione della pena, è, invece, inammissibile perché versato in fatto e formulato in modo generico. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d'ufficio.