Causalità della colpa e circolazione stradale

In tema di colpa stradale, il giudizio di responsabilità va individualizzato e personalizzato sulla base degli elementi del fatto opera, quindi, una doppia misura del dovere di diligenza, dovendosi valutare, sul profilo oggettivo, la concreta idoneità della violazione della regola cautelare a produrre l’evento e, sul versante soggettivo, l’esigibilità in concreto della condotta alternativa lecita da parte dell’agente.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza n. 6414 depositata il 11 febbraio 2019. La causalità della colpa. Con la sentenza in commento, la Quarta Sezione rimarca i confini valutativi della responsabilità per colpa in materia di circolazione stradale. L’elaborazione giurisprudenziale è ormai consolidata nel ritenere che la mera violazione della regola cautelare non sia sufficiente per muovere un rimprovero a titolo di colpa all’agente anche qualora sussista il nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento, è necessario chiedersi se l’evento rappresenti la concretizzazione del rischio che la norma cautelare mirava a prevenire. In altri termini, qualora il comportamento alternativo lecito sarebbe stato inidoneo ad evitare l’evento, difetta il requisito dell’evitabilità, per cui nessun rimprovero personale può essere mosso all’agente. Benché il principio appaia chiaro nella mente del giudice penale, le circostanze del fatto concreto e lo specifico accertamento dibattimentale posso deviare” l’ordinario percorso di tale regola. E’ ciò che, secondo la Suprema Corte, è accaduto nel caso in esame, ove la Corte di appello di Trieste, riformando la pronuncia assolutoria in primo grado, non ha considerato la possibilità del reo di evitare il sinistro stradale la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento, infatti, vanno sempre valutate in concreto. La vicenda nei due gradi del giudizio di merito. Il ricorrente, nell’avanzare una serie di censure avverso il provvedimento impugnato, rileva l’errata analisi del giudice di secondo grado sia in relazione al nesso causale tra la violazione della regola cautelare e l’evento, sia con riguardo all’elemento soggettivo del reato. La fattispecie attiene all’omicidio stradale di un soggetto anziano che veniva investito, mentre attraversava la strada in prossimità delle strisce pedonali, a causa delle pessime condizioni atmosferiche. Il Tribunale ne aveva escluso la responsabilità posto che l’agente viaggiava alla velocità ridotta di 35 km/h e non vi erano prove in merito alle modalità di attraverso della vittima, che potevano essere state repentine e quindi non immediatamente percepibili dall’autista. La Corte territoriale ribaltava la pronuncia e, sulla base di una diversa valutazione degli elementi istruttori raccolti in primo grado, riteneva che l’autista avrebbe dovuto prevedere il possibile attraversamento di pedoni dalla circostanza della presenza di un’auto posteggiata nel ciglio della strada. Inoltre, l’esigibilità della condotta sarebbe legata anche al fatto che le sfavorevoli condizioni meteorologiche avrebbero dovuto indurre l’autista a diminuire la velocità di percorrenza che, se pari o inferiori a 19 km/h, avrebbe presumibilmente evitato l’evento. I profili della responsabilità per colpa la prevedibilità e l’evitabilità in concreto. Il ricorso è fondato. La Suprema Corte, ripercorrendo i due gradi di giudizio e premettendo i consolidati principi di diritto in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, ritengono che, nel caso di specie, la Corte territoriale abbia errato nella valutazione concreta dei fatti. In primo luogo, con riguardo all’analisi del nesso di causalità, e quindi del profilo dell’oggettiva evitabilità dell’evento, il giudice di appello avrebbe dovuto procedere con la valutazione dei dati tecnici dimensione della carreggiata, spazio di frenata ecc. dai quali desumere se l’effettiva velocità inferiore sarebbe stata idonea ad evitare l’evento. L’analisi, invece, è stata condotta sulla mera confutazione posta in essere dal giudice di prime cure, senza evidenziare la rigorosa relazione rispetto ai dati tecnici dai quali desumere con probabilità vicino alla certezza che il rispetto della norma cautelare avrebbe scongiurato l’evento lesivo. In secondo luogo, con riferimento al profilo dell’elemento soggettivo, la Corte di appello non avrebbe tenuto ragionevolmente in considerazione il principio della c.d. causalità della colpa l’esigibilità in concreto di una condotta diversa da parte dell’automobilista non può basarsi sulla mera probabilità che da ogni macchina parcheggiata a lato della strada possa scendere un passeggero che si determini nell’attraversamento sarebbe stato necessario, invece, indicare gli elementi in base ai quali l’automobilista avrebbe percepito che il parcheggio fosse avvenuto nell’immediatezza del fatto, così da poter ragionevolmente ritenere che dall’auto sarebbe potuto scendere qualcuno. Nell’ambito della circolazione stradale, conclude la Corte, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi spazio – temporali e di valutare la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento sulla base del caso concreto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 gennaio – 11 febbraio 2019, numero 6414 Presidente Fumu – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, ha riformato la pronuncia assolutoria con formula perché il fatto non costituisce reato pronunciata dal Tribunale di Pordenone il 12/04/2016 nei confronti di V.I. , imputato del reato di cui all’articolo 589 c.p., commi 1 e 2, perché, mentre percorreva, intorno alle ore 18 30 del omissis , alla guida dell’autovettura Jeep Cherokee, la via omissis , aveva investito il pedone M.A. classe cagionandogli lesioni personali alle quali era seguito il decesso in data omissis . Fatto commesso con colpa consistita in imprudenza nella guida e, in particolare, nell’inosservanza del disposto del D.Lgs. 30 aprile 1992, numero 285, articolo 141, comma 3, per non avere adeguato la velocità del veicolo alle condizioni di insufficiente visibilità per le condizioni atmosferiche a causa dell’intensa precipitazione piovosa in atto e della scarsità di luce dovuta all’orario serale e articolo 191 C.d.S., comma 3, per non aver prevenuto la situazione di pericolo derivante dal comportamento della persona offesa, persona anziana che, avendo poco prima parcheggiato la propria autovettura sulla destra della carreggiata, nel medesimo senso di percorrenza, era sceso dal veicolo ed aveva iniziato l’attraversamento della carreggiata, peraltro poco oltre le strisce pedonali presenti sul posto. 2. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che la condotta dell’imputato fosse esente da colpa perché non sarebbe stato da lui esigibile un comportamento diverso da quello tenuto, posto che ad una velocità di km/h 35 l’auto era già praticamente ferma e che non vi erano prove in merito alle modalità di attraversamento, che potrebbero essere state del tutto repentine e non immediatamente percepibili dall’autista con particolare riguardo all’esito della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, in base alla quale per evitare l’incidente sarebbe stato necessario che l’automobilista tenesse una velocità pari o inferiore a km/h 19,4, il Tribunale aveva osservato che tale dato tecnico era stato enunciato partendo dal presupposto, smentito da altre risultanze istruttorie, che il pedone si trovasse sull’attraversamento pedonale. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Trieste appellante aveva evidenziato che l’investimento era avvenuto a circa tre metri da un passaggio pedonale e che la veneranda età del pedone impediva di ritenere che egli procedesse con balzi felini verso il marciapiede opposto che il mero rispetto del limite di velocità era inadeguato alle inclementi condizioni del tempo ed alle condizioni di tempo e di luogo, che rendevano eccessiva anche la velocità di km/h 35 che l’imputato non poteva non aver percepito che, prima di attraversare la strada, il M. avesse accostato il proprio veicolo sul lato destro della strada, avesse aperto la portiera e fosse sceso dall’auto che l’investimento con lo spigolo anteriore sinistro dimostrava che il pedone non fosse apparso improvvisamente ai margini della carreggiata ma che la stesse attraversando da un tempo adeguato a consentire al conducente dell’autovettura di avvedersi del pericolo. 4. La Corte territoriale ha ritenuto l’imputato responsabile del reato ascrittogli, condannandolo alla pena sospesa di mesi sei di reclusione, considerando che l’attraversamento della strada da parte della vittima era avvenuto nelle vicinanze di un attraversamento pedonale che l’imputato non aveva tenuto un comportamento prudente in prossimità di un attraversamento pedonale ed in condizioni atmosferiche particolarmente avverse che l’automobilista non poteva non aver notato l’ingombro creato sulla carreggiata dall’auto del M. che tale ingombro costituiva ulteriore pericolo per la circolazione sia perché bisognava superarlo sia perché non era affatto da escludere che qualche passeggero potesse scendere da quella macchina per recarsi a piedi in uno dei negozi che si trovavano dall’altra parte della via che la pioggia battente rendeva assolutamente prevedibile che qualche pedone attraversasse di corsa, all’improvviso, nel tentativo di trovare un riparo che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non era decisivo che il pedone non si trovasse sulle strisce pedonali, purché fosse nelle immediate vicinanze, imponendo all’automobilista l’obbligo di concedere la precedenza sancito dall’articolo 191 C.d.S., comma 1 che l’evento era prevedibile e che dall’automobilista era esigibile una diversa condotta in quanto sia le condizioni metereologiche estremamente sfavorevoli sia la presenza di un’auto accostata sulla destra e nelle immediate vicinanze delle strisce pedonali, avrebbero dovuto mettere l’imputato sull’avviso circa la possibile presenza di pedoni in quel punto ed il loro improvviso attraversamento che il pedone era stato investito quando si trovava quasi al centro della carreggiata, da ciò desumendosi che il M. avesse impegnato l’attraversamento pedonale già da qualche tempo e che l’automobilista avrebbe avuto a disposizione un tempo più che sufficiente a percepire il pericolo ed a concedere la dovuta precedenza al pedone ove avesse tenuto una velocità pari o inferiore a km/h 19. 5. V.I. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi a violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, per avere la Corte di Appello riformato la sentenza assolutoria sulla base di esiti di prove dichiarative assunte in primo grado e non rinnovate in grado di appello b violazione dell’articolo 192 c.p.p., per avere la Corte di Appello pronunciato sentenza di condanna sulla base di circostanze inesistenti e non provate, segnatamente la circostanza che la persona investita avesse appena fermato la sua autovettura accostandola a destra e la circostanza che si trattasse di persona anziana non in grado di scendere velocemente dal veicolo e di attraversare di corsa la strada c erronea applicazione degli artt. 40, 41 e 43 c.p., in relazione all’articolo 141 C.d.S., per avere i giudici di appello affermato la colpa in presenza di una condotta inesigibile dall’automobilista, che non avrebbe potuto prevedere la condotta della vittima. La Corte ha equiparato la condotta del M. a quella di un pedone che cammina lungo la strada e ad un certo punto attraversa la carreggiata, mentre si trattava del conducente di un’auto che, sceso dalla vettura, aveva intrapreso l’attraversamento trovandosi già sulla carreggiata, essendo illogica l’equiparazione delle due situazioni ed in contrasto con l’articolo 40 c.p., l’affermazione per cui non fosse da escludere che qualche passeggero potesse scendere dall’auto d erronea applicazione dell’articolo 191 C.d.S., comma 3, trattandosi di riferimento del tutto errato ad una norma che concerne l’attraversamento da parte di persone invalide e mancanza di motivazione a sostegno dell’affermata esigibilità da parte dell’imputato di una velocità di marcia di km/h 19,4, soprattutto a fronte della sentenza del tribunale che, esaminando e valutando le risultanze istruttorie, aveva concluso per l’assenza di qualunque prova in punto modalità di attraversamento. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. 1.1. È lo stesso giudice di appello a chiarire, preliminarmente pag. 3 , di aver escluso la necessità di rinnovare l’istruttoria in ragione del fatto che la riforma della sentenza assolutoria si sarebbe fondata, piuttosto che su un diverso apprezzamento circa l’attendibilità di una prova dichiarativa diversamente valutata in primo grado, su una diversa valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi esterni alle dichiarazioni testimoniali e sulla diversa interpretazione del contenuto delle norme cautelari in materia di circolazione stradale e dei principi di diritto ad esse correlati. 1.2. Ed è di immediata evidenza che, nel caso in esame, l’esito della prova dichiarativa acquisita dal giudice di primo grado non sia stato in alcun modo sconfessato dal giudice di appello e che, pertanto, in linea con un pacifico orientamento interpretativo più volte enunciato dalla Corte di legittimità Sez. 5, numero 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 27101201 Sez. 5, numero 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 27047101 Sez. 3, numero 19958 del 21/09/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 26978201 , non sussisteva alcun obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. 1.3. Non è, in altre parole, sufficiente, per far sorgere l’obbligo sancito dall’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, che il giudice di appello ponga a fondamento della decisione di riforma prove dichiarative assunte in primo grado, essendo invece necessario che abbia valutato l’attendibilità della testimonianza in maniera difforme dal giudice di primo grado. Nel caso in esame, dunque, è stata la stessa Corte di Appello a confermare che all’esito dell’istruttoria non fosse stata acquisita la prova testimoniale in merito alle modalità dell’attraversamento da parte del pedone, avendo ritenuto di desumere tale prova da elementi indiziari esterni alle dichiarazioni dei testimoni. 2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. 2.1. Ove fosse corretto sostenere che all’esito del dibattimento non sia stata raggiunta la prova che l’autovettura della vittima si fosse appena fermata nel momento in cui era sopraggiunto l’investitore, tale circostanza non risulterebbe in ogni caso influente sul giudizio. Sia che la vittima si fosse appena fermata con l’auto, sia che tale sosta perdurasse da tempo, la motivazione della sentenza impugnata non sarebbe risultata diversa, avendo i giudici di merito desunto la prevedibilità dell’evento dal dato, incontrovertibile, della mera presenza del veicolo in sosta in posizione d’ingombro sulla corsia di marcia percorsa dall’imputato. 2.2. Il ricorrente lamenta anche che non sia stato provato che la vittima fosse in precarie condizioni fisiche, tali da impedirle di scendere velocemente dall’auto e di attraversare di corsa la strada ed evidenzia, in senso contrario, che il M. era in condizioni psichiche e fisiche assolutamente normali in quanto titolare di patente di guida che guidava un’automobile di prestazioni e dimensioni rilevanti. La censura, rubricata in termini di violazione di legge ed in quanto tale da esaminare, contrasta con il dato oggettivo, incontrovertibile, dell’età anagrafica della vittima, che costituisce in sostanza la prova dalla quale i giudici di merito hanno desunto che il M. non potesse aver compiuto l’attraversamento in modo repentino. 3. Il terzo ed il quinto motivo di ricorso si esaminano congiuntamente in quanto s’incentrano sull’analisi delle ragioni poste a fondamento del giudizio sull’elemento soggettivo del reato e sul nesso di causa tra la violazione della regola cautelare prevista dall’articolo 141 C.d.S., e l’evento. Nel ricorso si deducono, infatti, tanto la violazione della norma che disciplina il nesso di causalità articolo 40 c.p. e dei principi interpretativi in tema di causalità della colpa, quanto il difetto di motivazione in relazione all’esigibilità di una velocità di marcia pari o inferiore a km/h 19. 3.1. In linea di principio, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, devono essere evidenziati elementi ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado perché non è sufficiente, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, né che tale valutazione sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio Sez.6, numero 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 25686901 Sez. 6, numero 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301 Sez.2, numero 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501 Sez.6, numero 34487 del 13/06/2012, Gobbi, Rv. 25343401 . 3.2. La regola di giudizio introdotta formalmente dalla L. 6 febbraio 2006, numero 46, articolo 5, mediante la sostituzione dell’articolo 533 c.p.p., comma 1, impone, per altro verso, al giudice di procedere ad un completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilità dell’imputato. Si è, infatti, affermato Sez. 2, numero 7035 del 9/11/2012, dep. 2013, De Bartolomei, Rv. 25402501 che la previsione normativa della regola di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato Sez.2, numero 7035 del 09/11/2012, dep.2013, De Bartolomei, Rv. 25402501 Sez.1, numero 20371 del 11/05/2006, Ganci, Rv. 23411101 Sez.2, numero 19575 del 21/04/2006, Serino, Rv. 23378501 . 3.3. La codificazione di tale principio ha assunto, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, particolare rilievo nel giudizio di legittimità circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la sentenza di assoluzione in primo grado Sez. 6, numero 1266 del 10/10/2012, dep. 2013, Andrini, Rv. 25402401 Sez. 2, numero 11883 del 8/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501 Sez.6, numero 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301 , anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU Corte EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33 , imponendo, in tale ipotesi, particolare rigore metodologico ed argomentativo al giudice di secondo grado. 3.4. Il giudice di appello potrà, dunque, pervenire a differente esito decisorio purché sulla base di elementi istruttori trascurati dal giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo di quali elementi decisivi quest’ultimo non abbia tenuto adeguato conto, ovvero rinnovando l’istruttoria ove ritenga di non condividere la valutazione della prova operata in primo grado Sez. U, numero 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 26748701 . 4. Esaminando la sentenza impugnata alla luce dei principi esposti, viene in primo luogo in evidenza l’errata interpretazione del punto della sentenza di primo grado in cui il tribunale aveva sottolineato che l’esito dell’istruttoria dimostrava che il pedone non avesse attraversato la strada sulle strisce pedonali. Tale affermazione era funzionale a sconfessare la validità del calcolo matematico della velocità idonea ad evitare l’investimento, ed è stata, invece, confutata dal giudice di appello sul presupposto che il giudice di primo grado avesse inteso negare il diritto di precedenza al pedone che attraversi in prossimità delle strisce pedonali piuttosto che in corrispondenza delle stesse. 4.1. Un’adeguata analisi del nesso di causalità, con specifico riguardo al profilo dell’oggettiva evitabilità dell’investimento in rapporto alle circostanze del caso concreto, avrebbe piuttosto reso necessaria l’esatta indicazione dei dati tecnici dimensioni della carreggiata e dei veicoli, punto d’impatto sulla carreggiata, posizione del veicolo dopo l’incidente ed eventuali tracce di frenata, velocità di marcia del pedone, spazio a disposizione dell’automobilista nel tempo psicotecnico di reazione , anche eventualmente previa perizia, dai quali i giudici di merito avrebbero desunto che l’imputato viaggiasse alla velocità di km/h 35 e che, se avesse viaggiato alla velocità di km/h 19 o a velocità inferiore, l’incidente sarebbe stato evitato. Il giudice di primo grado aveva, infatti, come detto, negato la possibilità di utilizzare il comune esito degli accertamenti tecnici dei consulenti della pubblica accusa e della difesa rilevando che tali accertamenti avevano preso le mosse dall’assunto che il pedone si trovasse sull’attraversamento pedonale assunto sconfessato all’esito dell’istruttoria. 4.2. Se, infatti, il fattore velocità può essere valutato anche in termini approssimativi nel giudizio inerente alla indicazione della condotta prudente soggettivamente esigibile in determinate condizioni, quando si tratta di valutare l’oggettiva evitabilità dell’evento, dunque il comportamento dell’imputato sotto il profilo del nesso causale con l’evento, è necessario che tale fattore sia esaminato in rigorosa relazione ai dati contingenti Sez. 4, numero 8526 del 13/02/2015, De Luca Cardillo, Rv. 26244901 , tanto più nel giudizio di riforma in appello della sentenza assolutoria. 4.3. Pur essendo conforme alla giurisprudenza di legittimità sostenere che il pedone abbia diritto di precedenza anche ove attraversi la strada in prossimità delle strisce pedonali Sez. 4, numero 47290 del 09/10/2014, S, Rv. 26107301 , il punto della sentenza assolutoria in cui si sottolineava che il M. si trovasse in prossimità dell’attraversamento pedonale è stato mal interpretato e contraddetto dai giudici di appello con motivazione carente. 5. Esaminando, poi, la questione inerente all’elemento soggettivo, occorre ricordare che la più recente riflessione giuridica sulla colpevolezza colposa tende a personalizzare sempre di più il rimprovero individuale, introducendo una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali. In breve, il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Da ciò deriva che la prevedibilità e la evitabilità del fatto svolgono un ruolo fondamentale, in quanto sono all’origine delle norme cautelari e sono alla base del giudizio di rimprovero personale. Si è, inoltre, da sempre sottolineato che la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Anche sotto tale profilo è evidente l’importanza che assumono la prevedibilità e prevenibilità dell’evento nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Prevedibilità ed evitabilità rilevano, dunque, anche in relazione al profilo più squisitamente soggettivo della colpa, quello strettamente inerente al rimprovero personale. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha in numerose occasioni sottolineato il ruolo fondante della prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Va richiamata, qui, la fondamentale pronuncia Sez. 4, numero 4793 del 06/12/1990, Bonetti, Rv. 19179801 che ha posto in luce che la prevedibilità altro non è che la possibilità dell’uomo coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento è legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza e che un certo evento è evitabile adottando determinate regole di diligenza. 5.1. Nell’ambito della circolazione stradale, è stata ripetutamente affermata la necessità di tenere conto degli elementi spazio-temporali e di valutare se l’agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro la prevedibilità ed evitabilità vanno, quindi, valutate in concreto. Tali enunciazioni generali necessitano di un’ulteriore chiarimento, già proposto da questa Sezione Sez. 4, numero 37606 del 06/07/2007, Rinaldi, Rv. 23705001 nell’ambito del profilo soggettivo della colpa, l’esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento si pone in primo luogo senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità dell’evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata. Nell’ambito della colpa specifica la prevedibilità vale, non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma consente di rapportare il fatto concreto alle diverse classi di agenti modello e a tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Tale spazio valutativo è pressoché nullo nell’ambito delle norme rigide, la cui inosservanza dà luogo quasi automaticamente alla colpa ma, nell’ambito di norme elastiche, che indicano comportamenti determinabili in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell’esito antigiuridico da parte dell’agente modello. 5.2. Occorre aggiungere che tale cauto apprezzamento è operazione logicamente successiva all’analisi ed alla valutazione del dato scientifico necessario per accertare l’oggettiva evitabilità dell’evento, ossia l’effettiva esistenza di un margine di manovra atto ad evitare l’evento da parte dell’agente modello. E si tratta, pertanto, di un’operazione che va effettuata non solo in relazione alla regola cautelare per cui il conducente deve regolare la velocità in modo da conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, ma anche alla luce del principio secondo il quale il conducente di un veicolo non può essere chiamato a rispondere delle conseguenze lesive di uno scontro per non avere posto in essere una manovra di emergenza, qualora si sia venuto a trovare, senza sua colpa, causalmente rilevante, in una situazione di pericolo, improvvisa e dovuta all’altrui condotta, non utilmente ed agevolmente percepibile, tenuto conto dei tempi di avvistamento, della repentinità della condotta del soggetto antagonista, dei concreti spazi di manovra, dei necessari tempi di reazione psicofisica Sez. 4, numero 16096 del 20/02/2018, Radzepi, Rv. 27247901 Sez. 4, numero 29442 del 24/06/2008, Francogli, Rv. 24189601 Sez. 4, numero 18782 del 28/11/2002, dep. 2003, Petrivelli, Rv. 22456501 . 5.3. Nel caso di specie si era, dunque, in presenza di una norma cautelare c.d. elastica, che lascia all’interprete un ampio margine valutativo. In particolare, l’articolo 141 C.d.S., comma 3, dispone che Il conducente deve regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell’attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da edifici . Il fattore velocità, ove si ricordi la regola generale prevista dall’articolo 141 C.d.S., comma 1, È obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione , corrisponde dunque ad un concetto relativo alla situazione contingente. In rapporto al fattore velocità, la condotta colposa quale causa dell’evento non può, in altre parole, prescindere dalla concreta possibilità per il conducente avveduto di cogliere quale sia l’andatura prudenziale in quanto idonea, date le circostanze di tempo e di luogo, a consentirgli di eseguire un’efficace manovra di emergenza, ove necessario. 5.4. Con particolare riguardo al giudizio di prevedibilità circa la presenza del pedone al centro della carreggiata, correttamente nel ricorso si è posto l’accento sulla necessità di calibrare tale giudizio sul comportamento della vittima in quanto si trattava, non di un pedone vero e proprio ma, di un automobilista sceso dall’auto che aveva iniziato l’attraversamento partendo dal centro della corsia di marcia. I giudici di appello, pur avendo ritenuto provato ché il M. avesse appena parcheggiato l’autovettura dalla quale era poi disceso prima di attraversare la strada, hanno trascurato di indicare in base a quali elementi l’automobilista investitore fosse, nel caso concreto, in condizione di percepire che il predetto parcheggio fosse avvenuto nell’immediatezza del fatto, quale presupposto logico e fattuale imprescindibile dell’affermazione per cui non era affatto da escludere che qualche passeggero potesse scendere da quella macchina in mancanza di tale indicazione, la regola cautelare prevista dall’articolo 141 cod. strada è stata applicata in relazione alla mera probabilità che da ogni macchina parcheggiata sul margine destro potesse scendere qualche passeggero, a prescindere dalla ragionevole possibilità che ciò di fatto avvenisse. La Corte, anziché esaminare gli indici rivelatori della recente sosta del veicolo, ha, invece, spostato il fulcro dell’argomentazione, fondando il giudizio di prevedibilità sulla posizione d’ingombro creata dalla vettura, sulla presenza di negozi sul lato opposto della via e sulla pioggia battente, che avrebbe indotto i pedoni a cercare repentinamente un riparo, non colmando il vuoto probatorio rilevato dal giudice di primo grado in merito all’esigibilità da parte dell’automobilista di un comportamento di guida diverso da quello tenuto in assenza di prove concernenti la condotta del pedone. 6. Il quarto motivo di ricorso è, parimenti, fondato. 6.1. Il riferimento all’obbligo dell’imputato di fermarsi per concedere la precedenza al pedone che aveva impegnato l’attraversamento già da qualche tempo, tenuto conto anche del fatto che si trattava di una persona anziana, non certamente in grado di scendere velocemente dall’abitacolo né di attraversare di corsa la strada è del tutto apodittico. 6.2. La Corte di Appello ha, in particolare, trascurato che l’articolo 191, comma 3, cod. strada impone ai conducenti l’obbligo di prevenire situazioni di pericolo che possano derivare da comportamenti scorretti o maldestri di bambini o di anziani, a condizione che sia ragionevole prevederli in relazione alla situazione di fatto i giudici si sono, infatti, limitati ad ipotizzare che il pedone avesse impegnato l’attraversamento da qualche tempo senza alcun riferimento a dati concreti, fatta eccezione che per l’età del M. , idonei a supportare l’operatività di tale regola cautelare. 7. Conclusivamente, il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, affinché svolga un nuovo giudizio attenendosi ai suindicati principi interpretativi e colmando le rilevate carenze motivazionali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste per nuovo giudizio.