Fastidioso l’abbaiare del cane: un mese di reclusione per il padrone

A inchiodare l’uomo e il suo amico a quattro zampe sono le deposizioni rilasciate non solo dagli abitanti del palazzo ma anche dalle persone che vivono nella zona. Significative poi anche le ripetute segnalazioni ricevute dalla Polizia municipale. E proprio i vigili urbani hanno provato a convincere l’uomo a porre rimedio al problema, ma egli, osservano i giudici, ha reagito con noncuranza.

Il cane abbaia troppo spesso, di giorno e di notte. E per il padrone, che ha volutamente ignorato le lamentele dei vicini di casa e le segnalazioni della Polizia municipale, scatta la condanna a un mese di reclusione per il reato di disturbo della quiete pubblica” Cassazione, sentenza n. 5800/2019, Sezione Terza Penale, depositata il 6 febbraio . Abbaiare. Concordi i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello sulla condanna del proprietario del quadrupede, di grossa taglia, che ha la pessima abitudine di abbaiare ripetutamente, a qualsiasi ora, di giorno e di notte, recando disturbo a numerosi soggetti che abitavano nei dintorni della sua abitazione. Unica, piccola soddisfazione per l’uomo il fatto che in secondo grado gli venga riconosciuta la sospensione condizionale della pena , fissata in un mese di arresto . Ciò nonostante, egli decide comunque di proporre ricorso in Cassazione, contestando la condanna subita e spiegando, tramite il proprio difensore, che il disturbo arrecato dal suo cane sarebbe stato riferito soltanto da persone abitanti nel suo stesso palazzo o in quello immediatamente contiguo . Disturbo. Le obiezioni proposte dal padrone del quadrupede non convincono però i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ne confermano, invece, la condanna per il disturbo della quiete pubblica provocato dall’abbaiare del cane. Decisivo è ritenuto il richiamo alle deposizioni provenienti sì da alcuni condomini dell’uomo ma anche da soggetti estranei a quel palazzo . E significativo è anche il fatto, osservano i giudici, che gli abitanti della zona hanno rivolto ripetutamente le loro lamentele alla Polizia municipale per l’abbaiare del cane , così provocando i diversi accessi eseguiti dai vigili urbani nel condominio che ospita l’uomo e il suo amico a quattro zampe. Nessun dubbio, quindi, sulla colpevolezza del padrone del quadrupede. E legittima, chiariscono i giudici della Cassazione, è anche l’entità della pena , soprattutto alla luce del ripetersi delle molestie causate dall’abbaiare del cane e della noncuranza con cui l’uomo ha reagito ai richiami della Polizia municipale .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 novembre 2018 – 6 febbraio 2019, n. 5800 Presidente Cervadoro – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/1/2018, la Corte di appello di Firenze, in riforma della pronuncia emessa il 14/6/2016 dal locale Tribunale, concedeva a E.B. la sospensione condizionale della pena di un mese di arresto, allo stesso comminata con riguardo alla contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - inosservanza o erronea applicazione della norma contestata difetto di logicità e carenza motivazionale. La Corte di appello avrebbe confermato la responsabilità del ricorrente pur in assenza dei caratteri tipici della contravvenzione in oggetto, per come costantemente individuati dalla giurisprudenza di legittimità in particolare, il disturbo arrecato sarebbe stato riferito soltanto da testimoni abitanti nel medesimo immobile od in altro immediatamente contiguo, per di più con argomenti così poco significativi da indurre il Collegio ad avvalersi di astratte nozioni di esperienza comune, come quella che vorrebbe elevato l’abbaiare di un cane di grossa taglia. Quel che, peraltro, non corrisponderebbe all’animale in oggetto, che l’istruttoria avrebbe accertato esser di taglia media - inosservanza od erronea applicazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. difetto di logicità e carenza motivazionale. La pena irrogata – pari ad un mese di arresto, ossia il 600% del minimo edittale” – risulterebbe eccessiva rispetto alla gravità del fatto, tale da non destare alcun allarme sociale nessun argomento, inoltre, sosterebbe la scelta della sanzione detentiva in luogo di quella pecuniaria, sanzione peraltro applicata in assenza di un’effettiva motivazione. Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza. Considerato in diritto Preliminarmente si osserva che la presente motivazione è redatta in forma semplificata, ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente di questa Corte. 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. Con riguardo alla prima doglianza, in punto di responsabilità, osserva il Collegio che la sentenza impugnata – con argomento fondato su riscontri istruttori e privo dei vizi denunciati – ha ritenuto provato un decisivo elemento in fatto, ossia che il cane del B. fosse solito abbaiare ripetutamente, a qualsiasi ora, di giorno e di notte, recando disturbo a numerosi soggetti che abitavano nei dintorni dell’abitazione quel che la Corte di appello ha tratto da diverse deposizioni assunte, alcune delle quali provenienti da condomini del ricorrente ed altre da soggetti estranei al medesimo immobile, come i testi L. e C. e senza che si possa, in questa sede, valutare l’eventuale vicinanza delle loro abitazioni al medesimo immobile, come invero sollecitato dal ricorso . A tale elemento, poi, la sentenza ne ha aggiunto un altro, di sicuro rilievo probatorio, quale le lamentele che gli stessi abitanti della zona avevano ripetutamente rivolto alla Polizia municipale, sempre con riguardo all’abbaiare del cane del B., tali da sollecitare i vari accessi al condominio eseguiti dalla stessa Polizia locale. Da ultimo, ma proprio quale elemento meramente ad colorandum, la sentenza ha evocato un dato di comune esperienza, quale la notevole diffusività” nello spazio dell’abbaiare di un cane di grosse dimensioni considerazione che il ricorso tende a contestare evocando la taglia media dell’animale, e così inserendo un dato fattuale che questa Corte non è ammessa a valutare. 4. In forza delle considerazioni che precedono, ecco dunque che il Collegio di appello – come già il Tribunale – ha fatto buon governo a del costante principio secondo cui l’affermazione di responsabilità per la fattispecie de qua non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato per tutte, Sez. 3, n. 8351 del 24/6/2014, RV. 262510 2 dell’ulteriore principio, del pari consolidato, per cui l’attitudine dei rumori ad arrecare pregiudizio al riposo od alle occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, di tal ché il Giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità per tutte, Sez. 3, n. 11031 del 5/2/2015, RV. 263433 3 della piena attendibilità delle deposizioni assunte, invero non contestata con argomenti concreti neppure nel presente ricorso. Sì da risultare – la pronuncia di condanna – coerente con la costante giurisprudenza in materia ed insuscettibile di censura. 5. Alle medesime conclusioni, poi, perviene la Corte quanto alla seconda doglianza, in ordine al trattamento sanzionatorio. La sentenza impugnata, nel confermare la decisione del primo Giudice, ha infatti motivato l’entità della pena – e, innanzitutto, la sua natura detentiva – con un adeguato percorso argomentativo, sottolineando il ripetersi delle molestie e la noncuranza con la quale l’imputato ha reagito ai richiami della Polizia municipale” quanto precede, peraltro, evidenziando che la pena di un mese di arresto è molto più prossima al minimo che al massimo edittale di cui all’art. 659 cod. pen. 6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.