La notifica degli atti all’imputato detenuto per altra causa

È valida la notifica all’imputato detenuto, anche per altra causa, eseguita presso il domicilio eletto dal medesimo e non presso il luogo di detenzione posto che anche l’imputato detenuto ha la facoltà di eleggere domicilio.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 5432/19, depositata il 4 febbraio. Il caso. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il difensore dell’imputato eccependo la nullità della sentenza, sostenendo di aver ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio ma cercava di mettersi in contatto con l’imputato non riuscendoci dato che l’utenza telefonica risultava sempre scollegata. Solo successivamente veniva a sapere, tramite un sostituto processuale, che l’imputato fosse detenuto. Ma dai verbali di udienza non emergeva lo stato di detenzione di quest’ultimo. La notifica degli atti. Per il Supremo Collegio, non essendoci risultati positivi circa lo stato di detenzione dell’imputato, correttamente si è proceduto in sua assenza che peraltro aveva eletto domicilio presso il suo difensore. A tal proposito, è valida la notifica all’imputato detenuto, anche per altra causa, eseguita presso il domicilio eletto dal medesimo e non presso il luogo di detenzione posto che anche l’imputato detenuto ha la facoltà di eleggere domicilio. E tale elezione presuppone l’indicazione di una persona legata da un rapporto fiduciario. Per tali ragioni, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 9 novembre 2018 – 4 febbraio 2019, n. 5432 Presidente Ciampi – Relatore Tornesi Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza emessa in data 04 aprile 2017 il Tribunale di Torino dichiarava D.G. responsabile del reato di cui all’art. 81 c.p., art. 189 C.d.S., commi 1, 6 e 7, ascritto al capo a e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia. Dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in relazione al reato di cui all’art. 81 c.p. e art. 116 C.d.S., commi 1 e 15, addebitato al capo b perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e lo assolveva, ai sensi dell’art. 530 c.p., comma 2, dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, capo c perché il fatto non sussiste. 2. Avverso la predetta sentenza interponeva appello il difensore di fiducia di D.G. , avv. Mariella Console, eccependo la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. a e art. 420 ter c.p.p Rappresentava, al riguardo, di avere ricevuto la notifica del decreto di citazione diretta a giudizio per il processo di primo grado la cui prima udienza era fissata per il giorno 15 febbraio 2017 in proprio e quale domiciliataria del D. in data 19 settembre 2016. In particolare l’avv. Mariella Console evidenziava che - aveva tentato di mettersi in contatto con il proprio assistito senza riuscirci perché la sua utenza risultava sempre scollegata e in prossimità della data di udienza veniva a sapere da altro suo assistito che il D. , qualche tempo prima era stato arrestato per altra causa - all’udienza del 15 febbraio 2017 faceva presente, tramite un proprio sostituto processuale, che vi era la possibilità che l’appellante fosse detenuto e pertanto la Corte distrettuale rinviava il processo all’udienza del 04 aprile 2017 - il 03 aprile 2017 inviava una richiesta di informazioni circa lo stato di detenzione del proprio assistito al Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria - alla udienza del 04 aprile 2017, poiché non era pervenuta alcuna risposta dal D.A.P. e al giudice di primo grado non risultava lo stato di detenzione del D. , acconsentiva alla celebrazione del processo che veniva definito, quel medesimo giorno, con la sentenza oggetto di odierna impugnazione - in data 07 aprile 2017 riceveva dal D.A.P. l’attestazione da cui risultava che il D. , arrestato il 05 luglio 2015, dopo essere stato ristretto presso la Casa Circondariale di Monza, era stato trasferito a quella di Torino dall’08 agosto 2016. 3. La Corte distrettuale, con sentenza del 12/12/2017, confermava la pronuncia di primo grado. L’eccezione processuale veniva rigettata non emergendo dai verbali di udienza le attestazioni cui aveva fatto riferimento il difensore del D. né in alcun modo lo stato di detenzione del predetto. 4. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 4.1. Osserva il Collegio che dalla disamina degli atti - attività consentita in ragione della eccezione processuale sollevata - lo stato di privazione della libertà di D.G. non risultava all’autorità giudiziaria procedente, talché del tutto legittimamente si è proceduto in assenza dell’imputato che peraltro aveva eletto domicilio presso il suo difensore. Si evidenzia peraltro che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è valida la notifica all’imputato detenuto, anche per altra causa, eseguita presso il domicilio eletto dal medesimo e non presso il luogo di detenzione atteso che anche l’imputato detenuto ha facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1, Sez. 2, n. 15102 del 28/02/2017 Rv. 269863 . Ed invero l’elezione, a differenza della mera dichiarazione, presuppone la indicazione di persona legata da un rapporto fiduciario tale da impegnarla a ricevere gli atti riguardanti l’imputato e a consegnarli al medesimo. Inoltre va posto l’accento sul fatto che l’elezione di domicilio ha natura di dichiarazione di volontà a carattere negoziai - processuale necessitante, ai fini della sua validità, del rispetto di determinate formalità art. 161 c.p.p. , sicché essa può essere superata solo in forza di un atto formale di revoca e non in ragione di elementi fattuali. 5. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.