Acconsente alla fecondazione eterologa ma iniziato l’iter cambia idea: è comunque il padre

Non vi è falsa attestazione della paternità laddove la madre indichi come genitore del bambino il coniuge che, dopo aver acconsentito alla fecondazione eterologa, revochi il consenso solo dopo che sia iniziato il trattamento embrionale.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 4854/19, depositata il 30 gennaio. Il fatto. La Corte d’Appello di Roma dichiarava una madre responsabile del reato di alterazione di stato del figlio per aver falsamente indicato nell’atto di nascita il coniuge come padre del figlio nato. Il coniuge, però, aveva revocato il consenso all’inseminazione artificiale eterologa prima della nascita del bambino. Avverso la decisone della Corte territoriale ha proposto ricorso il difensore dell’imputata. La decisione. La Corte chiarisce che la sentenza civile ha rigettato la domanda presentata dal coniuge ai fini del disconoscimento della paternità del figlio nato a seguito di inseminazione eterologa. La richiamata sentenza civile, precisano i Giudici, ricostruisce il quadro normativo relativo alla fecondazione eterologa, il quale prevede nell’interesse del nato che il consenso del coniuge o del partner è revocabile fino all’inizio dell’iter ed è ricavabile anche da atti concludenti, precludendo l’azione di disconoscimento della paternità. Inoltre, la sentenza n. 162/2014 della Corte Costituzionale ha ribadito la validità della disciplina del consenso, parificando alla fecondazione eterologa quanto previsto per la fecondazione assistita. Dunque, il consenso può essere revocato solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo, come già stabiliva l’art. 6 della legge. n. 40/2004 ancor prima dell’intervento della Corte Costituzionale. Nel caso di specie, la Corte sottolinea che il coniuge aveva inizialmente dato espresso consenso e poi lo aveva revocato con una comunicazione in data successiva, quando ormai il trattamento embrionale era già stato avviato. Sul piano del processo penale, dunque, deve escludersi che sia stata falsamente dichiarata nell’atto di nascita la paternità del coniuge dell’imputata. Alla luce dei ragionamenti svolti, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 gennaio – 30 gennaio 2019, n. 4854 Presidente Petruzzellis – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. Il difensore di C.F. ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa il 14 aprile 2015 dal Tribunale di Roma, appellata dalla parte civile S.P. , ha dichiarato l’imputata responsabile, ai soli fini civili, del reato contestato con condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede. I giudici di appello hanno ribaltato la decisione assolutoria emessa dal Tribunale, ritenendo sussistente la responsabilità dell’imputata per il reato di alterazione di stato del figlio F. , nato il omissis , attestando falsamente nell’atto di dichiarazione di nascita depositato al comune di Roma la paternità del figlio, indicando quale genitore il coniuge S.P. , che aveva revocato il consenso all’inseminazione artificiale eterologa in data omissis . Ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi 1.1 violazione di legge processuale penale, segnatamente dell’art. 3 cod. proc. pen., in quanto detta norma qualifica le decisioni in materia di stato di famiglia come pregiudiziali e il giudice penale può sospendere il processo fino al passaggio in giudicato della sentenza civile, che definisce detta questione. Deduce che nel caso in esame, parallelamente al giudizio penale, si è svolto il giudizio civile di disconoscimento della paternità e che il giudice di primo grado non accolse la richiesta di sospensione del processo, ritenendola assorbita nella decisione assolutoria poi adottata. Analoga richiesta era stata rivolta alla Corte di appello, che non ha sospeso il processo e ha affermato la responsabilità della ricorrente, sebbene ai soli fini civili, per il reato di cui all’art. 567 cod. pen. tuttavia, nelle more, è stata definita con sentenza irrevocabile della 6 Sezione Civile di questa Corte, n. 30294 del 19 settembre 2017, dep. 18 dicembre 2017, la causa civile con definitivo rigetto della domanda del S. di disconoscimento della paternità del minore ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con immediata declaratoria di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste, in quanto il giudicato civile fa stato nel processo penale ai sensi dell’art. 3 c.p.p., comma 4, ed esclude che nel caso di specie vi sia stata una falsità o un’alterazione di stato nell’atto di dichiarazione di nascita 1.2 violazione e falsa applicazione della legge processuale penale, in particolare, dell’art. 568 c.p.p., comma 4, in quanto la Corte di appello ha disatteso, senza motivare la decisione, la richiesta difensiva di dichiarare inammissibile l’appello della parte civile. Era stato evidenziato che in base alle motivazioni della sentenza di primo grado, in concreto, la parte civile non aveva interesse a proporre appello, atteso che il Tribunale aveva sottolineato che il profilo della revoca del consenso, con conseguente divieto del disconoscimento di paternità L. n. 40 del 2004, ex art. 9, ed il profilo della tempestività del dissenso sopravvenuto ad accedere alla PMA procreazione medicalmente assistita non attengono agli aspetti penalistici della vicenda ed andranno apprezzati in sede civile . Il Tribunale aveva infatti, dato atto della pendenza dell’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, Sez. 1 civile che aveva rigettato la domanda di disconoscimento di paternità proposta dal S. , che costituiva la sede propria per la delibazione sulle questioni di stato pertanto, alla parte civile non era preclusa la possibilità di proporre le proprie istanze in sede civile a fronte di una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto. Si sostiene che la parte civile non aveva un concreto interesse ad impugnare la sentenza di primo grado, in quanto l’interesse è ravvisabile solo nel caso in cui l’impugnazione sia idonea ad eliminare una decisione pregiudizievole, determinando una situazione pratica più vantaggiosa, il che nel caso in esame non si verifica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Assorbente è il primo motivo, relativo all’efficacia di giudicato della sentenza civile irrevocabile, che ha deciso una questione di stato di famiglia, nel processo penale ai sensi dell’art. 3 c.p.p., comma 4. Al ricorso è allegata la sentenza civile emessa da questa Corte, che ha rigettato in via definitiva la domanda del S. diretta ad ottenere il disconoscimento della paternità del figlio, nato a seguito di inseminazione eterologa. Nella sentenza si ricostruisce il quadro normativo, precisando che la L. n. 40 del 2004, prima dell’intervento della Corte Costituzionale, vietava l’inseminazione eterologa, pur disciplinandone gli effetti nell’esclusivo interesse del nato. In particolare, l’art. 6 disciplina il consenso del coniuge e del partner, precisando che il consenso può essere revocato sino al momento della fecondazione dell’ovulo, mentre l’art. 9 prevede, che in caso di inseminazione eterologa, il consenso del coniuge o del partner è ricavabile anche da atti concludenti ed a questi è preclusa l’azione di disconoscimento di paternità. Con sentenza n. 162 del 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa in caso di sterilità o infertilità assoluta ed irreversibile come nel caso di specie , ma ha ribadito la validità e conformità costituzionale della disciplina del consenso anche per detta ipotesi, sostanzialmente parificando la disciplina della fecondazione assistita. Ne discende che anche per la fecondazione eterologa rimane fermo il limite temporale, fissato dall’art. 6 cit., quale termine ultimo per la revoca del consenso, ed un’interpretazione diversa si porrebbe in contrato con la tutela costituzionale degli embrioni, più volte affermata dalla Corte Costituzionale, che ha ritenuto rispondente alla tutela del nato la mancata attribuzione dell’azione di disconoscimento della paternità al marito, che ha prestato il consenso alla fecondazione eterologa. Applicando tali principi al caso in esame la Sesta Sezione civile di questa Corte ha evidenziato che, dopo il consenso espresso da entrambi i coniugi in un contratto con l’Istituto omissis , il S. aveva revocato il consenso con comunicazione del 18 dicembre 2009, ma a quella data il trattamento embrionale era stato già avviato ed il giorno successivo l’ovulo fecondato fu impiantato nell’utero della moglie. Non essendovi prova che la revoca del consenso, ricevuta dall’istituto il 18 dicembre 2009, fosse intervenuta prima della preparazione dell’embrione o della fecondazione dell’ovulo, destinato all’impianto, la domanda di disconoscimento della paternità è stata respinta. Tale statuizione ha inevitabile ricaduta nel processo penale, in quanto esclude che sia stata falsamente dichiarata nell’atto di nascita la paternità del S. , riconosciuto padre di diritto del nato, sebbene pacificamente non ne sia il padre biologico. A tale conclusione era già pervenuto il Tribunale, ritenendo che, a seguito della pronuncia della Consulta con efficacia invalidante ex tunc del divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa, la qualità di genitore prescinde dalla diretta discendenza e dal rapporto biologico, in quanto il nato da fecondazione eterologa acquisisce, ai sensi della L. n. 40 del 2004, art. 8, lo status di figlio, nato durante il matrimonio pertanto, la dichiarazione della ricorrente della paternità di S.P. non integra un’alterazione di stato né una falsa attestazione in atti dello stato civile, essendo egli il genitore del figlio nato durante il matrimonio da indicare nell’atto e nella dichiarazione di nascita. Il Tribunale aveva altresì, precisato che tale soluzione era imposta dalla sentenza di accoglimento parziale emessa dalla Corte costituzionale e dal nuovo stato civile del nato da fecondazione eterologa, disciplinato dalla L. n. 40 del 2004, art. 8, quale fonte extrapenale, integrativa del precetto dell’art. 567 cod. pen., mentre, secondo lo schema normativo previgente, la condotta della C. integrava il reato contestato, in quanto aveva dichiarato nell’attestazione di assistenza al parto, redatto dall’ostetrica e trasfuso nell’atto di nascita, il rapporto di coniugio e le generalità del padre del neonato, pur essendo consapevole che il S. non ne era il genitore biologico e cosciente di aver violato il divieto di fecondazione eterologa consapevolezza che le avrebbe imposto di dichiarare il vero e di precisare che non vi era un legame di filiazione naturale dal lato paterno e ciò a prescindere dal profilo della revoca del consenso, in quanto si era sottoposta al trasferimento di embrioni, provenienti dalla banca di embrioni dell’Istituto omissis . Ribadito pertanto, che la questione sullo stato della persona, di competenza esclusiva del giudice civile, condiziona l’essenza stessa della pronuncia relativa all’imputazione, che ne resta perciò pregiudicata, ai sensi dell’art. 3 c.p.p., comma 4, la decisione civile, sebbene intervenuta dopo la sentenza di appello, proietta la sua efficacia vincolante sul processo penale ed impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti civili perché il fatto non sussiste.