Il creditore non ha interesse ad impugnare il sequestro preventivo dei beni del proprio debitore al fine di ottenere il pagamento

Per comprendere la portata della sentenza in commento, conviene partire dalla massima esposta nelle motivazioni in tema di sequestro preventivo il terzo che vanti nei confronti dell’indagato un diritto di credito non ha alcuna legittimazione ad impugnare il sequestro preventivo al fine di ottenere la liberazione dei beni e quindi il pagamento di quanto spettantigli. Di conseguenza, deve ritenersi privo di alcuna legittimazione anche il legatario che impugni il sequestro preventivo disposto a carico dell’erede, in quanto il diritto da lui vantato è un semplice diritto di credito .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 4424/19, depositata il 29 gennaio. Tale massima, così come esposta, appare ragionevole, in quanto si poggia sul fatto che l’oggetto del sequestro preventivo, ove abbia di mira beni specifici, non coinvolge l’intero patrimonio del debitore. Inoltre, è risaputo che il debitore di per sé risponde dei propri debiti con l’intero patrimonio a propria disposizione e non necessariamente con questo o quel bene. Di regola, quindi, qualora il creditore non abbia un diritto particolare” sul bene sequestrato, si può ragionevolmente ritenere che lo stesso non abbia sulla res un diritto o una situazione di fatto giuridicamente apprezzabile che possa giustificare la sua partecipazione al processo cautelare reale in questione. Il caso. Se non che la vicenda in questione è piuttosto particolare, poiché oggetto del sequestro era ed è una ingente somma di danaro di cui si era già provveduto a disporre bonifico a favore del creditore. Nei fatti, insomma, è avvenuto che il bonifico, già disposto, fosse rimasto in un primo tempo sospeso e, quindi, alla fine sequestrato, in modo da non andare a buon fine. Secondo la Corte di cassazione, anche in questo particolarissimo caso, poiché le somme vengono trasferite al creditore non al momento del loro invio ma solo al momento dell’effettiva consegna presso la banca destinataria, le somme bonificate” erano rimaste comunque nel patrimonio del debitore e, quindi, il creditore non poteva, a stretto rigore vantare alcun diritto o interesse particolare su tali somme. Da qui la conclusione dell’inammissibilità del ricorso, nonostante la richiesta della Procura generale di disporre l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata e il fatto che altra Sezione della Suprema corte, con riferimento alla posizione della sorella della ricorrente, aveva disposto altrimenti in favore del ricorrente. Che dire? A stretto rigore la premessa maggiore di diritto da cui parte la Corte è corretta. Non pare altrettanto condivisibile l’affermazione secondo cui l’effettuazione del bonifico non sia elemento da valutare positivamente a favore del creditore. E’ vero che se il bonifico non va a buon fine, le somme rimangono nella disponibilità del debitore ma è evidente che se il bonifico è stato disposto correttamente e se è irrevocabile, ove non intervenga il provvedimento di sequestro, tali somme devono essere recapitate al creditore. Vi è, in questo caso, un evidente e diretto rapporto tra sequestro preventivo e mancata soddisfazione delle ragioni creditorie che non può essere considerato come del tutto giuridicamente irrilevante, specie se, come nel caso in questione, non è detto che si possa soddisfare agevolmente il credito con il patrimonio restante del debitore. Del resto, nel momento in cui il debitore si è spogliato” delle somme sequestrate, lo stesso di per sé ha dimostrato non avere alcun interesse alla detenzione delle stesse. Affermare, dunque, con estrema sicurezza, che nella fattispecie de qua non sussista alcun interesse del creditori di verificare la legittimità del sequestro disposto, appare sinceramente troppo e spinge a richiedere un maggiore approfondimento della materia e delle implicazioni della massima citata. Si diceva un tempo, anche per sana prudenza economica, che fino a che non si hanno in mano i soldi, non si dovrebbero spendere perché, dopo tutto, non ci sono ancora. Si domanda se questo implica, per ciò stesso, anche di non aver alcun diritto ad inseguire chi si è preso il pacco, contenente i danari, a noi destinati.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 ottobre 2018 – 29 gennaio 2019, n. 4424 Presidente Crescienzo – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 06/06/2018, il Tribunale del riesame di Milano confermava i decreti di sequestro preventivo emessi dal giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 4-7/5/2018 aventi, fra l’altro, ad oggetto il bonifico bancario di Euro 5.180.000,00 disposto in favore di P.H.D. . Il fatto processuale che sta a monte del presente procedimento attiene ad una complessa vicenda di natura successoria - analiticamente descritta dal tribunale a pag 16 ss dell’ordinanza impugnata - a seguito della quale il Pubblico Ministero ha contestato, ad una serie di indagati, numerosi capi d’incolpazione artt. 416 - 643 - 479 - 648 bis - 323 - 314 - 605 cod. pen. che fungono da reati - presupposto del reato di riciclaggio di cui al capo sub q dell’imputazione. Nell’ambito della suddetta operazione di riciclaggio, a favore della ricorrente - sorella del de cuius Hi.Ri. - veniva disposto un bonifico bancario di Euro 5.180.000,00 oggetto di sequestro preventivo che trovava causa nel verbale di mediazione del 22/11/2017 e in separate intese stipulate fra C.F. in qualità di trustee ndr di H. trust’ dai tre fratelli di H.R.E. e dal legale rappresentante della Fondazione ndr A.M.D.R. - H. Onlusl nella qualità di beneficiaria finale del trust con la rinuncia da parte dei fratelli H. ad ogni azione successoria e con la conferma, contenuta in separate intese dei legati istituiti nel testamento del omissis pag. 18 ordinanza impugnata . Sennonché, secondo l’ipotesi accusatoria, il conferimento al trust del 70% della partecipazione azionaria di IDB spa, oggetto di successione testamentaria di A.M. al marito, si fonda su un accordo di mediazione tra i vari eredi legittimi e testamentari di Hi.Ri. che stabilisce di ritenere valido un testamento pubblico redatto nel omissis che, per quanto si è detto circa la risalente incapacità di R. - dolosamente conosciuta da tutti i partecipanti al suddetto accordo - deve ritenersi anch’esso frutto di circonvenzione e falso in atto pubblico come contestato ai capi d’imputazione P1 e P2 pag. 21 ordinanza impugnata . Il sequestro veniva ordinato essendo stata ritenuta la sussistenza a del fumus delitti b del periculum in mora riguardo ai beni conferiti ne H. trust c dei presupposti per la confisca dei suddetti beni ex art. 240 cod. pen. in quanto profitto dei reati di circonvenzione e falso e, comunque, ex art. 648 quater cod. pen. in relazione al reato di riciclaggio di cui al capo sub q . 2. Il tribunale pag. 24 ss dell’ordinanza impugnata , ha respinto l’istanza di riesame proposta dalla ricorrente nella sua qualità di terza estranea, adducendo i seguenti motivi a la ricorrente non era titolare di alcuna posizione giuridicamente tutelabile ex art. 322 cod. proc. pen. in quanto allo stato, l’unica qualità che può spendere in relazione ai beni del defunto fratello e, al più, quella di soggetto astrattamente legittimato a succedere nelle forme di cui all’art. 565 cod. civ. e ss., fermo restando che anche in ipotesi di successione legittima la delazione ereditaria non è sufficiente per rivestire la qualità di erede e che anche in relazione a tale modalità di successione possono esistere cause di esclusione dalla successione ex art. 463 cod. civ. pag. 24 ordinanza b Neppure può ravvisarsi alcuna pretesa restitutoria in relazione alla somma oggetto del bonifico bancario ordinato dal trustee, non potendo ritenersi decisiva in senso contrario la sottoscrizione di accordi quali quelli su cui la ricorrente fonda le proprie pretese. Anzitutto va rilevata la non perfetta sovrapponibilità tra gli accordi transattivi e il verbale di mediazione dinanzi all’Ordine degli Avvocati di Lucca in secondo luogo va rilevato che in entrambe le sedi, alla luce della natura delle reciproche prestazioni tra le parti, sono insorti esclusivamente rapporti di natura obbligatoria da ultimo, in considerazione dello specifico oggetto, è del tutto dubbia la validità stessa di tali accordi poiché l’assetto dei rapporti che ne deriva appare in contrasto con norme imperative. A ciò si aggiunga, per completezza, che l’ordine di bonifico relativo alle somme di cui la ricorrente chiede la restituzione non è andato a buon fine e non si è realizzata alcuna confusione tra i beni della ricorrente e le somme che il Trustee ha disposto le venissero accreditate c in ogni caso, la ricorrente non poteva considerarsi una terza estranea ai reati contestati dovendosi con tale espressione intendere il soggetto che non ha concorso alla commissione del reato, né ha tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, serbando una condotta in buona fede . Sebbene non rivesta la qualità di indagata nell’ambito del presente procedimento ndr ex art. 649 cod. pen. per i capi sub L-O , alla ricorrente sono addebitate specifiche condotte causalmente efficienti rispetto alla commissione di reati da parte degli indagati cfr. il tenore testuale delle contestazioni di cui ai capi I-L-O-Q che facevano dubitare della sua buona fede. 3. Contro la suddetta ordinanza, la ricorrente, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art. 322 cod. proc. pen. sotto i seguenti profili 3.1. innanzitutto, ad avviso della difesa, il tribunale aveva errato nella parte in cui aveva sostenuto che, poiché la ricorrente poteva essere ritenuta, al più, titolare di un rapporto obbligatorio, non aveva alcuna legittimazione a chiedere la restituzione della suddetta somma. La suddetta affermazione si poneva in contrasto con la giurisprudenza di legittimità Cass. 42918/2009 che, invece, ritiene che, fra i soggetti aventi diritto alla restituzione rientrano anche coloro che vantano un titolo derivante da un rapporto obbligatorio come, nel caso di specie, quello derivante dagli accordi transattivi relativamente ai quali lo stesso tribunale non aveva precisato per quali motivi fossero invalidi 3.2. Inoltre, sempre ad avviso della difesa, la ricorrente aveva la disponibilità della suddetta somma di cui era stata chiesta la restituzione in quanto risulta certamente uscita da qualsivoglia disponibilità di qualsivoglia soggetto coinvolto nel procedimento penale in questione 3.3. il tribunale, poi, aveva errato nella parte in cui aveva ritenuto che non fosse certa la qualità di erede della ricorrente, essendo costei, pur a voler ritenere invalide le disposizioni testamentarie, sicuramente un erede ex artt. 565 - 476 cod. civ. 3.4. la difesa ha contestato che la ricorrente fosse in mala fede, sostenendo che fosse del tutto estranea ai reati in quanto la sua pretesa restitutoria trovava causa nella sua qualità di erede legittima acquisita ipso iure. D’altra parte il preteso coinvolgimento della ricorrente in alcuni dei reati contestati ad altre persone, era il frutto di un’affermazione apodittica priva di ogni riscontro 3.5. infine, la difesa, ha dedotto l’omessa motivazione in ordine all’eccepita carenza sia del fumus che del periculum in ordine al contestato reato che, ove accolto, avrebbe determinato la caducazione dell’impugnata misura reale. Considerato in diritto 1. In via preliminare, è opportuno chiarire quali siano i presupposti per la legittimazione ad impugnare un sequestro preventivo da parte di chi avrebbe diritto alla restituzione dei beni sequestrati. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che le condizioni che legittimano un terzo a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare sono le seguenti a un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro Cass. 7292/2014 Rv. 259412 Cass. 17852/2015 Rv. 263756 Cass. 9947/2016 Rv. 266713 Cass. 47313/2017 Rv. 271231 b la relazione con la cosa che sostenga la pretesa del ricorrente alla cessazione del vincolo ossia l’interesse concreto ed attuale ad agire , va individuata non in una qualunque forma di interesse alla restituzione, ma solo in quella posizione giuridica autonomamente tutelabile e coincidente quindi con un diritto soggettivo reale o anche solo personale o anche con una situazione di mero rapporto di fatto tuttavia tutelato ad esempio il possesso ciò emerge dalla lettera della suddetta norma che espressamente parla di diritto alla restituzione nonché dalla riserva al giudice civile prevista dall’art. 324cod. proc. pen., comma 8 Cass. 3775/1994 Rv. 199929 Cass. 1971/1994 Rv. 198052 - Cass. 42918/2009 Rv. 245222 Cass. 43133/2017, in motivazione, ha precisato che la legittimazione a chiedere la restituzione del bene o a presentare impugnazione contro il provvedimento di vincolo cautelare non presuppone necessariamente che il soggetto sia titolare in prima persona del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa sottoposta a misura cautelare, se, comunque, la restituzione di questa all’avente diritto consente all’istante, sulla base di un titolo giuridico o di un rapporto di fatto giuridicamente rilevante, di recuperare la disponibilità di quanto in sequestro Cass. 365/1999 riv 212800, in motivazione, ha chiarito che la disponibilità del bene sequestrato può valere solo per ipotesi di disponibilità a sua volta diretta, ossia jure proprio perché solo ove sia provata una tale relazione con il bene, questi, ove sia dissequestrato, può tornare nella disponibilità diretta del ricorrente c ove il terzo assuma di essere completamente estraneo al reato sulla base del quale il sequestro è stato ordinato, e, quindi, di essere persona estranea al reato , in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa appartenenti ai sensi dell’art. 240 cod. pen., egli non deve avere concorso alla commissione del reato, né aver tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, avendo sempre serbato una condotta in buona fede non potendo conoscere - con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - l’utilizzo del bene per fini illeciti ex plurimis, Cass. 42778/2017 Rv. 271441 Cass. 29586/2017 Rv. 270250 d il terzo che si dichiari estraneo al reato ed affermi di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e l’inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato ex plurimis Cass. 42037/2016 Rv. 268070. 2. Tanto premesso in diritto, occorre, ora, procedere alla qualificazione giuridica della posizione vantata dalla ricorrente. Il bonifico sequestrato aveva ad oggetto la somma di Euro 5.180.000 e trovava la sua causa giuridica nell’accordo transattivo del 22/11/2017 i cui estremi sono riportati a pag. 18 ss dell’ordinanza impugnata e che possono essere riassunti nei termini di seguito indicati. Con verbale di mediazione del 22 novembre 2017, sottoscritto da C.F. in qualità di trustee, dai tre fratelli di H.R.E. e dal legale rappresentante della Fondazione nella qualità di beneficiaria finale del trust è stato deciso che la successione ereditaria sarebbe stata regolata dal secondo testamento con la rinuncia da parte dei fratelli H. ad ogni azione successoria e con la conferma, contenuta in separate intese , dei legati istituiti nel testamento del omissis inoltre, nel verbale di mediazione in discorso si dà atto che da luglio del 2015 il de cuius era sottoposto ad AdS per patologie psichiatriche con la conseguenza che l’ultimo testamento sarebbe suscettibile di caducazione per l’incapacità del testatore . Il testamento al quale le parti si riferiscono è quello pubblico del 26/09/2013 redatto dinanzi al notaio N. , nel quale, previa revoca delle disposizioni testamentarie precedenti, era nominato erede universale l’H. Trust ed erano previsti quattro legati in denaro in favore di S.M. soggetto che per circa un decennio è stato l’autista/guardia del corpo di H.R.E. per la somma di Euro 1.250.000,00, per la somma di 200.000 in favore della sorella D. , 1.000.000 in favore della sorella M. e 350.000 per il fratello A. . Dalle separate intese , rinvenute a seguito della perquisizione, risulta che le azioni di IDB pari al 90% del capitale sociale e la somma di Euro 6 milioni, al lordo delle imposte di successione, sarebbero state assegnate ad H. Trust, che la somma di Euro 2 milioni, sempre al lordo delle imposte di successione, sarebbe stata assegnata a S.M. ed, infine che i beni residui , il cui valore è indicato in 21 milioni di Euro, sarebbero stati assegnati ai tre fratelli H. in parti uguali in virtù di una specifica clausola contenuta nelle separate intese il 75% del valore dei beni residui avrebbe dovuto essere trasferito nei tempi ragionevolmente più brevi . Quindi, riassumendo le parti intesero far valere il testamento del 26/09/2013, in base al quale erede universale era l’H. Trust, nel mentre la ricorrente era una semplice legataria della somma di 200.000,00 che, a seguito delle separate intese , fu aumentata - a fronte della rinuncia da parte della ricorrente ad ogni azione successoria - alla somma indicata nel bonifico bancario sequestrato, al netto delle imposte di successione. Questa essendo la pacifica situazione di fatto - ricostruibile proprio sulla base di oggettivi dati processuali - la conclusione giuridica è di immediata evidenza la ricorrente, va qualificata come legataria e non come erede e, quindi, come una semplice creditrice dell’eredità posto che, appunto, il legatario matura, nei confronti dell’erede, un semplice credito ossia quello di ricevere quanto legatogli dal testatore. 3. Chiarita la posizione giuridica della ricorrente, resta ora da stabilire se e in che termini potesse impugnare il sequestro. La tesi difensiva, ruota, principalmente, sugli argomenti illustrati supra nella presente parte narrativa ai § § 3.1-3.2. che si basano su due affermazioni a la ricorrente era titolare un diritto di credito derivante dalla transazione b quindi, era legittimata ad agire perché aveva la disponibilità della somma di cui era stata chiesta la restituzione in quanto risulta certamente uscita da qualsivoglia disponibilità di qualsivoglia soggetto coinvolto nel procedimento penale in questione. La suddetta affermazione è errata in diritto. In punto di fatto, si evince dall’ordinanza impugnata pag. 19 che, in data 17/04/2018, l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia UIF , istituita presso la Banca d’Italia, a seguito della segnalazione del bonifico ricevuta dal Banco BPM, ne ordinò la sospensione - in quanto operazione sospetta - avvalendosi dei poteri di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 6, comma 4, lett. c successivamente, il Pubblico Ministero ordinava il sequestro poi convalidato dal giudice delle indagini preliminari. Si può, quindi, affermare, proprio sulla base del suddetto pacifico dato fattuale, che la ricorrente, nel momento in cui la somma oggetto del bonifico fu sequestrata, non ne aveva ancora la disponibilità. Infatti, chi effettua il pagamento tramite un bonifico nella specie C.F. , nella sua qualità di trustee dell H. trust cfr capo d’incolpazione sub Q perde la disponibilità del denaro solo nel caso in cui il beneficiario lo incassi, sicché, in caso di revoca o fintanto che al bonifico non sia data esecuzione per un qualsiasi motivo nel caso di specie, per effetto del sequestro , egli ne rimane il possessore a tutti gli effetti giuridici. È chiaro, quindi, che, nella fattispecie in esame, il sequestro colpì non il bonifico in sé, ma la somma oggetto del bonifico che, quindi, rimase nella disponibilità del H. trust . Pertanto, è del tutto evidente che la ricorrente, in quanto titolare di un mero diritto di credito non aveva alcuna legittimazione a proporre istanza di riesame contro il sequestro della somma di Euro 5.180.000,00 disposto ed eseguito contro H. trust essendo carente di interesse ad agire perché, quella somma, era rimasta nel patrimonio e, quindi, nella sola ed esclusiva disponibilità di H. trust che, per effetto del sequestro, non poteva più disporne. La ricorrente, quindi, allo stato, può vantare solo l’adempimento dell’obbligo di pagamento di quella somma assunta da H. Trust il quale, però, non può adempiere essendo i beni sottoposti ad un sequestro preventivo contro il quale la ricorrente, nella sua semplice veste di creditrice, non ha os ad eloquendum. 4. A diversa conclusione non si può neppure giungere sostenendo, come, in via alternativa, prospetta la difesa, che, comunque, la ricorrente andrebbe considerata come una erede supra § § 3.3.-3.4. . Infatti, la tesi difensiva, allo stato degli atti, è da escludere proprio perché è stata la stessa ricorrente a far valere il testamento del 26/09/2013 con il quale il de cuius la nominava semplice legataria ed una cosa è essere un semplice legatario cioè un mero creditore dell’erede, ossia di H. Trust , altra e ben diversa cosa è essere erede e cioè successore nella posizione attiva e passiva del de cuius. Sono due posizioni giuridiche formali dalle quali conseguono effetti notevolmente diversi e che, quindi, non possono essere intercambiabili a seconda della propria convenienza. 5. La ricorrente, pertanto, come terza non essendo indagata sebbene solo per effetto dell’art. 649 cod. pen. cfr capi d’incolpazione sub L-O non rientra in alcuna delle due categorie di persone che l’art. 322 cod. proc. pen. individua come legittimate a proporre il ricorso. Non può essere considerata una persona alla quale le cose sono state sequestrate perché la somma di denaro non fu sequestrata alla ricorrente ma ad H. Trust. Non può essere ritenuta neppure una persona che avrebbe diritto alla restituzione delle cose sequestrate, perché la restituzione presuppone una disponibilità sul bene nella specie somma di denaro al momento del sequestro, bene, però, che la ricorrente, titolare di un mero diritto di credito, ancora non aveva conseguito non si può, infatti, pretendere la restituzione di una cosa della quale non si sia mai avuta la disponibilità sul punto, si rinvia supra al § 1 . L’acclarata carenza di legittimazione ad agire, assorbe tutti gli altri motivi dedotti, sicché il ricorso va dichiarato inammissibile alla stregua del seguente principio di diritto in tema di sequestro preventivo il terzo che vanti nei confronti dell’indagato un diritto di credito non ha alcuna legittimazione ad impugnare il sequestro preventivo al fine di ottenere la liberazione dei beni e quindi il pagamento di quanto spettantigli. Di conseguenza, deve ritenersi privo di alcuna legittimazione anche il legatario che impugni il sequestro preventivo disposto a carico dell’erede, in quanto il diritto da lui vantato è un semplice diritto di credito . 6. La difesa, con memoria depositata il 10/10/2018, ha rappresentato che questa Corte, con sentenza n. 49468 del 03/10/2018, ha accolto il ricorso proposto dalla sorella della ricorrente. Questo Collegio ha avuto cura di acquisire la suddetta sentenza dalla cui motivazione si evince che la legittimazione è stata ritenuta in quanto la Corte non ha ritenuto di sciogliere il problema preliminare della qualificazione giuridica della ricorrente. Infatti, si trova scritto Né, nel caso in esame, può affermarsi il diniego di legittimazione sulla circostanza della non certezza della condizione di erede essendo evidente la constatazione che la ricorrente o è avente titolo ad una quota del patrimonio ereditario in quanto erede legittima ovvero lo è in quanto parte dell’accordo transattivo che ha assegnato la minor somma di Euro 21.000.000,00 del patrimonio ereditario ai tre fratelli del defunto R. H. . Sicché la H.E. ha doppio titolo alla restituzione sia in quanto erede e danneggiata dal reato sia in quanto parte di quell’accordo del 22 novembre 2017 intervenuto dopo la morte del fratello R. . Questo Collegio ignora sulla base di quali atti e documenti la Corte, abbia addotto la motivazione suddetta. Quello, però, che è certo è che la situazione fattuale rappresentata e documentata nel presente procedimento è limpida e consente di giungere ad opposta conclusione per le ragioni giuridiche supra illustrate. 7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.