“Quasi flagranza di reato”: la Corte torna a spiegare il concetto e i suoi limiti

Deve escludersi la quasi flagranza” quando si pervenga alla individuazione dell’identità dell’indiziato unicamente in base alle indicazioni della persona offesa o di terzi informati dei fatti, posto che il concetto di percezione immediata” del reato da parte dell’autorità procedente va interpretato in maniera del tutto restrittiva, in totale coesione con quello di assenza di soluzione di continuità tra il reato e l’individuazione del colpevole, pur in presenza di strumenti tecnologici idonei ad accertare l’autore del fatto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3756/2019, depositata lo scorso 25 gennaio. Il caso. Il Tribunale non convalidava l’arresto di un soggetto, eseguito dai Carabinieri, intorno alle 17 10 circa il furto risultava commesso alle 14 56 , ritenendo non sussistente lo stato di quasi flagranza, atteso il tempo trascorso dal compimento del fatto e il mancato ritrovamento della refurtiva. Proponeva, allora, ricorso per cassazione la Procura della Repubblica presso il medesimo Tribunale, denunciando violazione di legge in relazione all’art. 382 c.p.p., avendo il Giudice escluso l’inseguimento condotto dalla P.G. in seguito alla cognizione diretta del reato da parte della polizia attraverso strumenti di videosorveglianza, in ottemperanza al disposto dell’art. 10, comma 6- quater , d.l. n. 14/2017, convertito in L. n. 48/2017 che ha ulteriormente qualificato lo stato di flagranza. Altresì, secondo il ricorrente, nel caso di specie, non era stato considerato il rinvenimento delle cose dalle quali appariva che l’imputato avesse commesso il reato, ossia gli stessi abiti indossati al momento del fatto. La normativa di riferimento. Come è noto, l’istituto della flagranza di reato è disciplinato dall’art. 382 c.p.p., il quale dispone che è in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima . A completamento della disciplina codicistica è intervenuto, come detto l’intervento legislativo di cui all’art. 10 comma 6- quater citato, il quale prevede che si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art. 382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto . Arresto illegittimo? La Corte rigetta il ricorso del PM. Ciò che viene, fondamentalmente, focalizzato in sentenza sono due aspetti dell’arresto in flagranza di reato da un lato, le modalità di percezione del reato da parte di chi procede all’arresto e, dall’altro, l’assenza di soluzione di continuità tra tale percezione e l’individuazione del soggetto. Secondo giurisprudenza oramai consolidata, è illegittimo procedere all’arresto in base alle informazioni fornite dalla vittima o da terzi, pur nella immediatezza del fatto, perché in tale ipotesi non esiste la condizione richiesta dalla legge di quasi flagranza” che, invece, presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato Cass., S.U., n. 39131/2015 . Deve, dunque, esservi, per potersi parlare di quasi flagranza”, un’immediata correlazione tra la condotta illecita e l’attività di limitazione della libertà che, pur superando la contestuale individuazione dell’indiziato sul luogo del reato, permetta comunque la riconduzione allo stesso in base ad una continuità del controllo, anche in forma indiretta, da parte di chi procede all’arresto. Arresto in presenza di strumenti tecnologici. La Corte, di contro, esclude che si possa attribuire il concetto di percezione immediata” al caso in cui la polizia giudiziaria, per la individuazione dell’indiziato, abbia fatto uso di strumenti tecnologici di uso comune, quando, attraverso gli stessi, gli operanti abbiano dovuto comunque procedere ad ulteriori indagini” che hanno spezzato quella continuità temporale dell’indagine di cui la giurisprudenza chiede la necessaria presenza. Pertanto, se viene meno il requisito dell’immediata percezione che fa mancare anche una diretta individuazione, appare evidente che non può procedersi, legittimamente, all’arresto, non consolidandosi la quasi flagranza” individuata dalla legge. Cose o tracce del reato. Sebbene i vestiti indossati dal soggetto al momento del fatto sono certamente riconducibili alla categoria di cui all’art. 382 c.p.p., i Giudici di legittimità, nondimeno, precisano che, ai sensi dell’art. 13 Cost., la limitazione della libertà personale non può avvenire oltre i limiti previsti dalla legge. Ciò significa che la provvisoria limitazione della libertà personale, operata di iniziativa dall’autorità giudiziaria in assenza di un provvedimento autorizzativo, è istituto di carattere eccezionale e, dunque, le norme che lo disciplinano vanno interpretate restrittivamente.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 ottobre 2018 – 25 gennaio 2019, n. 3756 Presidente Vessichelli – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Sassari in composizione monocratica non convalidava l’arresto di F.M.A. , eseguito dai CC di Sassari il 12/01/2018 alle ore 17,10 circa, ritenendo non sussistente lo stato di quasi flagranza, in considerazione della distanza temporale tra il fatto e l’arresto, nonché per il mancato rinvenimento della refurtiva. 2. Con ricorso depositato in data 23/01/2018, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari ricorre per violazione di legge, ex art. 606 c.p.p., lett. b , in riferimento all’art. 382 c.p.p., essendo stata erroneamente esclusa dal Giudice la sussistenza di un inseguimento condotto dalla P.G., alla luce della diretta cognizione del reato, da parte della stessa RG., attraverso strumenti tecnologicamente affidabili, quali le videoregistrazioni, come nel caso di specie, anche alla luce del disposto del D.L. 20 febbraio 2017, art. 10, comma 6 quater, convertito in L. 18 agosto 2017, che ha qualificato lo stato di flagranza inoltre, nel caso di specie, non è stato considerato il rinvenimento, sulla persona dell’indagato, di cose dalle quali appariva che egli avesse commesso il reato immediatamente prima, ossia gli abiti dallo stesso indossati e ripresi dalle telecamere di sorveglianza. 3. In data 16/07/2018 sono pervenute le conclusioni scritte del Procuratore Generale, dott.ssa Felicetta Marinelli, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, condividendo le osservazioni del ricorrente. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Va rilevato che con il provvedimento impugnato il Giudice monocratico del Tribunale di Sassari non convalidava l’arresto di F.M.A. , osservando che, a seguito di segnalazione da parte della Centrale Operativa, i Carabinieri erano intervenuti presso un esercizio commerciale dove era stato consumato un furto e, presa visione delle immagini riprese dalla telecamera, e rilevato che la condotta era stata commessa da tre soggetti, uno dei quali identificato in F.M.A. che, nell’occasione, aveva svolto il ruolo di palo , eseguivano una perquisizione presso l’abitazione del predetto, con esito negativo. Alla luce di ciò, il Giudice considerava come non sussistessero i presupposti per poter procedere all’arresto del F.M. in relazione al reato di furto aggravato, in assenza dello stato di flagranza o di quasi flagranza, atteso il tempo trascorso, né essendo stato il soggetto rinvenuto in possesso della refurtiva, avendo, peraltro, i Carabinieri proceduto all’arresto nell’erronea convinzione che la condotta del F.M. integrasse gli estremi del reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, per il quale l’arresto è consentito anche al di fuori dello stato di flagranza. Il Pubblico Ministero, in sede di ricorso per cassazione, osserva che la segnalazione del furto era pervenuta alla Centrale Operativa alle ore 16,10, che il furto risultava commesso alle precedenti ore 14,56 - come evincibile dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza - e che l’arresto era stato eseguito alle ore 17,10, sottolineando, altresì, come, correttamente, il Giudice avesse esteso la propria valutazione alla sussistenza dei presupposti dell’arresto in relazione sia al reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, fattispecie individuata dalla Polizia Giudiziaria in sede di applicazione della misura precautelare - reputando detto reato insussistente alla luce di quanto sancito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 40076 del 27/04/2017, sia al reato di furto, così qualificata la condotta del F.M. dal Pubblico Ministero in sede di presentazione dell’arrestato. Relativamente al reato di furto, quindi, il Pubblico Ministero ha sottolineato come fosse da ritenersi erronea la valutazione del Giudice circa l’insussistenza del presupposto dell’inseguimento, da parte della Polizia Giudiziaria, dovendosi considerare come detto concetto - che legittima l’arresto in stato di quasi flagranza, come delineato dall’art. 382 c.p.p. - debba estendersi anche alle situazioni in cui la Polizia Giudiziaria abbia personalmente preso cognizione del reato attraverso strumenti tecnologicamente affidabili, al punto da attribuire al relativo accertamento il carattere della certezza, come le videoregistrazioni, utilizzate nel caso di specie, le registrazioni audio, le intercettazioni telefoniche ed ambientali a conferma della fondatezza dell’argomentazione, viene, inoltre, richiamato il testo del D.L. 20 febbraio 2017, n. 14, art. 10, comma 6 quater, convertito in L. 18 aprile 2017, n. 48, secondo cui si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art. 382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto . In ogni caso, nella vicenda oggetto di esame, la Polizia Giudiziaria intervenuta aveva potuto constatare sulla persona del F.M. i medesimi abiti che egli indossava circa due ore prima, durante la commissione del furto, come ripresi dalle telecamere di videosorveglianza, il che, quindi, integrava il presupposto richiesto dalla legge, essendo stato il soggetto sorpreso con cose o tracce dalle quali appariva che avesse commesso il reato immediatamente prima. Osserva il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte ha, seppure con qualche diversificazione di orientamenti, affermato alcuni concetti fondamentali in tema di quasi flagranza , poi sintetizzati dalle Sezioni Unite, che occorre richiamare per inquadrare il profilo rilevante nel caso in esame. Partendo dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 39131 del 24/11/2015, dep. 21/09/2016, P.M. in proc. Ventrice, Rv. 267591-01 - secondo cui È illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di quasi flagranza, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. - è stato sottolineato il concetto secondo cui debba sussistere un connotato di immediatezza tra la percezione di coloro i quali procedono all’arresto e le tracce del reato in riferimento alla persona dell’indiziato, sostanziandosi la quasi flagranza in una correlazione tra la condotta illecita e l’attività di limitazione della libertà che, pur superando l’immediata individuazione dell’arrestato sul luogo del reato, permetta comunque la riconduzione della persona all’illecito, in base alla continuità del controllo, anche in forma indiretta, eseguito da coloro i quali si pongano al suo inseguimento, siano le parti lese o gli agenti della sicurezza Sez. 6, sentenza n. 19002 del 03/04/2012, Rotolo, Rv. 252872-01 . Per tale ragione, quindi, si esclude che sussista la quasi flagranza allorquando si pervenga alla individuazione dell’identità dell’indiziato unicamente in base alle indicazioni della persona offesa o di terzi informati dei fatti Sez. 5, sentenza n. 8366 del 20/01/2016, dep. 01/03/2016, Albano, Rv. 266166-01 Sez. 3, sentenza n. 34899 del 24/06/2015, P.M. in proc. Amistà, Rv. 264734-01 Sez. 1, sentenza n. 43394 del 03/10/2014, P.M. in proc. Quaresima, Rv. 260527-01 . All’interno di detto schema giurisprudenziale si deve contestualizzare, quindi, il concetto di percezione immediata , che, evidentemente, allo stato attuale, non può non considerarsi inclusivo dei molteplici strumenti tecnologici di uso comune nelle indagini, le cui caratteristiche consentono di attribuire connotato di certezza alla identificazione dei soggetti coinvolti in attività criminose, con margini ancora maggiori di quelli attribuibili alla percezione soggettiva degli operanti. Sotto detto aspetto, quindi, sono sicuramente condivisibili, in linea di principio, le considerazioni contenute nel ricorso del Pubblico Ministero. Tuttavia, come visto, ciò che rileva non è solo la modalità attraverso cui venga realizzata detta percezione, ma l’assenza di soluzione di continuità tra la percezione stessa e l’individuazione del soggetto, nel senso che non può ritenersi legittimo l’arresto operato allorquando si addivenga all’individuazione dell’indiziato attraverso ulteriori indagini, che ne consentano la completa identificazione, perché, se ciò si verifica, viene meno proprio il requisito dell’immediatezza della percezione, che richiede una diretta individuazione dell’indiziato da parte della Polizia Giudiziaria, indipendentemente dalla modalità con cui l’individuazione si verifica, se attraverso visione personale degli operanti o attraverso strumento tecnologico, purché l’identificazione sia diretta. Ciò non risulta avvenuto nel caso in esame, atteso che, come si evince dal processo verbale di arresto in atti, gli operanti intervenuti sul luogo del furto, dopo aver preso visione delle riprese effettuate dalle telecamere di videosorveglianza, che consentivano loro di ricostruire la dinamica del furto ed il coinvolgimento di tre persone, svolgevano ulteriori indagini, che consentivano di addivenire all’identificazione dei presunti autori del reato, tra cui F.M.A. . Ed infatti, sebbene non siano specificate le specifiche attività di indagini, ulteriori rispetto alla visione delle immagini videoregistrate, ciò si evince inequivocabilmente dalla chiara indicazione contenuta nel processo verbale di arresto, in cui, dopo aver descritto le immagini visionate, gli operanti hanno fatto esplicito riferimento alla fase delle indagini , che aveva consentito di identificare sia il ricorrente, F.M.A. , che l’altro soggetto indiziato, G.S. né i Carabinieri in alcun passaggio del processo verbale di arresto hanno dato atto di aver riconosciuto dalle immagini il F.M. , in quanto soggetto a loro già noto. Ne discende che, nel caso in esame, non possano ritenersi sussistenti, alla luce delle considerazioni esposte, le condizioni legittimanti l’arresto del F.M. . Né può ritenersi che il provvedimento precautelare fosse legittimo in quanto l’indiziato era stato rinvenuto in possesso di cose o tracce dalle quali apparisse che aveva commesso il reato immediatamente prima, come previsto dalla seconda ipotesi di quasi flagranza individuata dall’art. 382 c.p.p., comma 1. Indiscutibilmente, infatti, l’art. 382 c.p.p. prevede due ipotesi distinte di quasi flagranza, e solo la prima è stata interessata dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite, Ventrice, che non si è, invece, occupata della diversa fattispecie in cui il reo venga sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima. Anche per quanto riguarda detta ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte regolatrice appare conforme. È stato, infatti affermato - in un caso in cui i Carabinieri avevano proceduto all’arresto in flagranza dei reati di omicidio stradale e di fuga dopo un incidente stradale, di due soggetti che, sulla base delle indicazioni fornite da alcuni testimoni, venivano sorpresi, quattro ore dopo i fatti, uno ancora a bordo dell’autovettura con un asciugamano intriso di sangue e l’altro presso l’ospedale mentre ricorreva alle cure mediche per le lesioni riportate - che l’integrazione di detta ipotesi di quasi flagranza non richiede - a differenza del caso dell’inseguimento - che la polizia giudiziaria abbia diretta percezione della commissione del reato, essendo sufficiente l’immediata percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato Sez. 4, sentenza n. 53553 del 26/10/2017, P.M. in proc. Kukiqi ed altro, Rv. 271683-01 . Analogamente, è stato affermato che In tema di arresto operato d’iniziativa dalla polizia giudiziaria nella quasi flagranza del reato, il requisito - previsto dall’art. 382 c.p.p., comma 1, - della sorpresa dell’indiziato con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente primà non richiede che la P. G. abbia diretta percezione dei fatti, né che la sorpresa avvenga in modo non casuale, correlandosi invece alla diretta percezione da parte della stessa soltanto degli elementi idonei a farle ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo, nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato immediatamente prima, locuzione dal significato analogo a quella poco prima utilizzata dal previgente codice di rito, di cui rappresenta una mera puntualizzazione quanto alla connessione temporale tra reato e sorpresa. Sez. 2, sentenza n. 19984 del 04/04/2017, P.M. in proc. Tosca, Rv. 270317-01, in cui è stato ritenuto legittimo l’arresto, nella quasi flagranza del reato di furto aggravato, di un soggetto peraltro reo confesso - sorpreso, durante un normale controllo al confine di Stato, alla guida di un’autovettura risultata rubata poche ore prima in una città vicina . Tanto premesso, va considerato, altresì, che non sussistono dati normativi che impongano di limitare il concetto di cose o tracce , indicato dall’art. 382 c.p.p., comma 1, restringendolo, ad esempio, alle categorie di corpo del reato, ovvero alle categorie di beni individuati dall’art. 240 c.p., apparendo evidente come la locuzione dell’art. 382 c.p.p. sia molto più ampia e non circoscrivibile a priori, includendo tutti i beni e gli oggetti che siano, in riferimento alle singole fattispecie concrete, logicamente collegabili alla commissione del reato con un nesso cronologico di immediatezza. Ne deriva, quindi, che, senza alcun dubbio, anche l’abbigliamento indossato dall’indiziato possa rientrare nella categoria delineata dall’art. 382 c.p.p., comma 1. Tuttavia, occorre ricordare che l’art. 13 Cost., comma 1, prevede l’inviolabilità della libertà personale, ed il secondo comma appresta la tutela stabilendo che le restrizioni della libertà personale sono ammesse nei soli casi e modi previsti dalla legge , su disposizione della autorità giudiziaria e con atto motivato , il che, in altri termini, significa che la provvisoria privazione del diritto fondamentale della libertà personale, di iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento motivato della autorità giudiziaria, rappresenta un istituto di carattere del tutto eccezionale e, in tal senso, è espressamente connotato dall’art. 13 Cost., comma 3. Ne consegue che le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del codice di rito, che disciplinano l’arresto sono, pertanto, di stretta interpretazione art. 14 preleggi, comma 1 . Alla luce di detti concetti, entro cui inquadrare la valutazione del caso in esame, va osservato che, sotto detto profilo, il ricorso pecca di genericità, non potendo limitarsi ad affermare, del tutto genericamente - richiamando, evidentemente, sul punto, il processo verbale di arresto -, che la Polizia Giudiziaria aveva potuto verificare la corrispondenza dell’abbigliamento indossato dall’arrestato con quello della persona ripresa dalle immagini della telecamera di videosorveglianza, senza neanche offrire una più accurata descrizione di detto abbigliamento, rinviando, cioè, esclusivamente alla valutazione effettuata dalla Polizia Giudiziaria che, a sua volta, non ha neanche fornito più specifici criteri descrittivi per illustrare la valutazione stessa. Ne consegue che i criteri ermeneutici estremamente rigorosi, a cui va sottoposta la verifica di sussistenza della invocata condizione di quasi flagranza , per le ragioni in precedenza indicate, impone, nel caso di specie, di ritenere che i criteri predetti non siano stati rispettati, con conseguente rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso del pubblico ministero.