Frase intimidatoria di un isolano ad un turista: minaccia aggravata o violenza privata?

Il giudice d’appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto come nel caso in esame, da minaccia aggravata a violenza privata rispettando il principio del giusto processo di cui all’art. 6 Cedu, purché il condannato sia messo nelle condizioni di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto stesso.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 3696/19, depositata il 25 gennaio. La vicenda. L’imputato, con una frase alquanto minacciosa, avrebbe cercato di costringere la persona offesa, un turista, a lasciare l’isola dove questa trascorreva le vacanze. La Corte d’Appello, adita in secondo grado, riteneva corretto inquadrare l’addebito mosso all’imputato nella fattispecie di cui agli artt. 56 e 610 c.p. tornando così alla originaria qualificazione giuridica di cui al capo d’imputazione e non derubricando la condotta nella fattispecie meno grave di cui all’art. 612 c.p. come aveva fatto il giudice di primo grado. Il difensore dell’imputato propone ricorso per cassazione. La riqualificazione giuridica del fatto. A tal proposito la Corte di Cassazione ribadisce che il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto rispettando il principio del giusto processo di cui all’art. 6 Cedu sempre che sia prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia messo nelle condizioni di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che tale riqualificazione non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione. Ebbene, nel caso, non si ravvisa una compromissione dei diritti dell’imputato, il quale avrebbe ben potuto far valere le proprie ragioni, nonostante la intervenuta riqualificazione giuridica del fatto, dato che la modifica del nomen juris da attribuire alla condotta a lui contestata era più che prevedibile. Per tali ragioni i Giudici del Palazzaccio rigettano il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 luglio 2018 – 25 gennaio 2019, n. 3696 Presidente Vessichelli – Relatore Micheli Ritenuto in fatto L’08/11/2017, la Corte di Appello di Messina confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in data 10/11/2015, nei confronti di R.S. i giudici di appello, comunque, ritenevano corretto inquadrare l’addebito mosso all’imputato nella cornice di cui agli artt. 56 e 610 cod. pen. reato, in ipotesi, commesso in danno di B.M. , così tornando alla qualificazione giuridica di cui all’originario capo d’imputazione, diversamente dal giudice di primo grado che aveva derubricato la condotta nella meno grave fattispecie ex art. 612 cpv. cod. pen Secondo l’assunto accusatorio, ritenuto provato nella sua materialità da entrambe le decisioni di merito, il R. - all’esito di un diverbio avuto durante una serata trascorsa presso un locale notturno di - avrebbe rivolto al B. la frase Se non te ne vai entro domani da qua ti ammazzo in tal modo, avrebbe cercato di costringere la persona offesa a lasciare l’isola, dove si trovava per un periodo di vacanza. Avverso la sentenza indicata in epigrafe propone ricorso l’imputato, con atto da lui personalmente sottoscritto, lamentando la violazione dell’art. 597 c.p.p., commi 1 e 3, in relazione all’anzidetta riqualificazione giuridica la tesi prospettata è che, nel caso di specie, detta riqualificazione non sarebbe stata consentita, a tutela del diritto di difesa sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Il R. fa osservare, in particolare, che il precedente di legittimità invocato dalla Corte territoriale per sostenere la legittimità di una qualificazione dell’addebito in termini di maggiore gravità non incidendo sul trattamento sanzionatorio si riferiva ad un caso del tutto differente, ove si discuteva se un furto dovesse intendersi consumato o tentato situazione, quella, in cui l’accusato era stato certamente in grado di far valere le proprie ragioni in ordine ad entrambe le opzioni, mentre - si legge nel ricorso la riqualificazione da minaccia aggravata a violenza privata comporta una diversa valutazione dei fatti, che implica una altresì diversa ricostruzione delle condotte, attesa altresì la diversità dei presupposti dei reati in parola . Tant’è che il tema della presunta coartazione subita dalla vittima affinché si allontanasse da - comunque non dimostrata in concreto, relativamente alla idoneità o meno della condotta de qua di produrre quel risultato - era rimasto estraneo ai motivi di appello sviluppati con riguardo alla sentenza di primo grado, né era stato affrontato in sede di discussione. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Come segnalato nella motivazione della sentenza impugnata, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 Cedu, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione Cass., Sez. 4, n. 23186 del 13/04/2016, Suffer, Rv 268995 nello stesso senso, v. altresì Cass., Sez. 2, n. 39961 del 19/07/2018, Tuccillo . Nel caso oggi in esame, contrariamente a quanto sostiene il R. , non è ravvisabile alcuna compressione dei suoi diritti, atteso che la modifica del nomen juris da attribuire alla condotta contestata era ben più che prevedibile, costituendo anzi la qualificazione giuridica di cui alla rubrica originaria è pertanto escluso che l’imputato non abbia avuto modo di articolare le proprie difese a riguardo. Quanto alla presunta, indimostrata idoneità delle intimidazioni del ricorrente al fine di costringere il B. ad andar via da , la motivazione della Corte messinese dà congruamente contezza di come una minaccia di morte rivolta da un residente ad un turista, nel contesto di una piccola isola, fosse senz’altro strumentale a incidere sulla libera determinazione del soggetto passivo ciò anche in ragione del senso di insicurezza che ne sarebbe derivato, in capo alla vittima, nell’approcciarsi all’idea di prolungare la propria permanenza come inizialmente programmato. 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.