Un punto (di domanda) sulle operazioni oggettivamente simulate

Il d.lgs. n. 158/2015, com’è noto, ha apportato non poche modifiche al d.lgs. n. 74/2000 sulla disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

In particolare, per ciò che qui interessa, ha integrato l’articolo 3 con la locuzione compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente , ed ha introdotto il comma g bis all’articolo 1 per definire le medesime. Con ciò ponendo l’interprete di fronte ad una scelta dare un’autonoma dignità ermeneutica a tale innovazione, ovvero accentuare al massimo la rilevanza residuale attribuita nell’incipit dell’articolo 3 con la locuzione fuori dai casi previsti dall’articolo 2 . Questione non puramente teorica, in quanto l’articolo 3 prevede soglie di punibilità di assoluta rilevanza, mentre l’articolo 2 punisce anche la più tenue evasione d’imposta. La condotta attiva comune ai reati di cui all’articolo 2 e 3. Entrambe le norme puniscono, nella parte che attiene al presente studio, chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indichi in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi compiendo operazioni, nella prima, inesistenti, nella seconda, simulate. Le due fattispecie di dichiarazione fraudolenta hanno come presupposto un’operazione idonea a creare elementi passivi fittizi – allo scopo di abbattere la base imponibile-. Differiscono, invece, sulla natura dell’operazione inesistente, nel primo caso, simulata nel secondo. 1.Le operazioni inesistenti. Seguendo il dato normativo, pare opportuno partire dalle operazioni inesistenti, per poi giungere a quelle simulate, che dovrebbero costituire un aliud rispetto alle prime. 1a . Oggettivamente inesistenti. L’articolo 1 le definisce come operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi . Rientrano in tale ambito i casi in cui non vi sia stata alcuna prestazione, cioè non sia stata fornito alcun bene o servizio. Vi rientrano anche i casi di inesistenza relativa -o parziale termine, quest’ultimo, espressamente indicato all’articolo 1 lett.a , nonchè la cosiddetta sovrafatturazione”. Anche in quest’ultimo caso, si fa riferimento alla lettera a dell’articolo 1 precisamente all’indicazione corrispettivi superiori” . 1b Giuridicamente inesistenti. Meno pacifica è l’assimilazione delle operazioni inesistenti oggettivamente cioè naturalisticamente a quelle inesistenti giuridicamente, ossia operazioni realmente avvenute, ma con una diversa qualificazione giuridica. Secondo la Corte di Cassazione sent. numero 13975/2008 le fatture che rappresentino operazioni effettivamente compiute, ma riconducibili ad un accordo fra le parti avente una diversa causa, devono ritenersi ugualmente punibili ai sensi dell’articolo 2. Il caso all’esame della Corte riguardava un’operazione di finanziamento simulata da erogazione di forniture. Il concetto di inesistenza giuridica” è frutto dunque, di un’estensione interpretativa in malam partem della fattispecie di cui all’articolo 2 d.lgs. numero 74/2000. L’operazione ermeneutica estensiva presenta confini assai labili con l’analogia, vietata nel diritto penale, tanto da essere stata definita analogia anticipata” cfr. Mantovani, Diritto Penale . Tuttavia, il criterio dell’ eadem ratio o del ragionamento per similitudine, in un sistema penale fondato sulla legalità formale trova il proprio limite invalicabile nella lettera della legge. Laddove la fattispecie penale sia formulata in conformità al principio di tassatività e non contenga formule generali indeterminate, non deve ritenersi consentito sussumere nella norma casi ritenuti analoghi, o espressioni del medesimo principio. La lettera dell’’articolo 2, in realtà è chiara oggettivamente inesistenti” sta a fronte di soggettivamente inesistenti”, e dunque va intesa nel senso naturalistico di entrambi i termini. Tale interpretazione è confortata anche dall’articolo 1 comma a che definisce tali operazioni non realmente effettuate”, laddove il concetto fattuale impresso dal verbo effettuare è rinforzato dal richiamo alla realtà dell’avverbio utilizzato realmente . Ferma rimanendo tale critica all’orientamento giurisprudenziale ante riforma, dobbiamo chiederci se qualcosa è cambiato dopo la novella del d.lgs. numero 158/2015. In realtà, nello scarso panorama offerto dalle sentenze di legittimità giustificato dal modesto arco temporale ad oggi intercorso, si trova già una pronuncia che ribadisce la precedente interpretazione richiamando esplicitamente la sentenza del 2008 quest’ultima, peraltro, precedente alla riforma. Risultano sullo stesso solco anche pronunce di merito tuttavia non ancora definitive. La motivazione offerta dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 58321/2016 a sostegno della tesi è che il discrimine fra gli articolo 2 e 3 è dato dal documento in cui l’operazione è rappresentata se sia fattura o altro tipo di documento ritenuto equipollente, siamo dinanzi ad un caso di operazione inesistente oggettivamente qualora invece per l’operazione ci si avvalga di un documento diverso dalla fattura, saremmo di fronte ad altri artifici”, ossia alla fattispecie delineata dall’articolo 3. Nel 2018 poi Cassazione afferma nuovamente la tripartizione” delle fatture inesistenti oggettivamente, soggettivamente e giuridicamente inesistenti con riguardo, le prime all’effettività della prestazione di beni o servizi, le seconde all’esistenza dei soggetti emittenti le fatture, le ultime alla qualificazione giuridica diversa sent. numero 21996/2018 . Il caso peraltro riguardava un ricorso che adduceva un vizio di motivazione ritenuto fondato inoltre, nelle more della pronuncia, era maturato il corso della prescrizione. La Suprema Corte, pertanto, dichiarava de plano l’annullamento senza rinvio senza soffermarsi sulle questioni giuridiche, dando per pacifica l’interpretazione dell’articolo 2 d.lgs. numero 74/2000 nei termini sopra detti e sempre richiamando la precedente pronuncia numero 13975/2008. La novità della riforma tuttavia, potrebbe offrire un diverso angolo di visuale dal quale analizzare le due fattispecie, partendo dal dato letterale della norma. 2. Le operazioni simulate. L’articolo 3 infatti introduce le operazioni simulate come un’ipotesi autonoma rispetto alle altre tipizzate, tanto che vi è un ovvero” tra quest’ultima e quella, diversa, relativa ai documenti falsi” o ad altri mezzi fraudolenti”. La relazione illustrativa del d.lgs. numero 158/2015 conferma questo dato espressamente. Vi si legge infatti L'alternativa segnalata dalla congiunzione disgiuntiva ovvero” tra operazioni simulate e l'utilizzo di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento testimonia l'equipollenza di tali elementi operazioni simulate”, documenti falsi , altri mezzi fraudolenti e la autosufficienza di ciascuno di essi ad integrare la condotta del delitto, in parte innovando rispetto al precedente necessario collegamento e coordinamento teleologico dei singoli elementi . In sostanza l’articolo 3 come ridisegnato dal legislatore del 2015, prevede due distinte ipotesi di dichiarazione con mezzi fraudolenti la prima commessa attraverso operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente la seconda avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in inganno l’amministrazione finanziaria. La giurisprudenza, come abbiamo accennato, sta dilatando l’articolo 2 in modo da farvi rientrare invece qualsiasi previsione ponendo l’accento sulla riserva contenuta nell’incipit dell’articolo 3 Fuori dai casi previsti dall’articolo 2 . Ma l’articolo 1, al comma g-bis definisce invece le operazioni simulate come quelle apparenti poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte che non si esauriscano in un abuso del diritto o nella mera elusione fiscale. Operazioni, quindi, la cui veste formale non corrisponda ad alcuna volontà dei soggetti, ovvero corrisponda ad una diversa volontà dei medesimi. La simulazione, mutuata dalla nozione civilistica, ha riguardo all’aspetto negoziale a fronte del quale vi è, generalmente, una contro-dichiarazione” esplicativa della reale volontà dei contraenti. Per identificare le operazioni apparenti, dunque, occorre aver riguardo al contratto che ne è la base, non alle fatture che, eventualmente, conseguano al regime fiscale del rapporto negoziale. Vi è poi un dato di coerenza del sistema punitivo, laddove è davvero irragionevole prevedere che, a parità di carattere fraudolento delle fattispecie dichiarative previste dagli articoli 2 e 3, e dunque di disvalore penale, la prima sia punita a prescindere dalla gravità dell’evasione, e dunque in modo assai più rigoroso della seconda, sol perché documentata da fattura. Il riferimento è ovviamente alla previsione delle soglie di punibilità che assistono in modo consistente il solo articolo 3, per di più su ciascuna delle imposte evase quindi, in caso di violazione, ad esempio, di IRES ed IVA, gli importi relativi non si sommano . L’opposta tesi trova un conforto letterale solo nel titolo dei reati in oggetto, laddove si utilizza nell’articolo 2 il termine fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” mentre nell’articolo 3 altri artifici”. È certo però che, nell’interpretare una norma, debba prevalere il testo sul titolo, tanto più che si tratta di modifiche al provvedimento in oggetto, ed è pertanto assai verisimile pensare che il legislatore non si sia preoccupato di modificare i titoli delle norme preesistenti. Nel testo delle due norme, per l’aspetto che qui interessa, si fa riferimento alle operazioni” tale termine legittima un’interpretazione che si fondi sul negozio giuridico che ne sia alla base, e quindi laddove l’oggetto della contestazione abbia riguardo a prestazioni, sic et simpliciter, mai rese, avremo un’ipotesi di cui all’articolo 2. Qualora invece si assuma che esse siano state effettuate, ma solo apparentemente sul contratto che ne stia alla base dovendo ricondursi in realtà ad altra causa negoziale, quella propria del contratto dissimulato, saremo in presenza della fattispecie di cui all’articolo 3. Il carattere cosiddetto residuale” dell’articolo 3, che peraltro potrebbe essere anche frutto di un mancato approfondimento del legislatore sulla locuzione Fuori dai casi previsti dall’articolo 2” che già era presente nella norma, non osta in realtà a tale ragionamento, ma è coerente con la ricostruzione offerta. L’articolo 3 infatti, prevede un comportamento fraudolento in relazione ad operazioni compiute l’articolo 2, invece, identifica la frode nell’assenza di qualsiasi prestazione. Conclusioni. Se prima della riforma la forzatura ermeneutica giurisprudenziale poteva comprendersi ma non giustificarsi, per i motivi detti per non lasciare impuniti comportamenti connotati da frode simulazione qualora non fossero stati ricondotti nell’alveo dell’articolo 2 oggi, dopo la riforma, non ha più alcuna ragion d’essere perché queste ultime trovano la risposta punitiva nel novellato articolo 3. Che, sennò, sarebbe stato introdotto del tutto inutilmente. La resistenza” all’applicazione dell’articolo 3 del resto, si ritrova anche sotto il profilo soggettivo, ossia l’interposizione fittizia di persona che si riconduce sempre ad un’inesistenza soggettiva, ossia alla fattispecie prevista dall’articolo 2, qualora vi siano fatture. Ciò a dispetto del chiarissimo dettato normativo dell’articolo 3 in combinato disposto con l’articolo 1 lett. g bis che ha introdotto il concetto di interposizione fittizia” come ipotesi di simulazione soggettiva. Ipotesi diversa in re ipsa , non in relazione a documento in cui sia rappresentata. Potremmo attenderci un approfondimento argomentativo della giurisprudenza in materia?