La Suprema Corte sul reato di falsità ideologica commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici

Comandante Polfer comunica all’omologo della Polizia Locale che le infrazioni stradali erano state commesse durante il servizio falsità ideologica.

Con la pronuncia resa il 23 gennaio 2019, n. 3126, la V Sezione Penale di Piazza Cavour si è posta in linea con l’indirizzo consolidato in tema di falsità ideologica, ribadendo che l'ambito attestativo di un atto pubblico non è circoscritto alla sua formulazione espressa, bensì si estende pure alle attestazioni implicite, ogni volta che una determinata attività del pubblico ufficiale, non menzionata nell'atto, costituisce indefettibile presupposto, di fatto, ovvero condizione normativa, dell’attestazione espressa. La vicenda. La Corte territoriale aveva confermato la pronuncia resa dal GUP e con la quale quattro appartenenti alla Polfer erano stati ritenuti colpevoli del reato previsto e punito dall’art. 479 c.p. falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici . In estrema sintesi, un Comandante Polfer, in concorso e previo accordo coi singoli sottoposti, redigeva comunicazioni, indirizzate al Comandante della Polizia Municipale, con cui attestava falsamente, di volta in volta, che il singolo subordinato, sorpreso mentre infrangeva il c.d.s. a bordo della propria autovettura privata, conducesse il veicolo per ragioni di servizio, ed anche al di fuori dell’orario di lavoro. Inoltre, in tutte le fattispecie contestate, risultava mancante il modello denominato Q”, che debitamente deve essere compilato nelle ipotesi di infrazioni stradali elevate a carico di operatori Polfer in servizio con mezzi privati, anziché a bordo di quelli di ordinanza. Al contrario, i fatti venivano esposti oralmente dal singolo subordinato al comandante, che faceva proprie le valutazioni decidendo in ordine alla giustificazione fornita di volta in volta. I condannati ricorrono in Cassazione, dove i relativi ricorsi vengono ritenuti inammissibili. L’inammissibilità. Secondo la Corte, le imputazioni di reato ascritte ai ricorrenti artt. 110 e 479 c.p. descrivono condotte di false attestazioni compiacenti, redatte dal Comandante Polfer, in concorso col personale della stessa polizia, per scagionare condotte contrarie ai precetti stradali, poste in essere al di fuori dell’orario di servizio, a bordo di autovetture private. L’inammissibilità dei ricorsi si incentra sulla circostanza che le doglianze formulate replicano quelle già proposte innanzi al giudice territoriale di seconde cure. Ciò viene rilevato anche dalla motivazione della pronuncia impugnata, dove viene rappresentato che le presunte attività, asseritamente poste in essere dai dipendenti Polfer nel mentre, al di fuori dal servizio, utilizzavano le autovetture private e venivano sanzionati per violazioni stradali, non risultavano documentate attraverso le relazioni di servizio. Detta circostanza, secondo i giudici ermellini, non è stata confutata dalla difesa. Ulteriormente, rilevano che il collega di merito avrebbe affermato che i ricorrenti avevano richiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per dar prova che il comandante avesse agito per ritorsione verso i subordinati. A ciò si aggiunga, sempre secondo gli stessi togati romani, che la pronuncia impugnata aveva dato atto della richiesta formulata dalla difesa, e tesa ad acquisire la documentazione necessaria per verificare se il comandante, in un caso analogo, avesse formato il modello Q. Nel motivare l’inammissibilità dei ricorsi, la Corte conclude che la pronuncia impugnata aveva ritenuto la colpevolezza degli imputati al di là di ogni ragionevole dubbio. Il principio. La V Sezione Penale conferma l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, reso in ordine al delitto di falsità ideologica, e secondo cui l’ambito attestativo di un atto pubblico non risulta limitato alla sua formulazione espressa, bensì si estende pure alle attestazioni implicite, quando una certa attività del pubblico ufficiale, anche se non menzionata esplicitamente nell’atto, costituisca un indefettibile presupposto di fatto, ovvero una condizione normativa dell’attestazione espressa, dovendosi, per la configurabilità del reato previsto e punito dall’art. 479 c.p., far riferimento al contenuto, o tenore implicito, necessario dell’atto medesimo, e non meramente alla formulazione espressa. Il rappresentato indirizzo origina da una risalente pronuncia delle Sezioni Unite 30 giugno 1984, n. 7299 ove si era precisato l’irrilevanza dell’omessa menzione, nell’atto del compiacimento, da parte del pubblico ufficiale, della eventuale attività di accertamento che costituisce un indefettibile presupposto dell’attestazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 novembre 2018 – 23 gennaio 2019, n. 3126 Presidente Fumo – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di La Spezia in data 25/11/2014, con cui B.M. , C.B. , N.M. , S.S.M. erano stati condannati a pena di giustizia in relazione a plurime violazione dell’art. 479 cod. pen 2. Con ricorsi depositati in data 13/05/2017, B.M. , C.B. , N.M. , S.S.M. , Ba.Ma. ricorrono, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Alessandro Silvestri, per 2.1. vizio di motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d ed e , in riferimento all’art. 603 c.p.p., comma 2, atteso che, in caso di prove nuove o sopravvenute, il Giudice dell’appello è tenuto a procedere alla rinnovazione del dibattimento, anche nel caso di giudizio abbreviato, dovendosi qualificare prova nuova anche quella già esistente nella fase del giudizio di primo grado, ma scoperta solo successivamente, per cause non imputabili all’istante, come verificatosi nel caso di specie, in cui la difesa era venuta a conoscenza della prova solo in una fase successiva alla pronuncia di primo grado, trattandosi di documentazione interna alla Polfer ed alla Polizia Municipale e, come tale, non accessibile al privato cittadino, tanto è vero che il Comando di Polizia Municipale di La Spezia, adito dalla difesa, ha negato l’accesso ai documenti richiesti, riservando l’evasione alla richiesta dell’A.G., come documentato in allegato al ricorso. In ogni caso, l’assunzione delle prove documentali sarebbe stata determinante ad orientare la decisione, in quanto esse non erano affatto volte a dimostrare che la denuncia dalla quale è scaturito il procedimento era stata effettuata per finalità ritorsiva, come affermato dalla Corte territoriale, ma per dimostrare che l’Ispettore M.C. , che aveva dato impulso alle indagini, aveva seguito, in riferimento alla contravvenzione elevata alla sua vettura privata, la stessa prassi seguita dagli imputati, ossia quella di non compilare il modello Q nel caso di contravvenzioni elevate a carico degli agenti della Polfer che utilizzavano il loro veicolo privato per ragioni di servizio, anche al di fuori dell’orario di lavoro in tali casi, infatti, era prassi omettere la redazione del modello Q, e presentare direttamente i fatti al comandante, il quale faceva le proprie valutazioni decidendo in merito alla giustificazione fornita 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e , in riferimento all’art. 479 cod. pen., 530 c.p.p., comma 2, art. 533 c.p.p., avendo la Corte di merito erroneamente applicato la fattispecie di cui all’art. 479 c.p., che ricorre quando l’agente, nel documentare in un atto un determinata realtà, attesti l’esistenza di una situazione di fatto o di diritto contraria al vero, essendo, in ogni caso, onere della pubblica accusa dimostrare l’immutatio veri nel caso di specie, invece, non è stata realizzata nessuna alterazione del vero, né è stata occultata la realtà, in quanto, per la prassi invalsa all’interno dell’ufficio della Polfer di La Spezia, nei casi analoghi a quelli in esame gli agenti omettevano la redazione degli appositi modelli Q, non potendo detta prassi individuare aprioristicamente il delitto di falso ideologico, essendo l’omesso adempimento di alcuni passaggi burocratici cosa diversa dalla falsa attestazione nel caso di specie, quindi, mancherebbe l’accertamento dell’alterazione del vero, tant’è che la Corte di merito, affermando che appare verosimile la tesi difensiva - secondo cui gli agenti avrebbero svolto attività di servizio anche se non documentata -, dimostra come la pubblica accusa non abbia assolto all’onere probatorio, che non può farsi gravare sull’imputato pertanto, in presenza di una plausibile ricostruzione alternativa, avrebbe dovuto essere pronunciata una sentenza di assoluzione, quanto meno ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili. Le imputazioni di cui all’art. 110 e 479 c.p., come rispettivamente ascritte agli imputati, descrivono condotte di false attestazioni compiacenti, redatte dal comandante della Polfer di La Spezia, nei confronti di personale della medesima Polfer che, in varie occasioni, avevano commesso violazioni al Codice della Strada. In particolare B. e N. A Artt. 110 e 479 c.p., perché, N. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con B. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer B.M. in data omissis alle ore 8,20 aveva in uso l’autovettura Fiat Bravo tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione del codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data 26/11/2009 il Sov. B.M. si trovava in aspettativa per malattia con l’aggravante det. falso commesso su un atto fidefacente in omissis B Artt. 110 e 479 cod. pen., perché, N. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con B. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer B.M. in data omissis alle ore 16,22 aveva in uso l’autovettura Fiat Bravo tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione del codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data omissis il Sov. B.M. terminava il servizio alle ore 13,08 con l’aggravante de falso commesso su un atto fidefacente in omissis . C Artt. 110 e 479 cod. pen., perché, N. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con B. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer B.M. in data omissis alle ore 09,53 aveva in uso l’autovettura Fiat Bravo tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione del codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data omissis il Sov. B.M. si trovava in aspettativa per malattia con l’aggravante de falso commesso su un atto fidefacente in omissis . N. e S.M. D Artt. 110 e 479 cod. pen., perché, N. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con B. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer S.M. in data omissis aveva in uso l’autovettura tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione dei codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data omissis il Sov. S.M. era libero dal servizio con l’aggravante de falso commesso. su un atto fidefacente in omissis . E Artt. 110 e 479 cod. pen., perché, N. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con S.M. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer S.M. in data omissis aveva in uso l’autovettura Mercedes Benz classe C tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione del codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data omissis il Sov. S.M. era libero da servizio con l’aggravante de falso commesso su un atto fidefacente in omissis . C. e B. F Artt. 110 e 479 cod. pen., perché, C. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con B. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer B. in data omissis alle ore 17,06 aveva in uso l’autovettura Volkswagen Polo tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione del codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data omissis il Sov. B. entrava in servizio alle ore 18,55 con l’aggravante de falso commesso su un atto fidefacente in omissis . C. e S.M. G Artt. 110 e 479 cod. pen., perché, C. nella qualità di comandante del posto Polfer di La Spezia e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso e previo accordo con S.M. , redigeva una comunicazione, indirizzata al comandante della Polizia Municipale, con la quale attestava falsamente che il Sov. Polfer S.M. in data omissis aveva in uso l’autovettura Volkswagen Golf tg. - in relazione alla quale era stata accertata violazione del codice della strada - per motivi di servizio contrariamente a quanto attestato, invece, in data omissis il Sov. S.M. era in congedo ordinario con l’aggravante de falso commesso su un atto fidefacente in omissis . I ricorsi proposti nell’interesse degli imputati si limitano a sottoporre alla Corte di legittimità le identiche doglianze poste a fondamento dei motivi di appello. Ciò che emerge in maniera incontestata dalla motivazione della sentenza impugnata, è che le presunte attività - asseritamente svolte dai dipendenti Polfer nelle occasioni in cui, al di fuori del servizio, avevano utilizzato le rispettive autovetture private ed erano stati sanzionati a norma del Codice della Strada non risultano documentate, in alcun modo, da relazioni di servizio su quanto verificatosi. Detta circostanza - sicuramente di indiscutibile rilevanza nell’economia processuale della vicenda - non è in alcun modo confutata né, tanto meno, spiegata dalla difesa che, al contrario, sembra ritenere come l’impianto probatorio si basi unicamente su alcune omissioni poste in essere dagli imputati, il che non risulta corrispondente all’impianto motivazionale delle sentenze di merito, oltre che alla formulazione dell’editto accusatorio. Sul primo motivo di ricorso, ad ogni buon conto, va ricordato che la Corte di merito ha affermato che gli appellanti avevano chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per dimostrare che il comandante M. , poi allontanato per incompatibilità ambientale, aveva agito per ritorsione verso i sottoposti, che lo avevano denunciato la sentenza, inoltre, dà atto che la difesa aveva chiesto di acquisire la documentazione necessaria per verificare se il M. , in un caso analogo, avesse formato il modello Q. Come si evince dalla formulazione dei motivi di gravame, la difesa aveva chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sia al fine di verificare se il M. avesse anch’egli omesso il modello Q in un caso analogo, sia al fine di verificare se detto documento fosse o meno rinvenibile nel file delle giustificazioni che il M. aveva detto di aver rinvenuto all’atto del passaggio delle consegne. Evidentemente, se anche la Corte di merito avesse mal interpretata la richiesta difensiva, come sostenuto in ricorso, non si comprende, tuttavia, che rilevanza avrebbe potuto avere la dimostrazione della sussistenza di una prassi illegittima, posta in essere anche dal M. , considerato che una prassi di tale portata non avrebbe potuto, in ogni caso, escludere la rilevanza penale della condotta degli imputati, con conseguente superfluità ed irrilevanza della prova richiesta. In ogni caso, va precisato che la condotta ascritta agli imputati non è quella di aver omesso un passaggio dell’iter burocratico previsto, ma di aver formato attestazioni radicalmente false, il che rende esplicita la contestazione dell’immutatio veri. A tale proposito, infatti, va ricordato che In tema di falso documentale, il falso ideologico per omissione è integrato allorché l’attestazione incompleta - perché priva dell’informazione su un determinato fatto - attribuisca all’atto il significato di un’attestazione non conforme ai fatti tuttavia la condotta illecita è configurabile soltanto se sussiste un relativo obbligo giuridico di rappresentazione. Sez. 5, sentenza n. 22200 del 19/01/2017, P.M. in proc. Galeisoltani, Rv. 270215 . Tuttavia, nel caso in esame, come si evince pacificamente dalla formulazione dei capi di imputazione, relativamente ai quali è intervenuta condanna, la condotta ascritta ai ricorrenti non è quella di aver omesso un passaggio dell’iter burocratico previsto - ad esempio la redazione del modello Q -, consistendo, al contrario, nell’accusa di aver formato atti radicalmente falsi sotto l’aspetto del loro contenuto rappresentativo. Ne discende che, all’evidenza, il passaggio motivazionale in cui la sentenza impugnata afferma che le giustificazioni degli agenti erano plausibili, ma che la mancanza di riscontro documentale ne dimostra la falsità, significa, alla luce delle emergenze processuali, semplicemente che, in astratto ragionando, la versione degli imputati avrebbe anche potuto apparire plausibile, ma che, in concreto, ne risulta provata la falsità, in quanto non si comprende perché, se fosse stata vera, sarebbe mancato qualsivoglia riscontro documentale. Il che significa che, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto la colpevolezza degli imputati al di là di ogni ragionevole dubbio, affermando che le singole prospettazioni fornite, teoricamente plausibili, erano contraddette dalla totale assenza di concreti elementi di verifica, non comprendendosi per quale ragione gli agenti avrebbero omesso ogni relazione di servizio in riferimento a quanto verificatosi nelle occasioni in cui, al di fuori dell’orario lavorativo, avevano usato le autovetture private. Ne consegue, pertanto, la radicale falsità delle compiacenti relazioni redatte. Non vi è dubbio, infatti, che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di falsità ideologica l’ambito attestativo di un atto pubblico non è circoscritto alla sua formulazione espressa, ma si estende anche alle attestazioni implicite, tutte le volte in cui una determinata attività del pubblico ufficiale, pur non menzionata esplicitamente nell’atto, costituisca indefettibile presupposto di fatto o condizione normativa dell’attestazione espressa, dovendosi quindi, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 479 c.p., farsi logicamente riferimento al contenuto o tenore implicito necessario dell’atto stesso e non esclusivamente alla sua formulazione espressa Sez. 5, sentenza n. 28594 del 28/03/2018, Buonocunto ed altro, Rv. 273638 Sez. 5, sentenza n. 7718 del 13/01/2009, Fondazione Centro S. Raffaele Del M.t., Rv. 242569 Sez. 5, sentenza n. 1399 del 15/01/1999, P.M. in proc. Semi, Rv. 212388 . Detta giurisprudenza ha confermato l’orientamento del massimo consesso di questa Corte che, da tempo, ha precisato come sia irrilevante la omessa menzione nell’atto del compimento, da parte del pubblico ufficiale della eventuale attività di accertamento, che costituisce indefettibile presupposto dell’attestazione Sez. U., sentenza n. 7299 del 30/06/1984, Nirella, Rv. 165603 . Ne consegue, quindi, che, nelle condotte in esame, appare evidente la portata radicalmente falsa, quanto all’immutatio veri, delle attestazioni redatte, come risultante da motivazione della sentenza impugnata, la cui tenuta logico-motivazionale non appare in alcun modo scalfita dalle argomentazioni del ricorso. Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi discende, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.