Raptus in campo durante una partita di calcetto. Un atleta, pronto a far riprendere l’azione, colpisce con violenza il giocatore che si è posto davanti alla palla a inchiodarlo è il fatto che l’episodio sia avvenuto a gioco fermo.
Raptus in campo durante una partita di calcetto, un giocatore, in procinto di battere una punizione, dà una testa all’avversario che ha osato porsi dinanzi alla palla. Inevitabile la condanna penale, sanciscono i giudici, anche perché il fattaccio è avvenuto evidentemente a gioco fermo, come certificato anche dal referto arbitrale Cassazione, sentenza numero 3144/19, sez. V Penale, depositata oggi . Aggressione. Nessun dubbio per i giudici del Tribunale e della Corte d’Appello l’episodio verificatosi nel 2008, durante una partita di calcetto, vale una condanna per «lesioni personali». Inequivocabile il comportamento tenuto dal calciatore sotto processo egli, «in procinto di battere una punizione», «colpiva con una testata il giocatore avversario che, appena entrato, si era posto davanti alla palla» e gli causava la rottura del setto nasale. Decisiva, poi, la constatazione che «l’aggressione era avvenuta a gioco fermo», come certificato dal «referto dell’arbitro». In campo. Stessa linea di pensiero anche per i Giudici della Cassazione, i quali confermano la condanna così come pronunciata in Appello. Evidente la colpevolezza dell’atleta per l’assurda testata data all’avversario. Impossibile, osservano i magistrati ribattendo alle obiezioni difensive, parlare di “rischio consentito”, logicamente connesso cioè allo svolgimento della partita di calcetto. In questo caso, invece, l’episodio si è verificato a gioco fermo, e irrilevante è l’osservazione fatta dal legale secondo cui «le regole del calcetto prevedono che il gioco non si fermi mai, neppure quando si sia in attesa di battere una punizione, che può essere effettuata senza attendere il fischio arbitrale» e, quindi, la testata incriminata sarebbe stata data «non a gioco fermo ma durante lo svolgersi della prestazione agonistica». Questa visione è smentita innanzitutto dal «dato documentale rappresentato dal referto arbitrale», in cui si legge che il calciatore «a gioco fermo dava una testata al diretto avversario». E poi, aggiungono i Giudici, l’atleta sotto processo «ha colpito l’avversario con una testata al di fuori di un’ordinaria azione di gioco» ci si trova di fronte, quindi, a «una dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva». Per chiudere il cerchio, infine, viene chiarito che la scriminante del cosiddetto ‘rischio consentito’ «non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 novembre 2018 – 23 gennaio 2019, numero 3144 Presidente Vessichelli – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di M.F. per aver cagionato lesioni personali a G.F. , mentre ha assolto l’imputato dal reato di ingiuria per intervenuta abolitio criminis, rideterminando la pena inflitta e limitando il risarcimento danni al solo reato di lesioni. In sintesi, durante una partita di calcetto, M.F. , in procinto di battere una punizione, colpiva con una testata il giocatore avversario, G.F. , il quale, appena entrato in campo, si era posto davanti alla palla. L’aggressione era avvenuta a gioco fermo e non poteva considerarsi scriminata. 2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, articolando due motivi. 2.1 Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, per mancato riconoscimento dell’esimente non codificata del cd. rischio consentito o di quelle di cui agli articolo 50 e 51 c.p Le regole del calcetto prevedono che il gioco non si fermi mai, neppure quando si sia in attesa di una punizione, che può essere battuta senza attendere il fischio arbitrale. Quindi il fatto non sarebbe avvenuto a gioco fermo ma durante lo svolgersi della prestazione agonistica, con conseguente operatività delle scriminanti invocate. 2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta analoghi vizi, deducendo l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, rispetto al quale rileva una omessa pronuncia. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è per un verso generico e per altro manifestamente infondato. Sotto l’apparente denuncia di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, il ricorrente chiama la Corte di legittimità a esprimere un giudizio di merito sul fatto se il gioco fosse fermo o meno. A riguardo, con una motivazione non illogica né contraddittoria, la Corte di appello, esaminate in maniera accurate le risultanze istruttorie, ha concluso che M. ha colpito G. con una testata sferrata a gioco fermo . In proposito viene valorizzato il dato documentale rappresentato dal referto in cui l’arbitro ha dato conto dell’espulsione di M. in quanto a gioco fermo dava una testata al diretto avversario pag. 5 sentenza impugnata . Non è applicabile la scriminante del rischio consentito, né tantomeno quelle dell’esercizio del diritto o del consenso dell’avente diritto, qualora, come nella specie, nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con una testata al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc. e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro Sez. 5, numero 42114 del 04/07/2011, B., Rv. 251703 Sez. 5, numero 33275 del 28/03/2017, Sansica, Rv. 270498 . Sono quindi inammissibili le doglianze del ricorrente, che muovono da un presupposto fattuale difforme da quello ricostruito dai giudici di merito, del tutto ipotetico e avulso dalle risultanze istruttorie richiamate in sentenza. 3. Analoga sorte segue il secondo motivo. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la questione dell’elemento soggettivo e quindi della volontarietà dello scontro era stata già risolta dal Tribunale e ha trovato puntuale risposta anche da parte della Corte di appello che, dopo una attenta ricostruzione del contesto dell’azione e della condotta, rileva si stava per battere una punizione con la conseguenza che il fatto era svincolato dalla dinamica del gioco pag. 6 . 4. Dalla inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.