Prelievo illegittimo dalla conduttura idrica: nessuna giustificazione per l’imputato indigente

Confermata la condanna dell’imputato per furto. Respinta la tesi difensiva secondo cui egli avrebbe agito per far fronte a primarie esigenze di vita.

Catalogabile come furto in piena regola il prelievo – illegittimo – di acqua dalla conduttura idrica del Comune. Condanna inevitabile, quindi, poiché, secondo i Giudici, tale azione non è giustificabile col richiamo a “esigenze primarie di vita” Cassazione, sentenza numero 2114/19, sez. V Penale, depositata oggi . Necessità. Scenario della vicenda è la provincia di Enna. Lì un individuo, di neanche 30 anni, finisce sotto processo per «furto di acqua dalla conduttura idrica». Per i Giudici, quell’azione vale una condanna, non potendo essere resa meno grave dal presunto «stato di necessità» lamentato dall’imputato. E questa valutazione è ora condivisa dalla Cassazione, che respinge le ultime obiezioni proposte dal legale della persona sotto accusa. L’avvocato spiega che il proprio cliente ha agito per far fronte a un «pericolo attuale e circoscritto nel tempo», e aggiunge, a dare forza alla propria tesi, che «nel Comune di residenza dell’uomo non vi sono fonti pubbliche di approvvigionamento idrico» né, comunque, «enti di assistenza sociale» capaci di «sopperire alle sue esigenze primarie di vita». Questa visione viene però respinta dai Giudici del Palazzaccio, i quali ribadiscono il principio secondo cui «l’esimente dello stato di necessità», connessa al «pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito», non può applicarsi ai «reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico» quando ad esso «possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 novembre 2018 – 17 gennaio 2019, numero 2114 Presidente Pezzullo – Relatore Amatore Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Caltanisetta ha confermato la condanna emessa in data 12.11.2014 dal Tribunale di Enna per il reato di cui agli articolo 624 e 625 nnumero 2 e 7, cod. penumero . Avverso la predetta sentenza ricorre l'imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza. 1.1Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, vizio di motivazione e vizio di violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dello stato di necessità. Osserva la difesa che la Corte di merito non aveva considerato una serie di circostanze fattuali in grado di provare che si trattava di un pericolo - quello superato attraverso la commissione necessitata del reato contestato furto di acqua dalla conduttura idrica - attuale e circoscritto nel tempo, e non già perdurante ed inidoneo a riconoscere la reclamata esimente. Si evidenzia, sul punto qui da ultimo in esame, che nel comune di residenza dell'imputato non vi erano fonti pubbliche di approvvigionamento idrico e comunque enti di assistenza sociale volti a sopperire alle esigenze primarie di vita del ricorrente. 1.2 Con il secondo motivo si articola vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla determinazione della pena, e ciò con particolare riferimento alla mancata esclusione della recidiva e al più corretto giudizio di bilanciamento delle circostanze. Considerato in diritto 2. Il ricorso è inammissibile. 2.1 Già il primo motivo di censura risulta essere manifestamente infondato. Sul punto è necessario ricordare il costante e consolidato insegnamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità e secondo il quale la situazione di indigenza non è di per sè idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza social cfr. Sez. 5, Sentenza numero 3967 del 13/07/2015 Ud. dep. 29/01/2016 Rv. 2658880 Sez. 3, Sentenza numero 35590 del 11/05/2016 Ud. dep. 29/08/2016 Rv. 267640- 01 . Orbene, la sentenza impugnata si è correttamente adeguata al principio da ultimo ricordato e qui di nuovo riaffermato , sfuggendo, pertanto, alle censure di illegittimità prospettate nel ricorso introduttivo. Ed invero, l'esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l'atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque avviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti Le restanti doglianze contenute nel primo motivo sono invece inammissibili perché versate in fatto e volte ad una rivalutazione di merito del giudizio di penale responsabilità dell'imputato. 2.2 Il secondo motivo è anch'esso inammissibile in quanto diretto a sollecitar la Corte di legittimità ad una rilettura degli atti per rivalutare il profilo della dosimetria della pena. 3. Alla inammissibilità consegue, ex articolo 616cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 3000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.