Vettura di servizio parcheggiata all’esterno di un condominio: condanna per peculato

Confermata la sanzione, cioè dieci mesi di reclusione, nei confronti di un maresciallo dei Carabinieri. Accertato l’illegittimo utilizzo dell’automobile. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di condotta non offensiva.

Sospetto il posizionamento della vettura di servizio affidata a un maresciallo dei Carabinieri e avvistata, in alcune occasioni, all’esterno di un condominio privato. Rapide indagini fanno emergere l’illecito utilizzo dell’automobile, e inevitabile è la condanna per il militare dell’Arma, colpevole non solo di peculato d’uso” ma anche di falso”, avendo realizzato due atti d’ufficio non veritieri per giustificare gli spostamenti compiuti in auto Cassazione, sentenza n. 2006/19, sez. VI Penale, depositata oggi . Finalità. Ricostruita la vicenda, svoltasi nell’estate del 2015 in Sicilia, i Giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, si mostrano concordi sulla colpevolezza del maresciallo dei Carabinieri. Consequenziale è la sua condanna a dieci mesi di reclusione . Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che il militare abbia illegittimamente utilizzato l’autovettura di cui aveva la disponibilità esclusivamente per ragioni del proprio ufficio . A rendere la sua posizione più grave, poi, anche il fatto che egli redatto, nell’esercizio delle proprie funzioni , addirittura due atti falsi per provare a giustificare l’incomprensibile posizionamento della vettura di servizio all’esterno di un condominio. Tale visione è condivisa anche dai Giudici della Cassazione, i quali ritengono evidente che l’utilizzo dell’automobile di servizio non era sorretto da alcuna finalità istituzionale . Respinta poi la tesi difensiva secondo cui il comportamento del maresciallo era da catalogare come inoffensivo poiché concretizzatosi per un periodo di tempo limitato, cioè due ore. A questa obiezione i Giudici ribattono ricordando che ciò che conta è la distrazione provvisoria del bene dalla finalità pubblica .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 novembre 2018 – 16 gennaio 2019, n. 2006 Presidente Petruzzellis – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. Pa. Ga., per mezzo del proprio difensore, impugna la sentenza della Corte d'appello di Palermo che, in parziale riforma della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Agrigento del 7 dicembre 2016 - che, all'esito del giudizio abbreviato lo aveva dichiarato colpevole del reato di peculato d'uso dell'autovettura dell'amministrazione capo a e del falso materiale fidefacente capo b ex artt. 314, comma secondo, e 476, comma secondo, 61 n. 2, cod. pen., per fatti commessi in Canicattì e Naro il 20 agosto 2014, condannandolo, ritenuta la continuazione tra i capi a e b , alla pena sospesa di dieci mesi di reclusione -, ha disposto la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario. Il ricorrente è stato ritenuto responsabile, quale Maresciallo Capo in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Naro, di aver utilizzato l'autovettura di cui aveva la disponibilità per ragioni del proprio ufficio, recandosi, fuori dal servizio, nel territorio di Canicattì, nonché, richiesto di fornire giustificazione del legittimo utilizzo del mezzo e segnatamente del motivo per il quale si fosse recato con l'autovettura di servizio nel territorio del comune di Canicattì, formava, nell'esercizio delle proprie funzioni, due atti falsi un invito per la presentazione a rendere interrogatorio di persona sottoposta ad indagini destinato ad un legale quale difensore di fiducia di un indagato, asseritamente su delega dell'autorità giudiziaria con indicazione del relativo numero del procedimento , e della conseguente relata di notifica di detto atto provvisto di fede privilegiata, a cui era stata apposta la falsa attestazione di ricezione del destinatario. 2. Il ricorrente deduce i motivi di seguito indicati. 2.1. Violazione dell'art. 314, comma secondo, cod. pen. in relazione agli artt. 530, comma 1 e 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen. Si contesta la ravvisata ipotesi di peculato non essendo emerso che il ricorrente si fosse recato a Canicattì per motivi differenti da quelli istituzionali, circostanza che sarebbe emersa qualora la Corte di merito avesse esaminato i motivi in fatto ed in diritto dedotti in sede di gravame. 2.2. Vizi di motivazione e violazione dell'art. 314, comma secondo, cod. pen. per inoffensività della condotta che, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, secondo cui sarebbe stato valorizzato l'indebito utilizzo dell'autovettura per sei ore, lo stesso sarebbe stato invece limitato ad appena due ore uso episodico non idoneo a travalicare la soglia del penalmente rilevante tenuto conto della breve distanza 11-12 chilometri corrente tra Naro e Canicattì. In questo senso si sarebbe anche espressa questa Corte che, proprio analizzando un caso analogo, ha avuto modo di evidenziare l'esclusione della configurabilità del delitto di peculato d'uso in presenza di comportamenti occasionali non idonei a realizzare alcun apprezzabile pregiudizio patrimoniale. 2.3. Vizi di motivazione e violazione dell'art. 476, comma secondo, cod. pen. Si censura la ritenuta natura pubblica dell'atto, non adeguatamente t argomentata nonostante le censure specifiche con cui era stato fatto presente che l'invito a rendere interrogatorio, comunicato al difensore di fiducia dell'indagato, essendo inesistente il relativo procedimento, non consentiva di ipotizzare l'integrazione di un atto pubblico, mentre la sua inoffensività rendeva lo stesso inidoneo a ledere la pubblica fede. Si osserva, inoltre, che proprio la insussistenza del delitto di cui al capo a del peculato d'uso contestato indurrebbe ad ipotizzare l'inoffensività dell'ipotizzato falso, di cui è stata ritenuta la sussistenza sulla base della finalità di giustificare l'utilizzo della vettura di servizio ed assicurarsi l'impunità. Non si scorgerebbe adeguata motivazione del necessario elemento soggettivo, tenuto conto che la predisposizione di tali atti è stata effettuata per mera superficialità, al fine di giustificare l'uso della vettura di servizio ovvero a sua discolpa. 2.4. Vizi di motivazione e violazione degli artt. 131-bis, 62, n. 4, e 323-bis cod. pen. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, generico, proponendo il ricorrente anche motivi non consentiti ex art. art. 606, comma 3, cod. proc. pen. 2. Il primo motivo per mezzo del quale si sostiene che l'autovettura fosse stata utilizzata per motivi istituzionali, si rivela essere non consentito ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Sono prospettati - a fronte di un duplice conforme specifico apprezzamento in fatto dei Giudici del merito, sorretto da motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà - deduzioni difensive che si risolvono nella mera sollecitazione ad una diversa valutazione, del tutto preclusa in questa sede di legittimità. È appena il caso di ricordare che la motivazione della sentenza di primo grado, allorché i giudici del gravame concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, si salda a quella della pronuncia del giudice del controllo, in un unico plesso argomentativo, a cui la Corte di cassazione può fare riferimento Cass., Sez. 3, n. 44418 del 16 Luglio 2013, Argentieri, Rv. 257595 . La Corte territoriale ha, infatti, ben posto in evidenza che l'utilizzo dell'autovettura di servizio non era sorretto da alcuna finalità istituzionale, circostanza nell'immediatezza e spontaneamente ammessa dal ricorrente al superiore, dopo essere stato scoperto nella redazione dei falsi atti che avrebbero consentito di giustificare l'utilizzo al di fuori del territorio comunale, ove il mezzo era stato notato parcheggiato all'esterno di un condominio privato. 3. Manifestamente infondato, oltre che generico, si rivela, altresì, il secondo motivo attraverso il quale il ricorrente, da un canto sostiene la inoffensività della condotta quanto al contestato peculato d'uso, dall'altro, onde sostenerne la fondatezza, intende in realtà accreditare la diversa ricostruzione secondo cui l'uso della vettura indebitamente distratto ai fini istituzionali sarebbe avvenuto per una minore periodo di tempo due ore a fronte delle ritenute sei ore , rispetto a quanto ricostruito concordemente sulla base delle valutazione operate all'esito del giudizio abbreviato, concluso con i due conformi gradi di giudizio nel merito. Quanto alla ritenuta assenza di offensività della condotta che, secondo quanto dedotto, avrebbe contraddistinto il comportamento del ricorrente, deduzione già formulata in sede di gravame e motivatamente smentita dalla Corte territoriale, deve rilevarsi che è giurisprudenza pacifica di questa Corte quella secondo cui integra il delitto di peculato d'uso la condotta dell'appartenente ad una forza di polizia che utilizzi l'auto di servizio per esigenze personali ipotesi di utilizzo dell'autovettura di servizio per recarsi da una prostituta, Sez. 6, n. 5206 del 15/12/2017, dep. 2018, S e altro, Rv. 272178 . Ciò in quanto non può esigersi l'esatta quantificazione del pregiudizio patrimoniale arrecato all'amministrazione che, pur dovendo essere apprezzabile, non può spingersi sino a richiedere un giudizio di valore che si presenti incompatibile con la stessa fattispecie penale che punisce il semplice uso del bene, concetto che ex se presuppone proprio una modalità dell'azione caratterizzata dalla distrazione provvisoria dello stesso dalla finalità pubblica, tenuto conto che il mezzo utilizzato per fini personali dal ricorrente era comunque attribuito all'Arma dei Carabinieri, in generale, e alla Stazione di Naro, in particolare, al cui doveroso utilizzo istituzionale era stato sottratto per un significativo lasso di tempo. In tale direzione, tra l'altro, si pone proprio la giurisprudenza di questa Corte che, in ipotesi di reiterazione di condotte, pur ritenendo non sussista la possibilità che la fattispecie possa integrare la differente fattispecie di cui all'art. 314, comma primo, cod. pen., reputa che la reiterazione dell'utilizzo del bene comporta la pluralità di reati ex art. 314, comma secondo, cod. pen., eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione Sez. 6, n. 14040 del 29/01/2015, Soardi, Rv. 262974 . Principio, quello appena richiamato, che smentisce quanto sostenuto dal ricorrente in ordine alla necessaria reiterazione della condotta ai fini della integrazione del reato che si sostiene, in caso contrario, deputato alla irrilevanza penale. 4. Manifestamente infondato risulta quanto dedotto in ordine all'asserita carenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del delitto di falso connesso alla predisposizione degli atti evidenziati nell'imputazione. La censura attraverso la quale si intende assegnare al delitto di falso contestato la presenza di elementi e presupposti non richiesti dalla norma penale in argomento come il suo necessario specifico riferimento ad un determinato procedimento risulta identica a quella già proposta in sede di gravame, a cui la Corte di merito non ha potuto fare altro che ribadire quanto già evidenziato dal Tribunale e cioè che proprio il ricorrente aveva predisposto i due atti falsificandoli nel loro contenuto, atti all'evidenza a natura pubblica tanto da realizzare, in ordine alla falsificazione della relata di notifica al difensore di un indagato, un atto con fede privilegiata in quanto certamente facente prova fini a querela di falso. La specifica destinazione degli atti in questione all'interno del procedimento che era volto a giustificare l'utilizzo istituzionale del mezzo rende inconferente la circostanza che il procedimento penale non fosse realmente esistente, mentre le finalità ulteriori di tale condotta, seppur necessarie per poter meglio ricostruire in fatto gli eventi significativi ai soli fini della sussistenza della contestata aggravante della connessione teleologica, non risultano affatto rilevanti ai fini dell'integrazione della fattispecie realizzatasi con la sola immutatio veri e la consapevolezza di tale condotta Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264 che, in quanto preordinata a creare una situazione di apparente legittimità della condotta di peculato d'uso, è stato escluso fosse frutto di leggerezza. 5. Generico risulta quanto dedotto dal ricorrente in ordine alla negata concessione dell'attenuante di cui agli artt. 62, n. 4, 323-bis cod. pen. cod. pen. ed all'omessa applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. La particolare qualifica del soggetto agente, la reiterazione dei delitti anche della stessa indole in un breve arco di tempo, le modalità del fatto per come rettamente ricostruita dai giudici di merito, la non modesta rilevanza del fatto, tenuto conto della valenza non meramente patrimoniale dei reati posti in essere, sono elementi che hanno consentito, da un canto di escludere la particolare tenuità dei fatti contestati, dall'altra di non applicare la richiesta attenuante, conformemente a quanto sostenuto da questa Corte secondo cui, detta circostanza attenuante speciale ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501 . Elementi egualmente valorizzati al fine di ritenere inconferente la non motivata richiesta di concedere l'attenuante di cui all'art. 323-bis cod. pen. Alla luce del complessivo apprezzamento dei fatti. 6. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima adeguata, di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.