Limiti all’impugnazione della sentenza di assoluzione avanzata dalla parte civile

L’impugnazione della parte civile è inammissibile per difetto di interesse quando l’imputato sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato, per causa soggettiva di non punibilità, per insufficienza di prove sull’elemento psicologico, per causa di improcedibilità ovvero per una causa sopravvenuta di estinzione del reato.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1141/19, depositata l’11 gennaio. Il fatto. Il Tribunale di Napoli dichiarava non doversi procedere nei confronti di un’imputata per il delitto di appropriazione indebita, per sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 649 c.p Avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione la parte civile, dolendosi tra l’altro per l’erronea valutazione della causa di esclusione della punibilità in quanto il coniuge della querelante, e figlio dell’imputata, era venuto a mancare con conseguente cessazione della qualità di affine. Interesse della parte civile ad impugnare. Il ricorso risulta inammissibile in quanto, come ricorda la S.C., in relazione alle sentenze di proscioglimento il perimetro delle impugnazioni consentite deve essere individuato in relazione all’interesse all’impugnazione attraverso la verifica del concreto risultato utile cui tende la parte processuale. Nel contesto dell’esercizio dell’azione civile nel giudizio penale, l’interesse della parte civile a proporre impugnazione è quello di non veder pregiudicate, in ipotesi di pronunce assolutorie, le pretese al riconoscimento del fatto illecito e del diritto al risarcimento e alle restituzioni , pregiudizio che ricorre laddove la sentenza abbia statuito l’insussistenza degli elementi del fatto tipico ovvero abbia accertato l’esistenza di cause di esclusione della responsabilità. Ciò posto, ogni differente pronuncia, che non involga alcun giudizio su tali elementi della fattispecie, e che abbia acquisito autorità di cosa giudicata in sede penale per effetto della mancata impugnazione del pubblico ministero, non potrà formare oggetto di appello o di ricorso proposti dalle parte civile . Ne consegue che l’impugnazione della parte civile è inammissibile per difetto di interesse quando l’imputato sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato, per causa soggettiva di non punibilità, per insufficiente di prove sull’elemento psicologico, per causa di improcedibilità ovvero per una causa sopravvenuta di estinzione del reato. Si tratta infatti di ipotesi in cui non risultano pregiudicati gli interessi della parte civile, poiché l’art. 125 c.p.p. non pone limitazioni all’esercizio dell’azione in sede civile. Per questi motivi, la Corte conclude dichiarando inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 novembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1141 Presidente Prestipino – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 22/12/2015, dichiarava non doversi procedere nei confronti di G.M. , in relazione al contestato delitto di cui all’art. 646 c.p. ritenendo sussistente la causa di non punibilità ex art. 649 c.p 2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa della costituita parte civile premessa l’ammissibilità in astratto dell’impugnazione proposta per l’interesse della parte civile a non dover nuovamente assumere gli oneri probatori, già assolti nel giudizio penale concluso con la sentenza impugnata, per dimostrare la responsabilità dell’imputata nell’instaurando giudizio civile , deduce con il primo motivo di ricorso, la violazione della legge penale, in riferimento agli artt. 2 e 3 c.p.p., per avere la sentenza violato il giudicato interno con riferimento all’applicabilità dell’art. 649 c.p., questione già valutata dal medesimo giudice nell’esame delle questioni preliminari al dibattimento. Risultava dagli atti del giudizio che sin dalle indagini preliminari era stata esclusa la sussistenza della condizione di non punibilità con le ordinanze con cui erano state rigettate le richieste di archiviazione , decisione sostenuta anche dal giudice del dibattimento in sede di esame delle questioni preliminari al dibattimento nessun nuovo elemento era sopraggiunto nel corso dell’istruttoria dibattimentale. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione di legge, in relazione agli artt. 307 e 649 c.p. la sentenza aveva riconosciuto erroneamente il rapporto di affinità tra l’imputata e la querelante nuora della prima ignorando il dato della morte del coniuge della querelante, che aveva determinato la cessazione della qualità di affine. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2.1. Il perimetro delle impugnazioni consentite alla parte civile, in relazione alle sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, dev’ essere individuato attraverso la lettura sinottica delle disposizioni di cui all’art. 568 c.p.p., comma 4, e art. 576 c.p.p Il principio generale che richiede l’individuazione dell’interesse all’impugnazione, attraverso la verifica del risultato in concreto utile che la parte processuale può conseguire mediante l’esercizio del diritto ad impugnare il provvedimento, impone di selezionare, tra le pronunce di proscioglimento, e tra esse anche fra quelle assolutorie, le sentenze che possono essere oggetto di appello o di ricorso proposti dalla parte civile in mancanza di impugnazione da parte dell’ufficio del p.m. . 2.2. Nella prospettiva dell’esercizio dell’azione civile nel contesto del giudizio penale, l’interesse che fonda il diritto all’impugnazione della parte civile è quello di non veder pregiudicate, in ipotesi di pronunce assolutorie, le pretese al riconoscimento del fatto illecito e del diritto al risarcimento e alle restituzioni. Tale pregiudizio ricorre ove la sentenza di proscioglimento, mediante l’accertamento condotto nella fase del giudizio, abbia statuito sull’insussistenza degli elementi del fatto tipico, comuni alla struttura del fatto illecito che rappresenta la causa petendi dell’azione civile, ovvero abbia accertato l’esistenza di cause di esclusione della responsabilità, riconosciute come tali anche in sede civile. Ogni differente pronuncia, che non involga alcun giudizio su tali elementi della fattispecie, e che abbia acquisito autorità di cosa giudicata in sede penale per effetto della mancata impugnazione del pubblico ministero, non potrà formàre oggetto di appello o di ricorso proposti dalla parte civile, come nelle ipotesi in cui si tratti di pronunce dal contenuto meramente processuale quali quelle relative all’insussistenza di condizioni di procedibilità la parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell’azione civilistica Sez. 2, n. 19738 del 21/03/2018, Balbo, Rv. 272898, seguendo l’insegnamento di Sez. Unite, n. 35599 del 21/06/2012, Di Marco, Rv. 253242 . 2.3. Il dato normativo di riferimento, per apprezzare la sussistenza del pregiudizio che la parte civile può subire in conseguenza della pronuncia assolutoria, è rappresentato dall’art. 652 c.p.p. norma che, secondo il costante orientamento sia della giurisprudenza penale, che di quella civile, va interpretata nel senso che il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto, o della mancata partecipazione dell’imputato alla sua realizzazione, mentre analogo effetto non scaturisce dalla pronuncia di assoluzione con altre formule, non essendo suscettibile di applicazione analogica la norma di cui all’art. 652 c.p.p. per il suo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile Cass. civ., sez. 3, 18-11-2014, n. 24475, in tema di sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale nei confronti di imputato minorenne Cass. civ., sez. 3, 02-08-2004, n. 14770 . Ad analoghe conclusioni si è giunti espressamente anche con riferimento alla sentenza di assoluzione per l’accertata sussistenza di una causa di non punibilità Sez. 5, n. 11090 del 07/01/2015, Decarli, Rv. 263037, relativa ad una fattispecie di assoluzione pronunciata per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p., la quale, escludendo la punibilità dei reati di ingiuria e diffamazione, non ne esclude la natura di illecito civile e l’esistenza dell’obbligazione risarcitoria, ove ne sia derivato un danno, che può essere fatta valere innanzi al giudice civile . 2.4. La soluzione interpretativa adottata, era stata già fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, nel vigore del codice di rito del 1930, quando si era più volte affermato che anche a seguito delle sentenze n. 1 del 25 gennaio 1970 e n. 29 del 27 febbraio 1972 della Corte costituzionale, l’impugnazione della parte civile deve ritenersi inammissibile per difetto di interesse quando l’imputato sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato o per una causa soggettiva di non punibilità o per insufficienza di prove sull’elemento psicologico o per una causa di improcedibilità ovvero per una causa sopravvenuta di estinzione del reato. Invero, le suddette formule di assoluzione non pregiudicano gli interessi della parte civile, perché in questi casi l’art. 25 c.p.p. non pone limitazioni all’esercizio dell’azione in sede civile. Viceversa, la parte civile ha il diritto di invocare la sostituzione della formula censurata con altra egualmente assolutoria, nel caso in cui l’imputato sia stato assolto perché il fatto non sussiste o perché non l’ha commesso o per insufficienza di prove sul fatto o con altra formula totalmente preclusiva dell’ulteriore corso dell’azione civile nella specie, per aver agito nell’esercizio di una facoltà legittima Sez. 5, n. 1877 del 18/12/1981, dep. 1982, Luchini, Rv. 152440 . 2.5. L’impugnazione che contesti, come nella specie, l’erronea affermazione della sussistenza di una causa di non punibilità, non è in grado di eliminare concreti pregiudizi alla parte civile impugnante da quella pronuncia assolutoria, nel successivo giudizio civile, non discenderebbe alcun limite all’accertamento della sussistenza del fatto illecito e, quindi, del danno risarcibile ove siano provati i fatti costitutivi della domanda proposta. Né l’impugnazione non risulta sorretta da un interesse giuridicamente apprezzabile, in termini di vantaggio conseguibile dalla parte civile l’accertamento contenuto nella sentenza oggetto di ricorso, come risulta dalla lettura del testo della decisione, è limitato alla verifica della sussistenza della causa di non punibilità ex art. 649 c.p., senza che la decisione abbia dato conto di specifici accertamenti sulla sussistenza del fatto di reato e della sua attribuibilità all’imputato. Pertanto, anche ove dovesse risultare corretta la prospettazione giuridica della ricorrente, quanto all’insussistenza dei presupposti per ritenere operante la causa di non punibilità riconosciuta dalla sentenza del Tribunale, il contenuto della sentenza che dovesse riformare tale decisione non recherebbe alcun vantaggio concreto alla parte civile su cui resterebbe l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi della domanda in sede civile, senza alcun ausilio derivante dall’avvenuta costituzione nel giudizio penale . 3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.