Rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena: diritto alla salute o alla sicurezza sociale?

In tema di differimento dell’esecuzione della pena ovvero di concessione della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice di merito è sempre tenuto a verificare il reale stato patologico del detenuto, onde accertare in concreto se la detenzione risulti compatibile con lo stato di salute e il rispetto della dignità umana.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 1033/19, depositata il 10 gennaio. La problematica prevalenza del diritto alla salute nell’esecuzione della pena. La sentenza in commento pone l’attenzione sul delicatissimo tema, sempre attuale, dei rapporti tra diritto alla salute ed esecuzione penitenziaria. La questione rimanda alla memoria la pronuncia, che ebbe rilevante carattere mediatico, relativa alla carcerazione di Totò Riina, ed in particolare al difficile equilibrio tra incompatibilità carceraria e pericolosità sociale del detenuto. Cominciando con ordine, la pronuncia affronta l’istituto del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva, il quale consente al Tribunale di sorveglianza di disporre il rinvio o la sospensione dell’esecuzione quando il detenuto versi in condizioni di grave infermità fisica. Il differimento costituisce una radicale alternativa alla detenzione carceraria legittima il Tribunale di sorveglianza, in presenza di determinati presupposti, a disporre il rinvio della pena in carcere in luogo della detenzione domiciliare surrogata, con un distacco totale del detenuto dall’ambiente carcerario. L’istituto riveste la finalità di bilanciare il diritto ad una pena non disumana con esigenze di sicurezza sociale, da cui deriva l’obbligo, in capo al giudice, di valutare la pericolosità sociale del condannato ai fini di un giudizio di prevalenza in concreto degli interessi contrapposti. L’infermità psichica è, secondo Il Tribunale, compatibile col regime carcerario. Nel caso in esame, il Tribunale di Sorveglianza di Taranto aveva rigettato una istanza di differimento della pena e di detenzione domiciliare formulata sul presupposto di una serie di problematiche psichiche le quali si sarebbero riversate – ineluttabilmente - sulla condizione fisica del detenuto quest’ultimo aveva subito un grave calo ponderale, dai 90 kg agli attuali 50 kg, che aveva inciso in maniera irrimediabile sulle condizioni di salute rendendolo incompatibile con lo stato di detenzione carceraria. Il rigetto era stato motivato sull’impossibilità di accedere alla detenzione domiciliare per i soggetti portatori di una infermità di tipo psichico, posto che la norma si applica soltanto in presenza di una comprovata infermità fisica. Inoltre, il detenuto, più volte ricoverato presso strutture sanitarie locali, avrebbe rifiutato l’assunzione di alimenti per via orale o parenterale, così causando ex se il radicale dimagrimento che renderebbe, secondo la difesa, il suo stato di salute incompatibile con il regime carcerario. La prudenza valutativa innanzi tutto. Attraverso le censure mosse al predetto provvedimento di rigetto, si lamenta l’inesatta interpretazione, da parte del Tribunale di sorveglianza, delle norme sul differimento della pena e la surrogatoria detenzione domiciliare. Il Tribunale, difatti, dinanzi ad un quadro clinico pluricompromesso associato ad un disturbo psichico depressivo, avrebbe deliberatamente obliterato le prime risultanze e, concentrandosi esclusivamente sull’infermità psichica, avrebbe omesso accurati accertamenti volti a verificare le reali ragioni della malnutrizione del detenuto, rilegando tale fenomeno al mero rifiuto dello stesso di alimentarsi. Su tali presupposti sarebbe stato escluso il differimento dell’esecuzione, anche in ragione della preoccupante pericolosità del detenuto, valutata, invero, soltanto alla stregua dei precedenti delitti commessi dallo stesso e non già tenendo conto che il grave stato di decadimento non consentirebbe di svolgere il percorso di reinserimento sociale cui è finalizzata la sanzione penale. Ancora, in ordine all’esclusione della detenzione domiciliare per il soggetto portatore di infermità psichica, sussisterebbero gli estremi per una questione di legittimità costituzionale per violazione del diritto alla salute, diritto all’uguaglianza e funzione rieducativa della pena rispetto ad un soggetto portatore di gravi infermità fisiche. Quando il giudizio non può essere superficiale i confini concettuali della grave infermità fisica. La Suprema Corte, nell’accogliere le doglianze avanzate dal ricorrente, precisa come la valutazione inerente la gravità dell’infermità fisica non va limitata alla presenza di una patologia implicante un pericolo per la vita del detenuto, dovendosi tener conto di ogni stato morboso o scadimento fisico che possa determinare un’esistenza al di sotto della soglia della dignità umana, che deve essere assicurata anche nella condizione di restrizione carceraria nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza non ha proceduto ad un approfondimento della situazione clinica del condannato e delle ragioni del fortissimo dimagrimento, limitandosi a riportare quanto contenuto in una relazione sanitaria circa il sospetto” di un uso strumentale dei sintomi nell’ambito di aspetti antisociali. Se, difatti, è vero che in tema di differimento della pena il giudice può legittimamente porre alla base del diniego la condotta volontaria e oppositiva del condannato, lo stesso è sempre tenuto a verificare il reale stato patologico del detenuto al fine di verificare se lo stato di detenzione carceraria comporti un’afflizione di tale intensità da eccedere il livello che di per sé deriva dall’esecuzione della pena situazione questa, che è stata superficialmente valutata dal Tribunale e non decisa sulla base una ancora sconosciuta origine del dimagrimento. L’accoglimento del seguente motivo di doglianza comporta l’assorbimento delle questioni di legittimità costituzionale relative alla detenzione domiciliare surrogata per i soggetti affetti da infermità psichica, che, con ogni probabilità, non tarderà a ripresentarsi in futuro.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 novembre 2018 – 10 gennaio 2019, n. 1033 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 11/4/2018, il Tribunale di sorveglianza di Taranto aveva rigettato, nei confronti di A.L. , le istanze di differimento dell’esecuzione della pena e di detenzione domiciliare presentate in relazione alla pena di trenta anni di reclusione inflittagli per i reati di omicidio premeditato e di detenzione illegale di armi. Dette istanze si fondavano sulla circostanza che il detenuto fosse affetto, secondo la tesi difensiva, da un grave disturbo depressivo e sul fatto che tale condizione fosse di tale gravità da aver determinato, in sede cautelare, il ricovero in una comunità riabilitativa assistenziale psichiatrica CRAP , attesa la ritenuta incompatibilità con il carcere della sue condizioni cliniche. Nondimeno, secondo la valutazione del Tribunale di sorveglianza, tale situazione di fatto non poteva ritenersi riscontrata. Ciò in quanto, nella prima relazione trasmessa dal sanitario del carcere in occasione della richiesta di applicazione provvisoria del differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare, era stato evidenziato che il detenuto era affetto da lieve sindrome ansioso-depressiva in soggetto con lieve deficit mentale in ex tossicodipendente . Inoltre, nella diagnosi di dimissione dall’Ospedale di Bari, nel quale il detenuto era stato ricoverato a causa di un severo calo ponderale, si faceva riferimento a uno stato disadattativo misto, a disturbo della personalità con tratti borderline e pregressa tossicodipendenza . Infine, A. aveva reiteratamente manifestato scarsa collaborazione rispetto alle indicazioni terapeutiche, ad esempio rifiutando l’assunzione di alimenti per via orale o parenterale e in occasione dell’ultimo ricovero, nel corso del quale era entrato in ospedale vigile e collaborante, orientato nel tempo e nello spazio, dopo il miglioramento delle sue condizioni aveva chiesto e ottenuto di essere dimesso e la Direzione sanitaria aveva considerato valido il consenso prestato, confermando l’assenza di una condizione di grave infermità psichica. D’altra parte, in occasione della valutazione psichiatrica compiuta dal personale penitenziario del OMISSIS , gli operatori avevano riferito che per quanto la sofferenza psichica sia realistica, si sospetta l’uso strumentale dei sintomi nell’ambito di aspetti antisociali di personalità . Per tali motivi, l’impugnato provvedimento aveva ritenuto non accoglibile l’istanza, considerato che nel nostro ordinamento il soggetto portatore di una infermità di tipo psichico non può, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, aderente all’inequivocabile dettato normativo, accedere alla detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. poiché tale disposizione si applica soltanto in caso di infermità fisica ovvero quando la prima condizione abbia delle ripercussioni sulla integrità fisica, sì da determinare una condizione di grave infermità fisica , E nel medesimo frangente, il Tribunale di sorveglianza aveva, altresì, dichiarato irrilevante e manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa all’udienza del 28/3/2018 e aveva disposto che copia dell’ordinanza fosse tempestivamente trasmessa al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria affinché valutasse l’opportunità di disporre il trasferimento di A. presso un centro clinico dell’Amministrazione penitenziaria idoneo a fronteggiarne adeguatamente le condizioni di salute o, eventualmente, la sua assegnazione a una delle articolazioni detentive interne per la tutela della salute mentale. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso A. per mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti Fabio Falco e Ladislao Massari, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 147 c.p., comma 1, n. 2, e art. 47-ter, comma 1ter, Ord. pen., artt. 2, 3, 27, 32 e 117 Cost Il Tribunale di sorveglianza sarebbe incorso in un duplice errore da un lato, non avrebbe correttamente interpretato l’art. 147 c.p., escludendo, senza l’ausilio di un perito, la gravità delle problematiche fisio-psichiche di A. e, dall’altro lato, avrebbe escluso che la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. possa essere applicata anche ai detenuti affetti da patologia psichica sopravvenuta. 2.1.1. Quanto al primo aspetto, dalla documentazione prodotta dalla difesa e dalle relazioni sanitarie trasmesse dal nosocomio di Bari sarebbe emersa una situazione di incompatibilità delle condizioni di salute di A. con il regime carcerario, erroneamente esclusa per la presunta assenza di compliance del detenuto con il percorso terapeutico e senza considerare le plurime problematiche di natura fisica da cui egli sarebbe affetto. Secondo il dott. Roberto Rizzo, consulente di parte, infatti, il detenuto presenterebbe tireopatia nodulare linfoadenopatie laterocervicali bilaterali enfisema centrolobulare e parasettale in segmento posteriore del LSD formazione nodulare di 10 mm. di diametro, a profili lobulati, meritevole di approfondimento diagnostico con PET/TAC nodularità surrenalica sinistra accertato ispessimento delle pareti piloriche che determinano quadro di stenosi ipertrofica . linfoadenopatia inguinale sx con area di iperaccumulo di radiofarmaco in fossa iliaca sx di pertinenza intestinale cfr. PET/TAC del 4/12/2017 denutrizione acuta blocco conduttivo a carico delle sezioni destre del cuore colecistopatia polipi del colon rimossi endoscopicamente . Un quadro clinico pluricompromesso, quello appena descritto, che sarebbe associato a un disturbo depressivo in alterazione personologica di tipo paranoideo dovuta a uno stato disadattivo alla detenzione con aspetti emotivi misti tanto è vero che a carico di A. sarebbe stato accertato un disturbo paranoico con allucinazioni sensitive, visive ed uditive in un quadro di sindrome ansioso-depressiva in occasione di un suo accesso al Pronto soccorso di Bari nel XXXX e che, nel 2016, le sue condizioni sarebbero state dichiarate incompatibile con il regime carcerario a seguito della diagnosi di grave disturbo depressivo psicotico formulata dal dott. V.M. , perito del Tribunale di Lecce - Sezione Riesame, che ne avrebbe disposto il ricovero, in regime di arresti domiciliari, presso la Comunità riabilitativa assistenziale psichiatrica Mons. A.F. sita in XXXXXXX. Una situazione clinica, quella appena descritta, caratterizzata dalla presenza di una comorbilità tale da rendere difficilmente distinguibili i profili patologici. In tale contesto, secondo la difesa il rifiuto di A. di assumere cibo potrebbe essere causato da problemi di natura fisica, non ancora diagnosticati ovvero già accertati ma non ancora collegati al sintomo dell’inappetenza per es. l’ispessimento delle pareti piloriche che determinano quadro di stenosi ipertrofica che potrebbero causare anche la nausea lamentata dal detenuto , oppure di natura psichica, avendo il disturbo psichico diagnosticato disturbo depressivo grave con aspetti ansiosi, disturbo della personalità con aspetti misti, paranoide - borderline-istrionico una diretta ricaduta sulla sua situazione generale e potendo, dunque, avere causato, in via esclusiva, il grave dimagrimento da 90 kg agli attuali 50 kg e lo scadimento delle sue condizioni di salute. Secondo il consulente di parte, il detenuto avrebbe dovuto essere sottoposto a più accurati accertamenti volti a verificare le reali ragioni della sua malnutrizione quali la presenza di una massa nel polmone e di una nel surrene destro, nonché la possibile origine patologica della fossa iliaca sinistra intestinale o, ancora, il severo ispessimento concentrico delle pareti piloriche, che avrebbe potuto essere alla base dell’impossibilità di alimentarsi con cibi solidi e semisolidi . E la circostanza che sia stato escluso un disturbo del comportamento alimentare di tipo anoressico, non escluderebbe l’origine psichica dell’incapacità del detenuto di alimentarsi con regolarità. Quanto all’affermazione secondo cui il ricorrente non avrebbe aderito alle indicazioni mediche, egli avrebbe, in realtà, consentito all’impianto del catetere venoso periferico per la nutrizione parenterale, rimosso il 4/3/2018 per sospetta infezione e nuovamente applicato in aprile, senza che le sue condizioni di salute siano migliorate, essendo stato minimo l’incremento del peso corporeo situazione che, dunque, non sarebbe riconducibile, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, al mero rifiuto di alimentarsi da parte del detenuto. 2.1.2. Sotto un connesso profilo, si osserva che il Tribunale di sorveglianza avrebbe errato nell’interpretare il concetto di grave malattia , non uniformandosi al recente orientamento giurisprudenziale, di legittimità e sovranazionale, in base al quale tale condizione ricorre in presenza di qualunque stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di detenzione al di sotto della soglia della dignità umana. Una valutazione che dovrebbe essere fatta nel rispetto delle caratteristiche specifiche del detenuto, delle sue problematiche attuali e del contesto carcerario in cui egli si trova, potendo la mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, per principio costituire un trattamento contrario all’art. 3 Ilhan c. Turchia GC , n. 22277/93, 87, CEDU 2000- VII . E secondo la tesi difensiva, anche l’essere alloggiati perennemente nella infermeria del carcere, così come l’essere ricoverati in un reparto ospedaliero per quasi tutta la durata della detenzione, costituirebbe una forma di trattamento inumano che andrebbe oltre la normale privazione della libertà personale connaturata allo stato detentivo. Quanto alla possibilità di fruire, in libertà, di cure e trattamenti più efficaci di quelli prestati in regime di detenzione, anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura, la difesa osserva che il detenuto potrebbe sempre ottenere, all’esterno del circuito carcerario, un’assistenza migliore di quella offertagli nell’istituto, attesi i limiti fisiologici di questa realtà, caratterizzata da un elevato numero di soggetti bisognosi di cure laddove, ad esempio, nella struttura psichiatrica che avrebbe fornito la propria disponibilità ad accoglierlo, A. riceverebbe assistenza costante da parte di professionisti altamente specializzati e potrebbe sottoporsi a indagini strumentali volte a acclarare l’origine delle neoformazioni in sede polmonare, nel rispetto del diritto alla salute. 2.1.3. Né potrebbe condividersi l’osservazione del Tribunale di sorveglianza in ordine alla preoccupante pericolosità sociale del detenuto , da escludersi per la grave condizione in cui lo stesso si troverebbe e non potendo la stessa presumersi alla sola stregua dei delitti commessi da A. . In ogni caso, il suo grave stato di decadimento non consentirebbe al detenuto di svolgere il percorso di reinserimento sociale cui è finalizzata la sanzione penale, atteso che costui, allo stato, non sarebbe in grado di elaborare il proprio trascorso di devianza e non sarebbe in grado di comprendere la gravità delle condotte pregresse. 2.2. Quanto al secondo aspetto, relativo alla applicabilità della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. anche ai detenuti affetti da patologia psichica, il Tribunale di sorveglianza di Taranto avrebbe dovuto discostarsi dall’orientamento tradizionale secondo cui il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena non sarebbe ammesso nei confronti di chi sia affetto esclusivamente da patologia psichiatrica che non determini una grave infermità fisica orientamento secondo cui la sopravvenienza di una grave infermità psichica nella persona condannata, tale da impedire l’esecuzione della pena , sarebbe disciplinata dall’art. 148 c.p. riconducibile non alla sospensione della pena, quanto a un mutamento obbligatorio del suo regime esecutivo, dovendo l’intero periodo di ricovero essere considerato come pena espiata. In realtà, l’art. 148 c.p. sarebbe stato implicitamente abrogato dal D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, art. 3-ter, convertito dalla L. del 7 febbraio 2012, n. 9 e successivamente integrato dal D.L. del 31 marzo 2014, n. 52 a sua volta convertito dalla L. del 30 maggio 2014, n. 81 che ha previsto la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, stabilendo che le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2 . rappresentate dalle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza c.d. REMS , operanti su base regionale. Invero, essendosi la dismissione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari conclusa nel febbraio 2017 e non potendosi ipotizzare il subingresso delle REMS nelle funzioni svolte ex art. 148 c.p. dagli OPG, atteso che le vigenti disposizioni di legge indicherebbero le Residenze come luoghi di esecuzione delle sole misure di sicurezza provvisorie o definitive , tale disposizione non sarebbe più applicabile, tanto più che la delega prevista dalla L. n. 103 del 2017, art. 16, comma 1, lett. d , ove si prevede l’assegnazione alle REMS anche dei portatori di infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione, in ipotesi di inadeguatezza dei trattamenti praticati in ambito penitenziario, non sarebbe stata ancora tradotta in una o più disposizioni attuative. Dunque, allo stato, il portatore di infermità psichica tale da escludere la capacità di intendere o di volere al momento del fatto, ove pericoloso socialmente, dovrebbe essere sottoposto a trattamento riabilitativo presso le REMS, strutture ad esclusiva gestione sanitaria mentre il soggetto in esecuzione pena portatore di patologia psichica sopravvenuta deve essere detenuto, ove possibile, presso una delle Articolazioni per la tutela della salute mentale poste all’interno del circuito penitenziario, previste dall’Accordo del 13/10/2011, sancito in Conferenza Unificata in attuazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10/10/2008, in attuazione dell’art. 65 Ord. pen., che prevede l’assegnazione dei soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche ad istituti o sezioni speciali per idoneo trattamento. Sulla base della attuale normativa, non vi sarebbero alternative alla detenzione carceraria per il soggetto in esecuzione pena con residuo superiore a quattro anni affetto da patologia psichica sopravvenuta, stante l’impossibilità di accedere alla detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen In questo modo, però, come ritenuto dalla Suprema Corte, l’attuale condizione del soggetto portatore di infermità psichica sarebbe caratterizzata da aspetti di manifesto regresso trattamentale , sì da ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., nella parte in cui essa non include, tra i presupposti della detenzione domiciliare in deroga”, l’ipotesi della infermità psichica sopravvenuta, venendo violati il diritto alla salute art. 32 Cost. , il divieto di trattamenti inumani e degradanti secondo quanto previsto dall’art. 3 della Cedu in contrasto con l’art. 117 Cost. , il diritto all’uguaglianza e alla pari dignità dei cittadini, anche condannati art. 3 Cost. , la funzione rieducativa della pena art. 27 Cost. , sino al più generale rispetto dei diritti fondamentali inviolabili art. 2 Cost. . 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiesta preliminare di nomina di un perito, avanzata dalla difesa, volta ad accertare la gravità delle condizioni di salute del detenuto e la eventuale incompatibilità con il regime carcerario. Il Tribunale di sorveglianza di Taranto non avrebbe approfondito la reale condizione di salute del detenuto, limitandosi a individuare, nella presunta assenza di compliance e, in particolare, nel suo rifiuto di alimentarsi, la causa prima di ogni suo malessere. 3. In data 19/7/2018, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Secondo quanto stabilito dall’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, il rinvio dell’esecuzione della pena deve essere obbligatoriamente disposto quando la persona condannata sia affetta da una malattia particolarmente grave a causa della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con l’espiazione carceraria inframuraria o quando lo stadio evolutivo raggiunto dalla malattia, sia tale da non consentire ai trattamenti disponibili ed alle terapie praticabili di sortire effetto, in quel contesto detentivo o in altro diverso. Ciò coerentemente con la funzione dell’istituto in esame, posto a tutela dei beni primari della persona, quali il diritto alla salute, il diritto alla vita, il divieto di sottoposizione a trattamenti detentivi contrari al senso di umanità , a prescindere dal dato relativo alla pericolosità sociale del detenuto così Sez. 1, n. 990 del 28/11/2017, dep. 2018, Pace, non massimata . Quanto, poi, al differimento facoltativo previsto dall’art. 147 c.p., esso può essere disposto dalla magistratura di sorveglianza nei confronti del condannato che si trovi in una condizione di grave infermità fisica , ovvero in una situazione clinica connotata dalla presenza di patologie di qualificata serietà, tali da esporre a pericolo la sua vita o da provocare altre rilevanti conseguenze pregiudizievoli o, comunque, da esigere cure inattuabili nel circuito carcerario valutazione che va condotta mediante il bilanciamento tra le sue esigenze personali e l’interesse alla sicurezza della collettività, tanto che il giudizio di perdurante pericolosità sociale del condannato autorizza il rigetto della richiesta di differimento Sez. 1, n. 17947, 30/3/2004, Vastante, Rv. 228289 Sez. 1, n. 972 del 14/10/2011, Farinella, Rv. 251674 Sez. 1, n. 26136 del 6/6/2012, Scudera, Rv. 253087 Sez. 1, n. 37216 del 5/3/2014, Carfora, Rv. 260780 . Nondimeno, affinché la pena non si risolva in un trattamento degradante e contrario al senso di umanità, lo stato di salute non compatibile con il regime carcerario, tale da giustificare il differimento dell’esecuzione della pena, non deve essere limitato alla presenza di una patologia implicante un pericolo per la vita del detenuto, dovendosi tenere in considerazione, alla luce dei principi di cui all’art. 3 CEDU e art. 27 Cost., comma 3, ogni stato morboso o scadimento fisico che possa determinare un’esistenza al di sotto della soglia del necessario rispetto della dignità umana, che deve essere assicurato anche nella condizione di restrizione carceraria così Sez. 1, n. 27766 del 22/3/2017, Riina, non massimata cfr. Sez. 1, n. 22373 del 8/5/2009, Aquino, Rv. 244132 . 3. Ora, nel caso di specie il Tribunale di sorveglianza non ha proceduto a un adeguato approfondimento della situazione clinica del condannato, limitandosi a riportare il contenuto delle relazioni sanitarie, in particolare quella della ASL Bari in data 20/2/2018 e quella del carcere di Bari in data OMISSIS , dalle quali era emerso, secondo quanto riportato nell’ordinanza impugnata, il sospetto di un uso strumentale dei sintomi nell’ambito di aspetti antisociali di personalità . Una motivazione, quella testè riassunta, che si connota come chiaramente perplessa e che deve ritenersi viziata, alla base, da una incompleta indagine sulle ragioni del fortissimo dimagrimento del detenuto, onde verificare se il suo stato di ipotonia e di generale malessere, sempre se non riconducibile a una condizione sostanzialmente autoindotta, rendesse compatibile la prosecuzione della carcerazione con il rispetto della dignità umana. Se per un verso, infatti, va ribadito che in tema di differimento della pena ovvero di concessione della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice può legittimamente porre a fondamento del diniego la condotta volontaria e oppositiva del condannato, tesa strumentalmente ad amplificare le patologie che lo affliggono, atteso che, in tal caso, l’offerta terapeutica è resa inadeguata anche da una scelta imputabile al medesimo Sez. 1, n. 43586 del 18/5/2017, Capano, Rv. 271402 , sotto un distinto profilo deve sottolinearsi come il giudice di merito sia sempre tenuto a verificare, se del caso con l’ausilio di un perito, il reale stato patologico del detenuto, onde accertare, in particolare, se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità da eccedere il livello che, inevitabilmente, deriva dalla legittima esecuzione della pena Sez. 1, n. 27766 del 22/3/2017, Riina, non massimata . Nel caso di specie, dunque, la situazione clinica del detenuto avrebbe dovuto essere ulteriormente approfondita e non decisa sulla base di una ancora oscura origine della condizione di significativo defedamento. Ciò anche considerando l’intero quadro clinico dell’istante, la quale, secondo la documentazione sanitaria posta a sostegno della prospettazione difensiva, si connotava come multiproblematico e che l’ordinanza ha, in parte, obliterato, soffermandosi prettamente sui problemi psichiatrici e non sulla interrelazione di questi ultimi con le patologie fisiche. Dall’accoglimento del pregiudiziale profilo di doglianza, deriva l’assorbimento delle questioni di legittimità costituzionale, già presentate davanti al Giudice di merito e reiterate in sede di ricorso per cassazione. 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di sorveglianza di Taranto. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Taranto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.