Genitorialità e carcere: l'interesse prevalente del minore

L'art. 47-quinquies ord. pen. stabilisce che le madri detenute, con prole di età inferiore a dieci anni, nel caso di pena detentiva superiore a quattro anni e, dopo averne espiato un terzo, possono essere ammesse a scontare la pena presso la propria abitazione, in luogo di altra privata dimora, ovvero in luogo di cura e assistenza. Ciò alla luce dell'interesse del minore a mantenere un rapporto significativo e, per quanto possibile, normale, con la figura genitoriale.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1029/19, depositata il 10 gennaio. Il caso. Una condannata per i reati di cui agli artt. 73/74, commi 2 e 3, d. P.R. n. 309/90, avanzava istanza di detenzione domiciliare speciale, ai sensi dell'art. 47- quinquies ord. pen., al fine di prendersi cura del figlio minorenne, gravemente ammalato. Il Tribunale di sorveglianza adito rigettava la richiesta, rilevando come la donna non avesse ancora scontato un terzo della pena inflittale. La condannata ricorreva per cassazione, lamentando la violazione dell'art. 657 c.p.p., non essendo stato computato il periodo di custodia cautelare cui la stessa era stata sottoposta ininterrottamente da due anni e tre mesi, lasso di tempo superiore ad un terzo della pena comminatale . Le sanzioni alla madre non possono ricadere sul figlio il quadro internazionale Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso. Preliminarmente, il Collegio ha ricordato come il sistema dell'esecuzione penale contenga uno svariato numero di disposizioni finalizzate a consentire ai detenuti, genitori di minorenni, di usufruire di misure extramurarie. Ciò alla luce dell'interesse del minore a coltivare e mantenere un rapporto significativo e, per quanto possibile, normale, con la figura genitoriale. Norme di riferimento sono considerate gli artt. 31, comma 2, Cost., 3, comma 1, Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, 24, comma 2, Carta diritti fondamentali dell'UE. A rimarcare la preminenza di tale interesse, anche le c.d. Regole di Bangkok Regole delle Nazioni Unite sul trattamento delle donne detenute del 2010 , e le Regole Penitenziarie UE. e l'esecuzione penale in Italia. Oltre alle disposizioni relative al differimento della pena artt. 146, comma 1, n. 2, c.p. e 147, comma 1, n. 3, c.p. e la norma relativa alla detenzione domiciliare art. 47-ter, comma 1- ter , ord. pen. , sono stati introdotti gli artt. 21- bis e 47- quinquies ord. pen., con la l. n. 40/2001. Nello specifico, la prima disposizione implica la possibilità per le internate e le condannate, madri di minori di dieci anni, di esserne ammesse alla cura, alle condizioni dell'art. 21 ord. pen L'art. 47- quinquies , invece, regola le ipotesi di madri detenute, con prole di età inferiore a dieci anni, che – nel caso di pena detentiva superiore a quattro anni e, dopo averne espiato un terzo – possono essere ammesse a scontare la pena presso la propria abitazione, in luogo di altra privata dimora, ovvero in luogo di cura e assistenza. Il Collegio ha anche ricordato che per i reati di cui all'art. 4- bis ord. pen., il legislatore aveva stabilito un regime maggiormente severo, contemplante il diniego dell'accesso ad un regime di favore. La Corte Costituzionale, peraltro, è intervenuta svariate volte in materia e nel 2014 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 4-bis, nella parte in cui vietava l'accesso alla detenzione domiciliare, alle detenute, madri di minori dei dieci anni, condannate per illeciti gravi. La ragione della valutazione di cui sopra deve rinvenirsi nella volontà di non danneggiare il minore, terzo estraneo al rapporto esecutivo, e titolare di un interesse superiore. Ugualmente, nel 2017, la Consulta ha apportato modifiche nello stesso senso, all'art. 47- quinquies , confermando il già esposto orientamento. Al termine di queste considerazioni, gli Ermellini hanno sottolineato che correttamente la ricorrente aveva segnalato come la stessa avesse già scontato un terzo della pena. Per le ragioni sopra esposte, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 31 ottobre 2018 – 10 gennaio 2019, n. 1029 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 21/2/2018, il Tribunale di sorveglianza di Catania aveva rigettato la richiesta di detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies Ord. Pen. presentata nell’interesse di P.M.G. al fine di prendersi cura del figlio gravemente malato, in relazione alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione inflitta con sentenza in data 23/9/2016 della Corte di appello di Catania per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e art. 74, commi 2 e 3. Ciò sul presupposto che la ricorrente, condannata per un reato compreso nell’elenco di cui all’art. 4-bis Ord. pen., non avesse ancora espiato un terzo della pena inflittale, secondo quanto richiesto dall’art. 47-quinquies Ord. pen 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la stessa P. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Maria Mursia, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’art. 657 c.p.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU, art. 125 c.p.p La difesa della ricorrente, in particolare, lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , che il Tribunale di sorveglianza abbia ritenuto inammissibile la richiesta di detenzione domiciliare speciale sull’erroneo presupposto che ella non avesse ancora scontato 1/3 della pena inflittale con la predetta sentenza. In questo modo, però, lo stesso Tribunale avrebbe violato l’art. 657 c.p.p., il quale prevede che il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, debba computare il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso. Infatti, P.M.G. si sarebbe trovata, per il medesimo titolo, sottoposta ininterrottamente al regime degli arresti domiciliari sin dal 21/1/2014. Pertanto, all’atto di presentazione della richiesta di applicazione della misura in questione, la ricorrente, dal 21/1/2014 al 21/4/2016, avrebbe già scontato, in regime di arresti domiciliari e, dunque, ex art. 284 c.p.p., comma 5, in stato di custodia cautelare , due anni e tre mesi e, dunque, oltre un terzo della pena complessivamente inflittale. E avendo obliterato quanto dedotto dalla difesa in ordine alla parte di pena già sofferta dalla condannata, il Tribunale sarebbe incorso anche nella violazione dell’obbligo di dare adeguata motivazione ai provvedimenti giudiziari ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU, e art. 125 c.p.p 3. In data 16/7/2018, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Catania per nuovo esame. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Il sistema dell’esecuzione penale relativo ai detenuti, donne e uomini, che siano genitori di figli minori presenta una pluralità di disposizioni, le quali, consentendo una più ampia fruizione di misure extramurarie, sono poste a tutela del superiore interesse del minore, soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione , a instaurare un rapporto quanto più possibile normale con la madre o, eventualmente, con il padre in una fase nevralgica del suo sviluppo così Corte cost., 22/10/2014, n. 239 . Un interesse riconosciuto, oltre che dall’art. 31 Cost., comma 2, anche da fonti di rango sovranazionale, come l’art. 3, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, l’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a mente dei quali in tutte le decisioni relative ai minori, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, detto interesse deve essere considerato preminente Corte cost., n. 239/2014 cui si aggiungono le indicazioni contenute nelle Regole delle Nazioni Unite relative al trattamento delle donne detenute e alle misure non detentive per le donne autrici di reato del 2010 c.d. Regole di Bangkok e nelle Regole penitenziarie Europee del 2006, che riconoscono specificamente la necessità di salvaguardare il benessere psico-fisico dei figli delle donne detenute. Regole e principi che si ispirano alla necessità di evitare che l’esecuzione della pena nei confronti del genitore si risolva in una sanzione, occulta e ovviamente illegittima, nei confronti del bambino. Limitando il riferimento alla fase dell’esecuzione, sono diretta emanazione di questi principi innanzitutto le norme sul differimento della pena, stabilite dall’art. 146 c.p., comma 1, n. 2, che prevede il rinvio obbligatorio dell’esecuzione se questa deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno e art. 147 c.p., comma 1, n. 3, che concerne il differimento facoltativo se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni , cui si aggiunge la previsione dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., la quale contempla la possibilità, negli stessi casi, di applicare la disciplina della detenzione domiciliare. Norme, queste, che sono applicabili indipendentemente dalla previsione di limiti di pena, mentre quando la pena della reclusione non sia superiore a quattro anni anche se costituente parte residua di maggior pena o quando la pena inflitta sia quella dell’arresto, l’art. 47-ter, comma 1, Ord. pen. consente l’applicazione della detenzione domiciliare nei confronti della donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente lett. a ovvero del padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole lett. b situazioni alle quali la sentenza n. 350/2003 della Corte costituzionale ha assimilato quella, prescindente dall’età, del figlio portatore di handicap totalmente invalidante , purché convivente con la madre condannata. 2.1. A fianco di questo regime originario, sono poi stati introdotti, ad opera della L. 8 marzo 2001, n. 40, gli artt. 21-bis e 47-quinquies Ord. pen La prima fattispecie prevede che le condannate e le internate ovvero i padri detenuti, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ai dieci anni, alle condizioni previste dall’art. 21 Ord. pen. in materia di lavoro all’esterno. La seconda, invece, disciplina il caso delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni, le quali, quando la pena detentiva espianda sia superiore ai quattro anni così dovendo intendersi la locuzione condizione che non ricorrano le condizioni di cui all’art. 47-ter e dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero di almeno quindici anni in caso di condanna all’ergastolo, possono essere ammesse a espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, sempre che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e che vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. Peraltro, nella originaria previsione dell’art. 47-quinquies Ord. Pen., comma 1-bis introdotto dalla L. 21 aprile 2011, n. 62 , era altresì consentito, fatta eccezione che per i casi di condanna per taluno dei delitti indicati nell’art. 4-bis Ord. pen., che le madri di prole di età non superiore a dieci anni potessero, fin dall’inizio, scontare in un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero ove non sussistesse un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga nella propria abitazione o in un luogo di assistenza e accoglienza, anche il terzo di pena o i quindici anni per il caso dell’ergastolo che, a norma del comma precedente, doveva essere espiato per poter accedere alla detenzione domiciliare speciale cfr. sentenza n. 239 del 2014 della Corte costituzionale . 2.2. Ora, con riferimento a tutte le citate disposizioni, con l’esclusione delle sole ipotesi di differimento dell’esecuzione della pena e della speciale detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter Ord. Pen., comma 1-ter, il legislatore aveva stabilito un regime speciale per le condannate per taluno dei reati di cui all’art. 4-bis Ord. pen., in tali casi prevedendo, in ragione di una presunzione di più accentuata pericolosità, il divieto di accesso a un regime di favore in questi termini cfr. Sez. 1, n. 49366 del 26/11/2013, Veliche, Rv. 258351, secondo cui anche per la della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies Ord. pen. operava il divieto di concessione previsto dall’art. 4-bis, comma 1, della stessa legge, concernente i condannati per i reati ostativi in essa contemplati . Una disciplina, quella testè riassunta, sulla quale si è registrato il reiterato intervento della Corte costituzionale. 2.2.1. Già con la menzionata sentenza n. 239 del 2014, la Consulta aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 4-bis Ord. pen., comma 1, nella parte in cui il legislatore aveva inteso vietare la detenzione domiciliare speciale in favore delle madri di minori di dieci anni condannate per i gravi delitti previsti nel catalogo contenuto nella citata disposizione, sottolineando l’illegittima applicazione della disciplina preclusiva a situazioni in cui il regime di rigore finiva per riverberarsi negativamente nei confronti di un terzo estraneo al rapporto esecutivo, ovvero il figlio infradecenne, i cui diritti sono tutelati da previsioni di rango costituzionale, e la cui compressione, dunque, non può essere lasciata a un automatismo normativo occorrendo, pertanto, che la sussistenza e la consistenza delle esigenze di protezione venga verificata . in concreto . e non già collegata ad indici presuntivi . E dalla detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies Ord. pen., la Corte aveva esteso il proprio intervento, attraverso il meccanismo della illegittimità consequenziale , anche alla detenzione domiciliare ordinaria prevista dall’art. 47-ter Ord. pen., comma 1, lett. a e b . Dunque, per effetto della sentenza n. 239 del 2014, è ora possibile l’accesso alla detenzione domiciliare ordinaria ex art. 47-ter Ord. pen., comma 1, e alla detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies Ord. pen. in relazione alla pena inflitta per qualsiasi delitto, ivi comprese le fattispecie elencate alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis così Sez. 1, n. 35817 del 10/5/2016, Troia, in motivazione , in relazione alle quali il dispositivo della pronuncia in questione richiede l’accertamento che non ricorra il pericolo di recidiva, il quale, peraltro, come ammesso dalla stessa Consulta costituisce un requisito implicito della detenzione domiciliare ordinaria e, invero, di ogni ipotesi di misura alternativa. 2.2.2. Successivamente, con la sentenza 8/3/2017, n. 76, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-quinquies, comma 1-bis, limitatamente alle parole Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’art. 4-bis, , stavolta censurando non già l’irragionevolezza della presunzione assoluta già colpita con la sentenza del 2014, quanto piuttosto la stessa previsione di un qualunque meccanismo presuntivo, sul presupposto che le particolari esigenze di protezione del minore infradecenne esigano sempre un concreto bilanciamento tra le esigenze di tutela della collettività e l’interesse del minore al mantenimento del rapporto con il genitore, secondo i principi posti dal secondo comma dell’art. 31 della Costituzione. Per effetto di tale intervento, anche nel caso di condanna per uno dei reati inclusi nel catalogo dell’art. 4-bis Ord. pen., le madri o, eventualmente, i padri che si trovino nelle condizioni di cui al successivo comma 7 dell’art. 47-quinquies di bambini di età pari o inferiore ai dieci anni possono ora essere ammessi alla detenzione domiciliare speciale fin dal principio, ovvero senza dover prima essere sottoposti all’esecuzione della pena detentiva in carcere, anche in caso di pene molto alte e finanche in caso di condanna all’ergastolo. Fermo restando, ha precisato la stessa Corte costituzionale, che ai condannati per uno dei delitti di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis resta pur sempre applicabile il complesso ed articolato regime previsto da tale disposizione per la concessione dei benefici penitenziari, in base, però, alla ratio della sentenza n. 239 del 2014 . secondo la quale la mancata collaborazione con la giustizia non può ostare alla concessione di un beneficio primariamente finalizzato a tutelare il rapporto tra la madre e il figlio minore . Alla luce delle considerazioni che precedono, l’eventuale condanna per uno dei reati compresi nell’elenco dell’art. 4-bis Ord. pen. non può ormai essere ostativa all’accesso, per quanto qui di interesse, alla detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies Ord. pen 3. Tanto premesso in termini di ricostruzione sistematica, l’ordinanza impugnata ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies Ord. pen. sul presupposto che la detenuta, condannata per reato di cui all’art. 4 bis O.P. , non avesse ancora espiato un terzo della pena v. foglio 2 dell’ordinanza impugnata . In proposito, osserva, nondimeno, il Collegio, che la motivazione contiene, innanzitutto, un riferimento, peraltro poco perspicuo, alla condanna per un delitto previsto dal catalogo dell’art. 4-bis Ord. pen. condanna che, considerati i ripetuti interventi della Corte costituzionale in argomento, non può ormai ritenersi né ostativa alla concessione del beneficio ai sensi del comma 1 dell’art. 47-quinquies Ord. pen., né comunque idonea a impedire l’applicazione del regime di ulteriore favore stabilito dal comma 1-bis dello stesso articolo. Sotto altro profilo, va in ogni caso rilevato come la difesa della ricorrente abbia allegato al ricorso introduttivo il verbale di notifica dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari proc. pen. n. 3349/11 recante la data del 21/1/2014, sulla base del quale ha prospettato che l’esecuzione della pena, per effetto della disciplina in materia di fungibilità della custodia cautelare presofferta dettata dall’art. 657 c.p.p., dovesse ritenersi iniziata proprio alla data sopra indicata. Cosicché il limite di un terzo della pena inflitta, richiamato dall’art. 47-quinquies Ord. pen. quale discrimine tra le due ipotesi contemplate dal comma 1 e dal comma 1-bis, sarebbe stato, anche a prescindere dalle considerazioni che precedono, in ogni caso superato. 4. Pertanto, il ricorso deve essere conclusivamente accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata e con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di sorveglianza di Catania. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Catania.