Troppo realistiche le calamite raffiguranti alimenti: commerciante condannata

Confermata l’ammenda di 700 euro per la titolare del negozio in cui erano in vendita migliaia di calamite che imitavano prodotti alimentari. Evidente, secondo i Giudici, il pericolo per adulti e bambini, alla luce delle caratteristiche delle calamite che per forma, odore, aspetto, imballaggio e dimensioni apparivano come veri alimenti.

Calamite pericolose poiché raffiguranti in maniera troppo verosimile alcuni prodotti alimentari. Legittima perciò la sanzione per la commerciante, ritenuta colpevole di avere ignorato i paletti normativi fissati a tutela della salute e della sicurezza dei consumatori Cassazione, sentenza numero 381/19, sez. III Penale, depositata oggi . Pericolo. Riflettori puntati sul negozio – nella zona di Palermo – di una donna cinese. A richiamare l’attenzione è soprattutto la messa in vendita di migliaia di calamite «raffiguranti prodotti alimentari di varia natura». Secondo l’accusa, però, quegli oggetti sono pericolosi, sia per gli adulti che per i bambini, poiché «per forma, odore, aspetto, imballaggio, etichettatura, volume e dimensioni» sono «tali da apparire come prodotti alimentari, così da determinare il rischio che essi siano ingeriti» per errore. Questa visione è ritenuta corretta non solo dai Giudici del Tribunale ma anche dai magistrati della Cassazione. Nessun dubbio, quindi, sulla condanna titolare del negozio, punita con «700 euro di ammenda». Alla donna è addebitato di «avere importato e commercializzato prodotti che, avendo un aspetto diverso da quello che sono in realtà, compromettono la sicurezza e la salute dei consumatori», soprattutto perché «essi, pur non essendo prodotti alimentari, hanno forma, odore, aspetto, imballaggio, etichettatura, volume e dimensioni tali da far prevedere che i consumatori – soprattutto i bambini – li possano confondere con prodotti alimentari» veri e pertanto «li portino alla bocca, li succhino o li ingeriscano, con conseguente rischio di soffocamento, intossicazione, perforazione od ostruzione del tubo digerente». Inutili le obiezioni sollevate dal legale della donna. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, sono state evidenziate in modo netto «le potenzialità ingannatorie» delle calamite raffiguranti vari prodotti alimentari, con conseguente «pericolo» non solo per i bambini ma anche per i «consumatori adulti».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 luglio 2018 – 8 gennaio 2019, numero 381 Presidente Lapalorcia – Relatore Ciriello Ritenuto in fatto 1.- Con sentenza del 19.04.2017, il Tribunale di Palermo, per quanto qui rileva, ha condannato Li. L. alla pena di Euro 700 di ammenda per il reato di cui agli articolo 1 e 5 del D.Lgs. 73/1992, perché immetteva nel mercato, commercializzava o comunque importava circa 37.800 calamite raffiguranti prodotti alimentari di varie tipologie che per forma, odore, aspetto, imballaggio, etichettatura, volume o dimensioni erano tali da apparire come prodotti alimentari così da determinare il rischio che siano ingeriti con pericolo per la salute dei consumatori . 2.- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l'imputata, tramite il proprio difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto il vizio di violazione di legge dell'articolo 143 c.p.p. in relazione all'articolo 109 e 169 c.p.p., lamentando la lesione del diritto di difesa per mancata traduzione degli atti all'imputata straniera, con conseguente nullità assoluta degli atti compiuti. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto il vizio di motivazione, lamentando la mancata valutazione, da parte del Giudice, della effettiva potenzialità ingannatoria dei prodotti. Nella prospettazione difensiva, difatti, qualunque oggetto è di per sé potenzialmente pericoloso per la salute dei bambini, atteso che gli stessi sono per natura portati a mettere in bocca qualsiasi oggetto in loro possesso, a prescindere dalla raffigurazione o meno di un alimento. La difesa rileva altresì la non riconducibilità delle calamite al novero dei giocattoli, oggetto di una più rigorosa normativa a riguardo, nonché la circostanza per cui le calamite vendute dalla ricorrente presentano i medesimi requisiti di tutte le calamite vendute in qualunque altro esercizio commerciale. Considerato in diritto 3.- Il ricorso è inammissibile. 3.1. In relazione al primo motivo di ricorso, va ribadito come in tema di traduzione degli atti, anche dopo l'attuazione della direttiva 2010/64/UE ad opera del D.Lgs. 4 marzo 2014 numero 32, la mancata nomina di un interprete all'imputato che non conosce la lingua italiana dà luogo ad una nullità a regime intermedio - e non assoluto -, che deve essere eccepita dalla parte prima del compimento dell'atto ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sia verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo Sez. 2, Sentenza numero 26075 del 09/06/2016 Ud. dep. 22/06/2016, Rv. 267157 . 3.2. - Deve anche essere osservato come il riconoscimento del diritto all'assistenza dell'interprete, al pari di quello della traduzione degli atti, non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero status di straniero o apolide, richiedendosi l'ulteriore presupposto dell'accertata ignoranza della lingua italiana in capo a quest'ultimo. Sez. 4, Sentenza numero 39157 del 18/01/2013 Ud. dep. 23/09/2013 Rv. 256389 3.3. La ricorrente, nel suo ricorso, deduce genericamente la mancata traduzione degli atti nonché mancata nomina dell'interprete, senza neanche rappresentare che vi sia stata una omissione riguardo all'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana né disattenzione di una specifica eccezione in tal senso, atteso che non opera nel sistema la presunzione di ignoranza della lingua italiana da parte del cittadino straniero non costituendo neanche la pregressa nomina dell'interprete, come l'eseguita traduzione di alcuni atti del procedimento in favore dell'imputato straniero, una prova automatica della ignoranza della lingua italiana da parte di questo, non vincolando tali atti il giudice, sempre libero di accertare, in ogni momento o fase del giudizio, la conoscenza effettiva della lingua sulla base di circostanze univoche di segno diverso Sez. 3, Sentenza numero 37364 del 05.06.2015 Ud. dep. 16/09/2015 Rv. 265185 . Ne discende che il motivo di ricorso, che non si confronta con gli oneri di allegazione scaturenti dai suddetti principi, è generico, manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. 4.- Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto articolato in fatto e diretto a sollecitare una rivalutazione nel merito delle emergenze processuali, non consentite in questa sede. 4.1.- Dal provvedimento impugnato emerge come il giudice di merito abbia compiuto un accertamento di fatto relativamente al prodotto, pervenendo alla conclusione che gli oggetti esaminati fossero analoghi per aspetto, per forma e odore, a prodotti alimentari e, come tali, carichi di potenzialità ingannatone , nonché pericolosi in quanto idonei ad apparire commestibili, con rischio concreto di poter essere ingeriti, ritenendo tale rischio a carico di ogni consumatore, anche adulto, risultando pertanto frutto di una considerazione ulteriore la potenzialità dannosa per i bambini, rispetto al pericolo già rilevato per il consumatore comune, che non inficia tuttavia la completezza e adeguatezza del ragionamento del giudicante. 5.- Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.