Insulti a ripetizione verso la moglie: la remissione della querela non salva il marito

Condanna definitiva per il marito. Decisive le condotte vessatorie messe in atto ai danni della consorte. Irrilevante il richiamo difensivo alla decisione della moglie di rimettere l’originaria querela.

Offese a ripetizione verso la moglie. Inevitabile la condanna del marito, ritenuto colpevole di maltrattamenti. Irrilevante il richiamo difensivo alla remissione della querela originariamente presentata dalla moglie Corte di Cassazione, sentenza n. 175/19, sez.VI Penale, depositata oggi . Remissione. Univoca la linea di pensiero dei Giudici, che prima in Tribunale e poi in Appello condannano un marito per maltrattamenti ai danni della moglie, destinataria, tra le mura domestiche, di continui insulti. Il legale dell’marito contesta la decisione, ponendo sul tavolo il verbale di remissione della querela , da cui emerge che la moglie ha dichiarato che il coniuge era cambiato in meglio ed aveva cessato di insultarla, dedicandosi alla famiglia . Questo elemento non è però sufficiente, ribattono i Giudici della Cassazione, per consentire al marito di evitare la condanna. Corretta è ritenuta la visione tracciata in Appello, laddove è stata considerata evidente la carenza di valenza dimostrativa della remissione della querela , rappresentando essa un tentativo della moglie di rappacificare il clima familiare , che, osservano i Giudici, non ha modificato la sua condizione di debolezza e di soggezione psichica rispetto al marito autore delle condotte vessatorie . Peraltro, non può essere ignorato, concludono i Magistrati, che l’uomo, dopo la remissione della querela, ha ripreso le identiche condotte ai danni della moglie.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 novembre 2018 – 4 gennaio 2019, n. 175 Presidente Paoloni – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Cagliari, a seguito di gravame interposto dall'imputato Gi. OL. avverso la sentenza emessa in data 17.5.2015 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione con la quale il predetto imputato è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 572 cod. pen. ai danni della moglie e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni civili in favore della parte civile costituita. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che deduce 2.1. Violazione dell'art. 572 cod. pen. essendo stato ritenuto abituale il reato fino al 28.9.2011 e travisamento dei fatti. La cessazione della condotta contestata era desumibile dal verbale di remissione della querela in data 6.9.2010 da parte della persona offesa con la quale questa aveva dichiarato che dopo la presentazione della querela in data 17.7.2009 il marito era cambiato in meglio ed aveva cessato di insultarla, dedicandosi alla famiglia. Di qui la avvenuta prescrizione del reato. Errato è il giudizio della Corte in ordine alla mancanza di carica dimostrativa della remissione della querela, esito di un giudizio illogico e contraddittorio. 2.2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla deposizione della parte offesa all'udienza del 29.9.2011 questa, infatti, ha confermato la cessazione della permanenza del reato denunciato nel luglio 2009, riferendo di altri fatti successivi alla remissione della querela che non valgono a far ritenere interrotta/cessata la permanenza della condotta. 2.3. Violazione dell'art. 62 bis cod. pen. e vizio di omessa motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, senza considerare la interruzione della permanenza del reato sopra indicata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo e secondo motivo sono manifestamente infondati in quanto ineccepibile è la ritenuta carenza di valenza dimostrativa della remissione della querela, rappresentando essa al più un tentativo della vittima di rappacificare il clima familiare senza per questo modificare la condizione di debolezza e soggezione psichica rispetto all'autore delle condotte vessatorie, risultando inoltre che - dopo la remissione - il ricorrente aveva ripreso le medesime condotte. 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato in considerazione della ritenuta continuità della condotta per sette anni in assenza di segni di ravvedimento, posta a base del diniego delle attenuanti generiche. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima congrua di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.