Avvocato agli arresti domiciliari: l’impugnazione dell’ordinanza che gli consentiva di ricevere collaboratori

La Suprema Corte affronta la questione inerente all’impugnazione proposta dal PM avverso l’ordinanza con cui il GIP aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con la misura interdittiva nei confronti di un avvocato inizialmente ristretto agli arresti domiciliari che riceveva nella propria abitazione un collaboratore dello studio.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 54071/18, depositata il 3 dicembre. La vicenda. I difensori dell’imputato impugnavano l’ordinanza con cui il Tribunale, in parziale accoglimento dell’appello del PM, annullava la pronuncia del GIP che aveva autorizzato il ricorrente, un avvocato agli arresti domiciliari, a ricevere nella propria abitazione un collaboratore dello studio per alcune ore del pomeriggio, per esaminare alcune pratiche dell’ufficio. L’impugnazione dell’ordinanza. Per il ricorrente il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello del PM dal momento che con apposita ordinanza la misura degli arresti domiciliari era stata sostituita con la misura interdittiva che gli inibiva lo svolgimento di attività lavorativa. Dunque, al momento della decisione, sempre secondo il ricorrente, non sussisteva un interesse concreto dell’impugnante ad esporre il gravame. Per la Suprema Corte, invece, il Tribunale ha correttamente ritenuto, in presenza dell’impugnazione proposta dal PM avverso l’ordinanza con cui il GIP aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con la misura interdittiva, concreto l’interesse dell’accusa all’impugnazione dell’ordinanza con cui era stata autorizzata in modo permanente la possibilità per l’avvocato di ricevere il collaboratore dello studio durante la restrizione agli arresti domiciliari. L’ampiezza dell’atto di autorizzazione, non collegato ad un singolo evento ma permanente e prolungato, consente di inquadrarlo nell’ambito delle ordinanze in materia di misure cautelari personali, impugnabili non solo quando incidono sul tasso di afflittività della misura, ma anche quando, come nel caso in esame, consistendo nella rimozione di vincoli inerenti alla misura cautelare applicata, ne comportano la modifica strutturale in funzione di effettività della tutela delle esigenze cautelari, non contestata nel caso in esame. Per tali ragioni, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 ottobre – 3 dicembre 2018, n. 54071 Presidente Paoloni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. I difensori di M.F. impugnano l’ordinanza con la quale il Tribunale di Bari, in parziale accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, in data 14 maggio 2018 ha annullato l’ordinanza del locale giudice per le indagini preliminari che aveva autorizzato il ricorrente, avvocato, ristretto agli arresti domiciliari per i reati corruzione ed altro, a ricevere nell’abitazione, per alcune ore del pomeriggio, un collaboratore dello studio professionale per esaminare le pratiche dell’ufficio. 2. Il ricorrente denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza sull’assunto che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello del pubblico ministero dal momento che con ordinanza dell’11 aprile 2018 la misura degli arresti domiciliari a carico del M. era stata sostituita con la misura interdittiva che gli inibiva lo svolgimento di attività lavorativa. Secondo il ricorrente, dunque, al momento della decisione, non sussisteva un interesse concreto e attuale dell’impugnante a coltivare il gravame proposto, connotati che non derivavano alla mera proposizione dell’impugnazione avverso l’ordinanza di sostituzione della misura. Con il secondo motivo deduce che l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari non era impugnabile dal momento che la concessa autorizzazione si traduceva in una lieve modifica dello status restrittivo e non poteva essere inquadrata nel genus di ordinanza in materia cautelare. Considerato in diritto 1.Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati. 2.Correttamente il Tribunale del riesame ha ritenuto, in presenza dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero avvero l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con la misura interdittiva, concreto e attuale l’interesse dell’accusa alla impugnazione dell’ordinanza con la quale erano stata autorizzata in via permanente, all’indagato ristretto in regime di arresti domiciliari, la possibilità di ricevere, tutti i giorni, un collega del comune studio professionale per l’esame delle pratiche di ufficio. L’ampiezza del provvedimento di autorizzazione, non collegato ad un singolo evento o necessità ma permanente e prolungato, ben consente di inquadrarlo tra quelle ordinanze in materia di misure cautelari personali che si riverberano in misura apprezzabile sul regime della misura e, pertanto, impugnabili ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen Tali ordinanze sono impugnabili, secondo il regime previsto dal Capo VI, libro IV, non solo quando incidono sul tasso di afflittività della misura, come questa Corte ha affermato in relazione al diniego allo svolgimento dell’attività lavorativa di cui all’art. 284, comma 3 cod. proc. pen. cfr. Sez. 4, n. 11406 del 23/02/2016, Mancini, Rv. 266303 , ma anche quando, come nel caso in esame, consistendo nella rimozione di vincoli inerenti o apposti alla misura cautelare applicata, ne comportano la modifica strutturale, con effetti sul contenuto del regime detentivo, in funzione di effettività della tutela delle esigenze cautelari, nel caso di specie non contestata. 3.E tanto vale a ravvisare, nella concreta dinamica dell’azione cautelare in esame, anche la ritenuta sussistenza di un interesse concreto e attuale del pubblico ministero a proporre impugnazione avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che aveva autorizzato le visite in presenza di impugnazione dell’ordinanza con la quale erano stati sostituiti gli arresti domiciliari con la misura interdittiva, sol che si rifletta che, in caso di accoglimento di tale ultima impugnazione, la misura degli arresti domiciliari sarebbe stata ripristinata non tal quale prevista nel titolo genetico ma secondo il regime via via modellato per effetto dei provvedimenti adottati nel corso della sua esecuzione e che avevano inciso sul suo contenuto in via permanente e strutturale. Anche se non immediato, sussisteva, dunque, l’interesse del pubblico ministero a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui contestava la correttezza e a conseguire un’utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso. 4. Consegue alla dichiarazione di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, in favore della cassa delle ammende, della somma indicata in dispositivo. La cancelleria eseguirà le comunicazioni di rito. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen