Molestie telefoniche: la procedibilità d’ufficio è incostituzionale?

Sebbene possa apparire inattuale ricomprendere nell’oggetto dell’art. 660 c.p. le molestie perpetrate col mezzo del telefono nei confronti di soggetti determinati, i cui effetti sovente restano in una sfera privata, ciò non si risolve nell’illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 220/18, depositata il 29 novembre. Molestie telefoniche la remissione della querela non è efficace. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 c.p., nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela del reato di molestia, con annessa rimettibilità della stessa, quanto meno limitatamente alle condotte idonee a recare molestia o disturbo esclusivamente a persona determinata. La questione trae origine da un giudizio nel quale la persona offesa dal reato di molestia, perpetrato per via telefonica, ha esplicitamente rimesso la querela, accettata dalla difesa dell’imputato. Poiché il reato in questione è procedibile d’ufficio, tale intervenuta remissione non può ritenersi efficace, con la necessità di una pronuncia nel merito, anche contrariamente alle intenzioni delle parti originarie. Le censure del rimettente. Secondo il giudice a quo , l’illegittimità dell’art. 660 c.p. sarebbe evidente mediante un raffronto con l’art. 612- bis c.p., che disciplina il reato di atti persecutori c.d. stalking , il quale, sebbene più grave rispetto al reato di molestia, è perseguibile a querela della persona offesa, con la possibilità di una remissione dall’effetto estintivo, mentre, nella più tenue ipotesi contravvenzionale, è previsto un regime di procedibilità ex officio . In particolare, il reato di stalking integrerebbe una species , punita con pene più severe, della semplice molestia, almeno con riferimento alla massa di condotte astrattamente lesive d’interessi che fanno capo all’individuo singolo. Sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che il reato di molestia o disturbo alle persone tuteli un bene ulteriore rispetto a quello protetto dalla fattispecie di atti persecutori, cioè la tranquillità pubblica, ciò potrebbe valere soltanto qualora la condotta di disturbo rischi di arrecare nocumento a soggetti indeterminati, altrimenti si valorizzerebbe un’offesa a beni privati non caratterizzante del reato contravvenzionale. Posto che numerose forme di condotta sussumibili e sussunte sub art. 660 c.p., connotate da un’azione contenuta e isolata ai danni di una sola persona, finirebbero per ledere, almeno in misura preponderante, lo stesso bene giuridico protetto dall’art. 612- bis c.p., secondo il giudice a quo sarebbe irragionevole prevedere un trattamento differenziato per le due fattispecie sotto il rilevante aspetto della procedibilità, in particolare se in pregiudizio del responsabile di un’offesa più tenue. Molestia e stalking pari non sono. Il reato di molestia è inserito nel paragrafo I della Sezione I del Capo I del Titolo I del Libro III del codice penale, dedicato alle contravvenzioni concernenti l’inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose , nell’ambito di quelle concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica. L'art. 660 c.p., infatti, tutela in via diretta l'ordine pubblico, sotto l'aspetto della pubblica tranquillità, e solo indirettamente la quiete individuale così, ad es., Cass. Pen., n. 10983/2011 e n. 11208/1994 . Il delitto di atti persecutori, invece – pur potendo assorbire il reato di molestia, dal quale si differenzia per la presenza di condotte reiterate – è inserito nella Sezione III del Capo III del Titolo XII del Libro II del codice penale, dedicato ai delitti contro la libertà morale”, così rendendo evidente il diverso bene giuridico tutelato. I reati contravvenzionali sono tutti procedibili d’ufficio. Con la pronuncia in commento, la Consulta richiama il precedente con il quale aveva già avuto modo di chiarire che l’intervento additivo richiesto dal giudice a quo – anche in quel caso, l’introduzione del regime di procedibilità a querela – sarebbe del tutto eccentrico rispetto ai principi generali del sistema del diritto penale italiano, che prevede la perseguibilità a querela solo per taluni delitti, mentre i reati contravvenzionali sono tutti procedibili d’ufficio Corte Cost. n. 392/2008 . Secondo il Giudice delle leggi, tali considerazioni restano impregiudicate anche in seguito all’introduzione nell’ordinamento penale del reato di atti persecutori di cui all’art. 612- bis c.p., richiamato dal rimettente quale termine di comparazione, poiché la fattispecie contravvenzionale in esame la molestia non potrebbe comunque avere un regime di procedibilità diverso da quello previsto per tutte le contravvenzioni. Pertanto, sebbene possa apparire inattuale ricomprendere nell’oggetto dell’art. 660 c.p. le molestie perpetrate col mezzo del telefono nei confronti di soggetti determinati, i cui effetti spesso restano in una sfera privata – il che potrebbe rendere opportuno un intervento del legislatore in materia – ciò non si risolve nell’illegittimità costituzionale della disposizione censurata la questione è, quindi, manifestamente inammissibile.

Corte Costituzionale, ordinanza 7 – 29 novembre 2018, n. 220 Presidente Lattanzi – Relatore Amato Ritenuto che, con ordinanza del 26 ottobre 2016 reg. ord. n. 74 del 2017 , il Tribunale ordinario di Varese ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 del codice penale, nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela del reato di molestia, con annessa rimettibilità della stessa, quanto meno limitatamente alle condotte idonee a recare molestia o disturbo esclusivamente a persona determinata che, come premette il giudice rimettente, la questione trae origine da un giudizio avente a oggetto il reato di cui all’art. 660 cod. pen., nella specie perpetrato attraverso molestia telefonica, giudizio nel quale la persona offesa costituita parte civile ha esplicitamente rimesso la querela, accettata dalla difesa dell’imputato che, nondimeno, poiché il reato in questione è procedibile d’ufficio, tale intervenuta remissione non potrebbe ritenersi efficace, con la necessità di pronunciarsi nel merito, anche contrariamente alle reali intenzioni delle parti originarie che, secondo il giudice a quo, la questione sarebbe senz’altro rilevante, poiché l’unica persona offesa ha chiesto espressamente di potersi giovare dell’istituto di cui all’art. 152 cod. pen., senza una decisione nel merito della causa penale che l’illegittimità della disposizione censurata sarebbe evidente prendendo a termine di raffronto l’art. 612-bis cod. pen., che disciplina il reato di atti persecutori, il quale, sebbene connotato da evidenti tratti di specialità e più grave rispetto al reato di molestia, è punito a querela della persona offesa, con la possibilità di una remissione dall’effetto estintivo, mentre nella più tenue ipotesi contravvenzionale sarebbe previsto un regime di procedibilità ex officio che, infatti, il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. integrerebbe una species, punita con pene più severe, della fattispecie contravvenzionale ex art. 660 cod. pen., almeno con riferimento alla massa di condotte astrattamente lesive d’interessi che fanno capo all’individuo singolo in tal senso viene richiamata la sentenza n. 172 del 2014 che, sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che il reato di molestia o disturbo alle persone tuteli un bene ulteriore rispetto a quello protetto dalla fattispecie di atti persecutori, cioè la tranquillità pubblica, ciò potrebbe valere soltanto qualora la condotta di disturbo rischi di arrecare nocumento a soggetti indeterminati, altrimenti si valorizzerebbe un’offesa a beni privati non caratterizzante del reato contravvenzionale che, dunque, numerose forme di condotta sussumibili e sussunte sub art. 660 cod. pen., connotate da un’azione contenuta e isolata ai danni di una sola persona, finirebbero per ledere, almeno in misura preponderante, lo stesso bene giuridico protetto dall’art. 612-bis cod. pen. e, pertanto, sarebbe irragionevole prevedere un trattamento differenziato per le due fattispecie sotto il rilevante aspetto della procedibilità, in particolare se in pregiudizio del responsabile di un’offesa più tenue che il giudice rimettente asserisce di essere a conoscenza che questa Corte, con l’ordinanza n. 392 del 2008, ha già dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 cod. pen., censurato, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la procedibilità d’ufficio anche nell’ipotesi in cui la molestia è rivolta non già ad un numero indeterminato di persone, ma a danno di un soggetto ben determinato che, tuttavia, in tal caso si prendevano a raffronto norme incriminatrici assai dissimili rispetto alla contravvenzione in esame, mentre l’introduzione dell’attuale termine di comparazione, ossia l’art. 612-bis cod. pen., renderebbe nuova la questione in questa sede sollevata che, da ultimo, sarebbe evidente l’impossibilità di addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, poiché l’illegittimità della stessa sarebbe scongiurata soltanto ritenendo penalmente rilevanti le sole condotte idonee a mettere a repentaglio la tranquillità pubblica, con esclusione di quelle uni-direzionate nei confronti del singolo o di singoli soggetti determinati, secondo un’interpretazione, però, in evidente contrasto con il chiaro tenore letterale dell’art. 660 cod. pen., nonché con un diritto vivente ormai consolidato che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata che, in via preliminare, secondo l’Avvocatura generale dello Stato la questione sarebbe manifestamente inammissibile, poiché il giudice a quo avrebbe chiesto a questa Corte un intervento additivo che, oltre a non rappresentare l’unica soluzione alla ritenuta disparità di trattamento, risulterebbe del tutto eccentrico rispetto ai principi generali del sistema del diritto penale italiano, secondo cui i reati contravvenzionali sono tutti procedibili d’ufficio che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, poiché il reato di cui all’art. 660 cod. pen. richiede che la molestia o il disturbo avvengano in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono , in tal modo tutelando non solo il soggetto passivo della molestia o del disturbo, ma anche la tranquillità pubblica e il corretto utilizzo della rete telefonica a vantaggio dell’utenza generale, mentre il più grave delitto previsto dall’art. 612-bis cod. pen. potrebbe essere commesso anche a parole e in ambito privato. Considerato che il Tribunale ordinario di Varese ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 del codice penale, nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela del reato di molestia, con annessa rimettibilità della stessa, quanto meno limitatamente alle condotte idonee a recare molestia o disturbo esclusivamente a persona determinata che il reato di cui all’art. 660 cod. pen. risulta inserito nel paragrafo I della Sezione I del Capo I del Titolo I del Libro III del codice penale, dedicato alle contravvenzioni concernenti l’inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose , nell’ambito di quelle concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica che, come già chiarito da questa Corte con l’ordinanza n. 392 del 2008, l’intervento additivo richiesto dal giudice a quo sarebbe del tutto eccentrico rispetto ai principi generali del sistema del diritto penale italiano, che prevede la procedibilità a querela solo per taluni delitti, mentre i reati contravvenzionali sono tutti procedibili d’ufficio che siffatte considerazioni restano impregiudicate anche in seguito all’introduzione nell’ordinamento penale del reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen., richiamato dal giudice a quo quale termine di comparazione, poiché la fattispecie contravvenzionale in esame non potrebbe comunque avere un regime di procedibilità diverso da quello previsto per tutte le contravvenzioni che, quindi, sebbene possa apparire inattuale ricomprendere nell’oggetto dell’art. 660 cod. pen. le molestie perpetrate col mezzo del telefono nei confronti di soggetti determinati, i cui effetti sovente restano in una sfera privata, la qual cosa potrebbe rendere opportuno un intervento del legislatore in materia, ciò non si risolve nell’illegittimità costituzionale della disposizione censurata che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 660 del codice penale, sollevata dal Tribunale ordinario di Varese, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.