Minacce e richieste di perdono all’ex fidanzata integrano il reato di stalking

Nessuna via di fuga per l’imputato che ha tempestato di chiamate e messaggi attraverso i social network la donna con cui ha avuto una relazione affettiva. Evidente e decisivo il tenore delle azioni da lui compiute, che hanno provocato un forte stato d’ansia e di paura nell’ex fidanzata.

Rottura del rapporto mal digerita da lui, che tempesta l’ex fidanzata con telefonate e con messaggi sui social network. Lei vive malissimo l’ossessione dell’ex compagno, lo denuncia e lo fa condannare per stalking. Respinta la tesi difensiva che ci si trovasse di fronte a comportamenti reciproci tra i due ex partner. Irrilevante anche il fatto che l’uomo avesse alternato messaggi minacciosi a richieste di perdono e ammissioni di colpa Cassazione, sentenza n. 53630/18, sez. III Penale, depositata oggi . Paura. Nessun dubbio già per i Giudici di merito. Difatti, prima in Tribunale e poi in appello, una volta ricostruita la vicenda, è ritenuta evidente la gravità della condotta tenuta dall’uomo, che ha ripetutamente e in varie occasioni contattato l’ex fidanzata con telefonate e messaggi di posta attraverso i sociale network , cagionandole così un perdurante e grave stato d’ansia e paura, ingenerando in lei il fondato timore per la propria incolumità e costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita . A rendere questo comportamento ancora più grave, poi, il fatto che l’uomo sia stato legato da relazione affettiva alla sua vittima. Condanna per stalking, quindi, inevitabile. E legittima, aggiungono ora i Giudici della Cassazione, respingendo le ultime obiezioni proposte dal legale dell’uomo sotto processo. Per i Giudici del Palazzaccio è corretta la valutazione del materiale probatorio a disposizione, che comprende fatti, dichiarazioni e messaggi dell’uomo. Quest’ultimo ha sì alternato le minacce e gli insulti alle recriminazioni e alle ammissioni di colpa con richieste di perdono , ma ha complessivamente provocato un grave stato di ansia e paura nell’ex fidanzata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 giugno– 29 novembre 2018, n. 53630 Presidente Ramacci – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 6.10.2017 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata in data 17.5.2012 che aveva condannato Ge. Al. Cl. alle pene di legge per la violazione dell'art. 612-bis, comma 1 e 2, cod. pen., per aver ripetutamente ed in varie occasioni contattato la persona offesa, con telefonate e messaggi di posta attraverso i social network, di modo da cagionarle un perdurante e grave stato d'ansia o paura, ingenerando il fondato timore per l'incolumità propria e costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita, con l'aggravante di aver commesso il fatto, dopo esserle stato legato da relazione affettiva, in Torre Annunziata ed in altri luoghi fino all'8.1.2011, nonché dell'art. 609-bis, perché, nell'agire repentinamente da tergo, l'aveva costretta a subire un atto sessuale consistito nel palpeggiamento del sedere, in Torre Annunziata il 31.12.2010. 2. Con il primo motivo, l'imputato deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., in relazione agli art. 552, comma 2, cod. proc. pen. e 612-bis, comma 1 e 2, cod. pen. Reitera l'eccezione di nullità del decreto che dispone il giudizio, perché non era stata indicata la data del reato da cui avrebbe avuto inizio la condotta perdurante. Il riferimento alla cessazione della relazione sentimentale era sussunto nel capo d'imputazione come aggravante. In ogni caso, la circostanza che la condotta contestata si sarebbe verificata dopo la cessazione della relazione affettiva non consentiva di determinare, con la dovuta esattezza e precisione, né in forma chiara e precisa, il dies a quo della commissione del reato. Il capo d'imputazione era privo di qualsiasi indicazione temporale, e non fattuale, circa il dies a quo, la data ed il momento storico in cui avrebbero avuto inizio le condotte contestate. L'accoglimento della questione, tempestivamente proposta nel giudizio di primo grado e riproposta con i motivi d'appello, non poteva che comportare la nullità del decreto di citazione con conseguente regressione del procedimento allo stato in cui era stato compiuto l'atto nullo. Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., in relazione agli art. 603, comma 1 e 2, 125, 178, 180 cod. proc. pen., 3, 24 e 111 Cost, nonché della lett. d , per mancata assunzione di una prova decisiva di cui la parte aveva fatto richiesta in relazione all'art. 603, comma 2, cod. proc. pen. Rappresenta che aveva ottenuto un rinvio per depositare una sentenza irrevocabile relativa alla persona offesa che poi non era stata acquisita stante l'omessa pronuncia di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. L'omessa pronuncia dell'ordinanza di rigetto e la mancanza di qualunque decisione anche implicita aveva determinato un'indubbia lesione del diritto di difesa, per mancata assistenza e rappresentanza finalizzata all'esercizio del diritto di difesa e ad assicurare il giusto processo. Solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., in relazione agli art. 125, 178, lett. c , e 180 cod. proc. pen., nonché 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non era stata prevista la nullità assoluta nell'ipotesi di omessa pronuncia dell'ordinanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, qualora la discussione non fosse stata differita al momento della redazione della sentenza e neanche fosse stata ritenuta implicita. La circostanza che la persona offesa fosse stata condannata per il reato di minacce ai suoi danni costituiva una conferma documentale alla reciprocità dei comportamenti molesti. Né poteva non ritenersi rilevante la remissione di querela del principale teste d'accusa che aveva dichiarato che la remissione era stata dettata dal fatto che le circostanze di cui in denuncia erano state riportate in modo esagerato. Si trattava dell'ammissione postuma di una condotta calunniatoria che incideva sulla credibilità dei testi, tra cui la persona offesa ed il presunto teste oculare della condotta sub A . Con il terzo motivo, censura la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. in relazione dell'art. 612-bis cod. pen., e dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., con derubricazione dell'art. 612-bis cod. pen. rispetto agli art. 594 e 595 cod. pen. Ritiene insussistente il reato di stalking a suo carico a causa della reciprocità dei comportamenti molesti. Inoltre, nonostante la reciprocità degli insulti e delle aggressioni fisiche e verbali, la donna aveva continuato a frequentare lui e la sua comitiva anche dopo la fine della relazione sentimentale. Lamenta che la Corte territoriale non aveva valutato in modo rigoroso le dichiarazioni della persona offesa. Inoltre, le prove documentali e testimoniali consentivano di concludere che non aveva arrecato un cambiamento nelle abitudini di vita della persona offesa. Con il quarto motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in relazione all'art. 609-bis cod. pen., e dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., in relazione agli art. 125, comma 3, e 192 cod. proc. pen. La persona offesa aveva sentito il palpeggiamento, ma non aveva visto il suo autore, perché, giratasi, aveva scorto esso imputato allontanarsi nella folla parimenti il fidanzato non poteva aver visto il gesto descritto per mancanza di una prospettiva adeguata inoltre avevano omesso di riferire un particolare rilevante e cioè che la donna era abbracciata al suo fidanzato. Assume l'incongruenza della motivazione perché v'era stata una sorta d'inversione dell'onere della prova i testi non avevano visto, ma il fatto era ugualmente accaduto in realtà, sarebbe stato molto più logico e verosimile ipotizzare che, siccome i testi non avevano notato la sua condotta, considerato anche il trambusto, il fatto non si fosse verificato. Aggiunge che le modalità del fatto, la modesta entità oggettiva dello stesso, il contesto affollato e la situazione concitata potevano aver determinato un contatto fortuito frainteso dalla persona offesa. La condotta sarebbe stata determinata da un contatto fortuito, privo del requisito della violenza o della minaccia, senza la finalità della libido. Con il quinto motivo, eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in relazione all'art. 609-nonies, cod. pen., nonché dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. Ritiene che dovevano essere escluse le pene accessorie essendo stato riconosciuto il fatto di minore gravità e lamenta che la sospensione condizionale della pena non era stata estesa alle pene accessorie. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. I Giudici di merito hanno compiutamente risposto a tutte le doglianze che il ricorrente ha riproposto pedissequamente in questa sede. 3.1. Quanto all'indicazione della data del commesso delitto nel capo d'imputazione, la Corte territoriale ha osservato che non s'era verificata alcuna violazione del diritto di difesa, come desumibile dalla compiuta istruttoria dibattimentale e dai ponderosi motivi d'appello. Tale giudizio va confermato perché, ai fini del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., era irrilevante stabilire quando fosse iniziata la condotta, mentre era indispensabile il riferimento alla cessazione, ciò che era stato puntualmente indicato nel capo d'imputazione. 3.2. Con riferimento all'accertamento del reato del capo a , la motivazione in primo grado è ampia e reca con minuzioso dettaglio tutti i fatti, dichiarazioni e messaggi dell'imputato. La Corte territoriale ha vagliato criticamente il medesimo materiale ed ha valorizzato le minacce, gli insulti, le recriminazioni alternate ad ammissioni di colpa e richieste di perdono o pietà, nonché il perdurante e grave stato di ansia e paura in cui era stata ridotta la persona offesa come da sue dichiarazioni ritenute attendibili perché caratterizzate da pacatezza e precisione. 3.3. Con riferimento all'accertamento del reato del capo b , la Corte territoriale ha osservato che l'atto compiuto del palpeggiamento del sedere aveva chiara connotazione sessuale ed integrava la fattispecie contestata. La vicenda è stata puntualmente analizzata dai Giudici di merito e la spiegazione alternativa che il ricorrente ha proposto in questa sede, del toccamento fortuito, non è apprezzabile, siccome circostanza di fatto. La Cassazione ha precisato, in plurime occasioni, che la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., a seguito della L. n. 46 del 2006, non consente al giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze si veda, tra le prime sul tema, Cass., Sez. 4, n. 20245/06, Rv 234099 . Le deduzioni difensive, anche se non espressamente confutate, devono essere disattese se logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento si veda amplius Cass., Sez. 4, n. 19170/09, Rv 243636, con numerosi richiami ai precedenti e idem, n. 4060/14, Rv 258438 . Il suddetto vizio della motivazione, poi, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Nel caso di specie va anche ricordato che ci si trova dinanzi ad una doppia conforme e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, con la conseguenza che il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene sia sindacabile con il ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, non è possibile nel caso di cosiddetta doppia conforme, superare il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice si veda, tra le prime, Cass., n. 5223/07, Rv 236130 . Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunto alla medesima conclusione in ordine alla sua colpevolezza. Come di recente ribadito anche da Cass., Sez. 3, n. 27117/15, Rv 264032, La giurisprudenza di questa Corte è compatta nel ritenere che le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello, come nella specie, abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata Cass., Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 . 3.4. Il secondo motivo con cui il ricorrente ha recriminato l'omessa acquisizione di un atto a suo avviso decisivo e cioè il presunto accertamento della responsabilità della donna per reato di molestie a suo danno è parimenti inammissibile perché l'esistenza della sentenza non valeva di per sé a minare la credibilità della donna e d'altra parte l'omessa pronuncia era spiegabile con l'implicito rigetto dell'acquisizione di un atto irrilevante. Il ricorrente inoltre non ha spiegato sulla base di quali motivi la ventilata questione di legittimità costituzionale dell'art. 603, comma 2, cod. proc. pen. sarebbe stata rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata. 3.5. Il terzo ed il quarto motivo si risolvono in censure di mero fatto su cui i Giudici di merito hanno reso motivazione ampia ed accurata. 3.6. Il quinto motivo, mirante ad escludere la compatibilità dell'art. 609-nonies cod. pen. con l'art. 609-bis, comma 3, cod. pen. è formulato in modo generico e confuso perché si riferisce sia alla previsione delle pene accessorie, che a quella delle misure di sicurezza, ventilando una lesione dell'art. 3 Cost., perché si sanzionerebbero e parificherebbero, mediante applicazione di pene accessorie, fatti di diversa gravità. L'assunto non ha consistenza. Innanzi tutto, nella specie è stata applicata solo la pena accessoria dell'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e curatela, in secondo luogo la suddetta pena accessoria non è incompatibile con il fatto di minor gravità dell'art. 609-bis, comma 3, cod. pen., non essendovi una specifica previsione in tal senso. Infine, la sospensione condizionale della pena principale si estende automaticamente alla pena accessoria ai sensi dell'art. 166 cod. pen. si veda ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 27113/15, Merlo, Rv 264019 3.7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.