Da livelle laser a puntatori: commerciante condannato

Confermata la responsabilità di un negoziante. Irrilevante il richiamo all’utilizzo dello strumento in un determinato contesto lavorativo. Ciò che emerge è il dato relativo alle emissioni, dato che rende l’oggetto pericoloso per la salute pubblica.

Livelle di ultima generazione in vendita. Esse però possono facilmente diventare dei veri e propri puntatori laser. Legittima, di conseguenza, la condanna per il commerciante Cassazione, sentenza n. 52975/18, sez. III Penale, depositata oggi . Pericolo. Svolta decisiva in appello lì i Giudici, ribaltando le valutazioni compiute in Tribunale, ritengono il commerciante – originario della Cina – colpevole per avere venduto al pubblico prodotti pericolosi, consistenti in puntatori laser classe pari a 3 , violando così il divieto imposto dal Ministero della Salute nel lontano 1988. Il legale del commerciante contesta però la pronuncia di condanna. Egli sostiene che i Giudici abbiano male interpretato la normativa, e per dar forza alla propria tesi pone in evidenza il fatto che il suo cliente non ha mai messo in pericolo la salute dei minori , poiché egli ha posto in vendita non giocattoli bensì livelle ad uso muratori, collocate nel reparto ferramenta e che diventano puntatori laser solo a seguito della rimozione del diffusore . Tale obiezione non convince però i Giudici della Cassazione, i quali confermano la condanna del commerciante così come pronunciata in appello. Inequivocabile, innanzitutto, il dato relativo ai valori di emissione delle livelle, che, di conseguenza, debbono essere considerate pericolose per la salute pubblica . Inutile il richiamo difensivo al fatto che ci si trovi di fronte a uno strumento utilizzabile in un determinato contesto lavorativo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 luglio – 26 novembre 2018, n. 52975 Presidente Cavallo – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, in riforma della decisione emessa dal Tribunale di Oristano, appellata dal Procuratore Generale, la Corte d'appello di Cagliari, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante conferimento di perizia, applicate le circostanze attenuanti generiche, condannava Ji. Wh. alla pena di giustizia perché ritenuta responsabile della contravvenzione di cui all'art. 112, comma 1, D.Lgs. n. 206 del 2005, per avere immesso sul mercato, in qualità di amministratore della società Il paradiso dello shopping srl , vendendoli al pubblico, prodotti pericolosi, consistenti in puntatori laser classe pari a 3, secondo la norma CEI EN 60825, in violazione del divieto prescritto con ordinanza 16 luglio 1988 del Ministero della salute. 2. Avverso l'indicata sentenza l'imputata, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e e lett. b e c cod. proc. pen., in relazione all'art. 125 cod. proc. pen. Assume la ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, mediante cui è stata effettuata perizia sui beni in sequestro, in violazione dei principi affermati da Cass., SU, n. 18620 del 2017. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e e lett. b e c cod. proc. pen. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe formulato al perito un quesito errato, omettendo di precisare che la norma tecnica di riferimento sarebbe dovuta essere quella vigente al momento del fatto sotto altro profilo, la perizia non avrebbe fatto chiarezza in ordine alla riconducibilità dei dispositivi in sequestro nella classe 3, perché sarebbero da collocare sotto la classe 2 della normativa tecnica allora in vigore. 3.1. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e e lett. b e c cod. proc. pen. Ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., questione che avrebbe dovuto valutare, trattandosi di appello del Procuratore Generale avverso una sentenza assolutoria. 3.2. Con il quarto motivo si censura l'inosservanza di norma extrapenale richiamata dalla norma incriminatrice, in relazione all'ordinanza del 16 luglio 1998 del direttore generale del dipartimento del Ministero della Salute. Secondo la ricorrente, poiché il divieto di commercializzazione, richiamato nell'indicata ordinanza ministeriale, trova fondamento nel D.Lgs. n. 313 del 1991, che attiene alla sicurezza dei giocattoli, nel caso in esame non vi sarebbe alcun pericolo per la salute dei fanciulli, in quanto i dispositivi in questione, che consistono in livelle ad uso muratori, erano collocati nel reparto ferramenta e diventato puntatori laser solo a seguito della rimozione del diffusore. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Invero, come chiaramente risulta dalla sentenza impugnata, il Tribunale era pervenuto al giudizio assolutorio non avendo ritenuto sufficiente la prova, desumibile dalle sole indicazioni apposte sulle confezioni, che le livelle laser, oggetto di sequestro, fossero ricomprese nel divieto di commercializzazione previsto dalla circolare del Ministero della Salute del 16 luglio 1988 per contro, come correttamente osservato dall'appellante Procuratore Generale, il Tribunale avrebbe dovuto accertare, anche ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., se detti oggetti rientrassero o meno nell'indicato divieto di commercializzazione, accertamento che, appunto, in accoglimento del motivo di appello, è stato disposto dalla Corte territoriale mediante il conferimento di perizia sul punto. 3. Manifestamente infondato è il secondo motivo. In primo luogo si osserva che il quesito è stato formulato dalla Corte territoriale nel contraddittorio tra le parti, sicché eventuali precisazioni al quesito medesimo avrebbero dovuto essere richieste in quella sede. In secondo luogo, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, le conclusioni cui è giunto il perito, e fatte proprie dalla Corte territoriale, sono chiare e logicamente motivate, essendo stato accertato che i valori misurati sono tutti superiori al limite di emissione accessibile della classe 2, con conseguente attribuzione ai dispositivi in esame della classe laser 3R i dispositivi n. 1, 2 e 5 e 3B i dispositivi n. 3, 4, 6, 7 e 8 , secondo la norma CEI EN 60825 attualmente in vigore, corrispondente alla classificazione 3A e 3B secondo l'analoga norma tecnica vigente all'epoca dei fatti. Si tratta di una motivazione congrua e immune da vizi logici che, quindi, è insindacabile in questa sede. 4. Il terzo motivo è, del pari, manifestamente infondato. E' dirimente osservare che, in sede di conclusioni assunte davanti alla Corte territoriale, non era stata chiesta l'applicazione dell'invocata causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. E, per costante giurisprudenza, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione tra le più recenti, cfr. Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017 - dep. 14/06/2017, Galdi, Rv. 270316 Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 - dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 269745 Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017 - dep. 04/04/2017, Costa e altro . Ciò vale, si ribadisce, anche in relazione all'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen., che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo, come nel caso in esame, era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, dep. 21/04/2017, Celentano, Rv. 269913 Sez. 7, n. 43838 del 27/05/2016, dep. 17/10/2016, Savini, Rv. 268281 Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, dep. 16/05/2016, Gravina, Rv. 266678 . Un principio del genere trova applicazione anche nel caso in cui l'imputato sia stato assolto in primo grado e il giudizio di appello si sia instaurato a seguito di impugnazione da parte della pubblica accusa, essendo onere dell'imputato richiedere l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. in sede di conclusioni assunte davanti alla Corte d'appello. 5. Il quarto motivo è manifestamente infondato. Invero, come già affermato da questa Corte, integra il reato di cui all'art. 112 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, l'immissione sul mercato di accendini costituiti da puntatori laser o da oggetti con tale funzione di classe pari o superiore a 3 secondo la norma CEI EN 60825, in quanto la commercializzazione di puntatori laser e di oggetti con tale funzione è vietata con ordinanza del Ministero della Salute del 16 luglio 1998 Sez. 3, n. 37077 del 19/12/2014 - dep. 15/09/2015, Xu, Rv. 265173 . Orbene, ai fini della sussistenza del divieto di commercializzazione, va considerata la pericolosità in sé degli strumenti, ancorché non specificatamente diretti ai fanciulli, in quanto, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, l'ordinanza del Ministero della Salute del 16 luglio 1998, come recita l'art. 3, riguarda indistintamente tutti i puntatori laser o di oggetti con funzione di puntatore laser di classe pari o superiore a 3, salvo quelli utili per l'esercizio di determinate attività professionali, in particolare in campo medico , situazione, quest'ultima, che non ricorre nel caso in esame, sicché pacificamente i dispositivi sequestrati all'imputata, essendo di classe pari a 3, sono ricompresi nel divieto di commercializzazione, in quanto pericolosi per la salute pubblica. 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000 , alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 17/07/2018.