La valutazione della prova dichiarativa per l’accertamento della responsabilità dell’imputato

Il criterio legale di valutazione della prova dichiarativa, proveniente da imputato o coimputato in un procedimento connesso, richiede di porre particolare attenzione circa l’attendibilità della prova stessa, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 52097/18, depositata il 19 novembre. La fattispecie. Il Tribunale, nel dichiarare la colpevolezza dell’imputato per il reato di lesioni personali volontarie lievi nei confronti della vittima mentre in relazione agli ulteriori reati di violenza sessuale, danneggiamento e atti vessatori aveva pronunciato assoluzione perché il fatto non sussiste , fondava il suo giudizio sulle dichiarazioni della persona offesa, confermate da varie certificazioni mediche e testimonianze di altri soggetti. Adita dall’imputato, la Corte d’Appello condivideva il giudizio del Tribunale, confermando il trattamento sanzionatorio previsto nei suoi confronti. Così l’imputato propone ricorso per cassazione denunciando difetto di motivazione in relazione al giudizio sulla credibilità soggettiva della vittima del reato. La valutazione della prova. L’art. 192, comma 3, c.p.p. richiede che le dichiarazioni accusatorie provenienti dall’indagato o imputato in un procedimento connesso o collegato siano confermate da riscontri esterni. Così facendo tale norma detta un criterio legale per quanto riguarda la valutazione della prova dichiarativa, proveniente da coimputato o imputato di reato connesso. Tale criterio se inosservato, ove riguardi prova dichiarativa decisiva nel giudizio, determina manifesta illogicità delle argomentazioni poste a sostegno della decisione presa. Fondamentale, dunque, a tal fine, è la valutazione dei cosiddetti riscontri esterni” per dare conferma in maniera individualizzante”, ossia con riferimento al fatto e al soggetto accusato. Quanto al tipo di riscontri, la normativa fa riferimento ad elementi di prova” e quindi a tutto quanto possa essere utilizzato dall’organo giudicante per fondare e formare il proprio convincimento. Ebbene, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha visto i necessari riscontri alle dichiarazioni accusatorie della vittima del reato, nella documentazione medica e nelle dichiarazioni dei testi. Ma si tratta di elementi che non hanno valenza di dare conferma all’accusa. Per questi motivi, la Suprema Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 ottobre – 19 novembre 2018, n. 52097 Presidente Di Tomassi– Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata in data 5.12.2017 la Corte di cassazione sezione prima, in accoglimento del ricorso straordinario presentato da P.D. , ha revocato la sentenza pronunciata in data 20.2.2017 dalla Corte di cassazione sezione quinta - che aveva respinto il ricorso presentato da P.D. avverso la sentenza pronunciata in data 16.3.2015 dalla Corte di appello di Catanzaro - e ha disposto separato giudizio rescissorio. 2. L’imputazione riguarda il reato di lesioni personali volontarie lievi in danno di S.L. , fatto commesso il omissis . Sono stati contestati all’imputato anche ulteriori fatti di violenza sessuale, danneggiamento e atti vessatori art. 612 bis cod. pen. , ma il Tribunale aveva pronunciato assoluzione perché il fatto non sussiste. 2.1. Il Tribunale di Crotone ha fondato il giudizio di colpevolezza sulle dichiarazioni della persona offesa S.L. , esaminata ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. quale indagata per reato probatoriamente collegato, che, in relazione allo specifico episodio oggetto della imputazione, erano state confermate da certificazione medica, dalle tracce rinvenute su un abito della persona offesa una macchia di sangue e una bretella rotta , dalla testimonianza, di chi aveva notato segni sul collo della donna la madre M.E. e il m.llo C. e di chi aveva appreso del fatto dalla figlia della persona offesa testi L. e M. e dallo stesso imputato teste A. . In relazione agli ulteriori reati contestati il primo giudice ha pronunciato assoluzione, in quanto le dichiarazioni della persona offesa non avevano trovato specifico riscontro in altri elementi probatori. 2.2. Adita con impugnazione dell’imputato e della parte civile, la Corte di appello di Catanzaro ha condiviso il giudizio formulato dal Tribunale, ritenendo che le dichiarazioni della persona offesa in ordine alle lesioni subite fossero adeguatamente riscontrate dai certificati medici e dalla testimonianza di chi, nella immediatezza, aveva notato i segni delle lesioni sul collo della donna. Inoltre, le analisi compiute sul vestito indossato dalla donna avevano consentito di individuare una macchia di sangue dell’imputato proprio in corrispondenza del distretto corporeo che l’imputato avrebbe colpito con pugni. In relazione alla impugnazione della parte civile, la Corte territoriale ha ritenuto che non fossero stati acquisiti elementi di riscontro, in relazione alle imputazioni di violenza sessuale, danneggiamento e atti vessatori, alle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. Il secondo giudice ha confermato anche il trattamento sanzionatorio, ritenendo non concedibili le attenuanti generiche. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di P.D. , denunciando, con unico motivo, il difetto di motivazione in relazione al giudizio sulla credibilità soggettiva della persona offesa, sulla valenza come riscontri dei certificati medici e dell’esame ematico sul vestito, e alla omessa considerazione, come elemento di smentita dell’accusa, della conversazione, registrata, tra la persona offesa e il teste A.C. . Quanto al profilo della credibilità della persona offesa, il ricorso evidenzia che il secondo giudice non aveva preso in considerazione i profili critici segnalati con l’atto di appello i contrasti tra l’esame reso a dibattimento e quanto dichiarato nella originaria denuncia la falsa affermazione circa la interruzione della relazione sentimentale con l’imputato tra aprile e giugno 2011 i motivi di rancore della donna verso l’imputato, oggetto di minacce per non aver condiviso l’odio verso L.V. . I certificati medici non potevano essere considerati come riscontro alle accuse della persona offesa, in quanto non erano idonei a confermare l’epoca del verificarsi delle lesioni né a confermare che fosse l’imputato il responsabile delle stesse, e dunque non avevano valenza individualizzante. La perizia sulla traccia di sangue rinvenuta sul vestito della persona offesa non aveva condotto ad alcun elemento di riscontro a carico dell’imputato, in quanto l’affermazione della persona offesa, secondo la quale il vestito sarebbe stato da lei acquistato poche ore prima del fatto, era rimasta priva di conferme dunque, l’accertamento che la traccia ematica era riconducibile all’imputato non avrebbe alcun rilievo mancando la prova dell’epoca in cui la traccia era stata lasciata sul vestito. Il ricorso evidenzia come illegittimamente i giudici del merito avevano ritenuto che fosse onere dell’imputato provare la risalenza nel tempo dell’acquisto del vestito e del manifestarsi della traccia ematica. La Corte territoriale non aveva, poi, considerato che nella conversazione con il teste A.C. , clandestinamente registrata dalla stessa persona offesa, S.L. aveva dichiarato che il ricorrente non le aveva mai fatto nulla di male. Sul punto il secondo giudice aveva omesso di motivare, limitandosi a ritenere superfluo verificare i motivi che avevano indotto la persona offesa a rilasciare quella dichiarazione al teste A. . 3. A seguito di ricorso straordinario presentato dal difensore di P.D. è stata revocata la sentenza con cui la Corte di cassazione, in data 20.2.2017, aveva respinto il ricorso proposto dalla difesa avverso la sentenza di appello. In particolare, la sentenza rescindente ha rilevato che la Corte di cassazione era incorsa in errore di fatto laddove aveva considerato che la persona offesa era stata esaminata come testimone, e non come ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., come in realtà era avvenuto. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va pronunciato annullamento, senza rinvio, della. sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. 1. Il ricorso ha denunciato vizio della motivazione del giudizio di colpevolezza, sotto i profili della omessa considerazione degli elementi critici della soggettiva credibilità della persona offesa, oggetto di specifiche doglianze dell’atto di appello, e della violazione delle regole probatorie dettate dall’art. 192 cod. proc. pen. in tema di prova dichiarativa proveniente da persona indagata/imputata in procedimento connesso. Il Collegio ritiene fondata, e assorbente della residua doglianza, la censura relativa alla manifesta illogicità della motivazione in ragione della inosservanza della regola di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen La norma, in particolare, richiede che le dichiarazioni accusatorie provenienti da soggetto indagato/imputato in procedimento connesso o collegato siano confermate da riscontri esterni. 1.1. È stato precisato Sez. 1, 20.10.2016, Pecorelli, Rv. 271294 che la inosservanza delle regole di valutazione della prova stabilite dall’art. 192 cod. proc. pen. non dà luogo ad un autonomo vizio censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. B e C, cod. proc. pen. - non trattandosi di norma penale sostanziale né di norma processuale sanzionata a pena di nullità o inutilizzabilità -, bensì a difetto di motivazione, denunciabile, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. E, cod. proc. pen., ove sia riscontrabile manifesta illogicità, assenza o contraddittorietà della motivazione. In particolare, l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. detta un criterio legale di valutazione della prova dichiarativa, proveniente da coimputato o imputato di reato connesso, criterio la cui inosservanza, ove riguardi prova dichiarativa decisiva nel giudizio, determina manifesta illogicità delle argomentazioni poste a sostegno della decisione. 1.2. La giurisprudenza ha precisato che detto criterio legale di valutazione della prova dichiarativa, proveniente da coimputato o imputato in procedimento connesso, richiede sia posta particolare attenzione nel vaglio di attendibilità della prova dichiarativa, sia sotto il profilo soggettivo che a quello oggettivo, e vengano individuati altri elementi di prova, esterni alla fonte dichiarativa, dotati di valenza individualizzante con riferimento al soggetto accusato e al fatto addebitato. Si tratta di tre aspetti che vengono variamente denominati sotto il profilo lessicale credibilità soggettiva ovvero attendibilità intrinseca soggettiva, attendibilità oggettiva ovvero attendibilità intrinseca oggettiva, attendibilità estrinseca ovvero riscontri esterni. Quanto al contenuto, è consolidato Sez. Un. 21.10.1992, Marino, Rv. 192465 l’orientamento che ha distinto il profilo soggettivo - inerente la persona del dichiarante, la sua personalità, i suoi rapporti con l’accusato, i motivi che l’hanno indotto alla collaborazione - da quello oggettivo - relativo al contenuto dichiarativo sotto il profilo, interno, della ricchezza di dettagli, della coerenza, precisione, spontaneità, costanza ed, esterno, della adeguatezza rispetto a quanto risulta aliunde. Il terzo, necessario, elemento è costituito dai riscontri specifici dell’accusa formulata qualsiasi elemento probatorio, anche indiretto, che, proveniendo da una fonte diversa dal dichiarante, dia conferma alla specifica accusa mossa al soggetto incolpato. Dunque, con riferimento al rapporto tra l’apporto dichiarativo in esame e gli elementi probatori desumibili da diverse fonti di prova, si distingue tra elementi che possono genericamente riscontrare il racconto del dichiarante, così da contribuire a fondarne un positivo giudizio di attendibilità oggettiva, ed elementi che, pur non dando prova del fatto, costituiscano una specifica conferma esterna dell’accusa con riferimento al soggetto incolpato. La chiara distinzione dei tre livelli della valutazione di questa, particolare, prova dichiarativa non significa la formulazione di tre autonomi e distinti giudizi Sez. Un. 29.11.2012, Aquilina . Non v’è dubbio, infatti, che un profilo soggettivo non del tutto positivo non preclude un complessivo giudizio positivo, laddove gli aspetti inerenti al contenuto dichiarativo, e le conferme che lo stesso riceve aliunde, siano tali da fondarlo adeguatamente. La valutazione dei cd. riscontri esterni , da una parte, può concorrere a fondare un positivo giudizio sul dichiarante e sul contenuto dichiarativo, ma, dall’altra, deve essere condotta autonomamente, trattandosi di elemento necessariamente esterno alla fonte dichiarativa. Non è necessario si tratti di elementi idonei a provare il fatto ad esempio un testimone estraneo che abbia assistito al delitto , bensì si deve trattare di elementi - esterni al dichiarante - che costituiscano conferma al giudizio di veridicità delle dichiarazioni. In giurisprudenza, ora è divenuto principio consolidato Sez. Un. 30.5.06, Spennato, Rv. 234598 la necessità che i riscontri diano conferma in modo individualizzante , e cioè con riferimento, congiunto, al fatto e al soggetto accusato. Si deve rilevare che una dichiarazione di accusa può riguardare solo un determinato aspetto della condotta criminosa ad esempio procurare l’arma, raccogliere informazioni utili, partecipare all’agguato , e quindi ha carattere individualizzante l’elemento probatorio che - pur relativo a diverso aspetto della complessiva condotta criminosa - comunque ricollega il medesimo soggetto allo stesso reato. Un dato di fatto, pur accertato, ma generico non può costituire elemento di conferma della veridicità della chiamata di correo. Quanto al tipo di riscontri rilevanti, la norma fa riferimento a elementi di prova e quindi a tutto quanto possa - perché conforme alle norme di cui agli artt. 187-193 c.p.p. - essere utilizzato dal Giudice per fondare il proprio convincimento. È decisivo che il riscontro sia esterno al dichiarante sia in relazione della ratio propria della norma - chi è coinvolto nei fatti non è disinteressato - sia per il dato letterale altri elementi . 2. La sentenza impugnata ha ravvisato i necessari riscontri alle dichiarazioni accusatorie della signora S.L. nella documentazione medica e nelle dichiarazioni di testi, relative alle lesioni riportate dalla persona offesa, e nell’accertamento scientifico che ha rilevato la presenza di una traccia ematica, riconducibile all’imputato, sul vestito che la persona offesa aveva riferito di indossare al momento dell’aggressione. Si tratta di elementi che, se costituiscono conferma del racconto della persona offesa, peraltro non hanno la valenza di dare conferma all’accusa che attribuisce al ricorrente la responsabilità per le lesioni personali. Invero, la documentazione medica come le dichiarazioni testimoniali confermano l’effettività delle lesioni oggetto del racconto della dichiarante, ma nulla dicono circa l’attribuzione soggettiva di responsabilità delle stesse. La traccia ematica dell’imputato è un dato, di per sé, equivoco in quanto può riscontrare l’ipotesi di un contatto tra la donna e il ricorrente, circostanza che, pacificamente, non è unicamente riconducibile al contesto nel quale sarebbe avvenuto il fatto denunciato, data la frequentazione che i due da tempo avevano. Le sentenze di merito hanno infatti collegato il dato scientifico menzionato con l’affermazione della persona offesa secondo la quale quell’abito sarebbe stato da lei indossato solo in quella giornata, e mai in precedenza. La valenza di riscontro del risultato della prova scientifica dipende ancora, dunque, dalla dichiarazione della persona offesa, che rimane quindi l’unico elemento di prova specifica. 3. Il Collegio, quindi, ritiene che dalla stessa motivazione delle sentenze di merito emerga l’assenza di riscontri idonei a dare la conferma all’accusa formulata a carico del ricorrente, passaggio necessario, per la regola dettata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., al fine di poter fondare il giudizio di colpevolezza su dichiarazioni provenienti da persona indagata/imputata in procedimento connesso. Tale negativo giudizio comporta la necessaria affermazione di insussistenza del fatto ascritto all’imputato. 4. Va dunque pronunciato l’annullamento, senza rinvio, dell’impugnata sentenza perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196703 in quanto imposto dalla legge.