L’affidamento in prova e la concessione di un’opportunità per il reinserimento sociale

Il Tribunale di Sorveglianza, chiamato a decidere sull’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali, ha l’onere di acquisire di ufficio la relazione sull’osservazione della personalità del condannato, svolta nell’istituto, se del caso anche mediante rinvio dell’udienza.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 51186/18 depositata il 9 novembre. Il caso. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava, nei confronti dell’imputato, l’istanza di applicazione dell’affidamento in prova ai servizi sociali e di detenzione domiciliare, in considerazione dei precedenti penali a carico del soggetto. Avverso tale provvedimento ricorre l’imputato lamentando la circostanza che così facendo è stata pretermessa la disponibilità di un’opportunità lavorativa volta ad orientare il suo percorso di reinserimento sociale. L’affidamento in prova. Come già ribadito dal Supremo Collegio, il Tribunale di Sorveglianza è chiamato a decidere sull’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali, ha l’onere di acquisire di ufficio la relazione sull’osservazione del comportamento del condannato, svolta nell’istituto, se del caso anche mediante rinvio dell’udienza, non potendo la sua mancanza agli atti ricadere negativamente sull’interessato, sempre che il beneficio richiesto sia ammissibile e che il periodo di detenzione sofferto sia idoneo a consentire l’osservazione della personalità del detenuto e ad elaborare il programma di trattenimento . Quanto detto si applica anche al condannato che abbia richiesto tale misura alternativa in condizioni di libertà, dato che si riferisce la principale fonte informativa non alla relazione di sintesi dell’equipe penitenziaria quanto alla relazione socio-familiare dell’UEPE. Il domicilio dell’interessato. Inoltre, è doveroso ricordare che l’affidamento in prova al servizio sociale presuppone la continua reperibilità dell’interessato, sia prima dell’applicazione della misura, sia nel corso dell’esecuzione di essa, poiché solo tale condizione consente il contatto diretto fra l’affidato e il servizio sociale. Nel caso in esame, la circostanza che all’indirizzo specificato in sede di indicazione del domicilio corrispondesse un esercizio commerciale non costituiva, di per sé, un dato sufficiente ad affermare l’inidoneità dello stesso ai fini sopra indicati. Alla luce di quanto detto, la Suprema Corte accoglie il ricorso e annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 maggio – 9 novembre 2018, n. 51186 Presidente Tardio – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 3/11/2017, il Tribunale di sorveglianza di Palermo aveva rigettato, nei confronti di A.G. , l’istanza di applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare. Ciò in considerazione dei precedenti penali del condannato, gravato anche da un recente carico pendente per tentato furto, delle incomplete informazioni dell’U.E.P.E. sull’attività lavorativa allegata e della mancata allegazione di un domicilio fruibile in costanza di misura alternativa. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso A. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Giuseppe Galioto, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B e E , cod. proc. pen In particolare, la difesa del condannato lamenta, da un lato, la circostanza che sia stata pretermessa, ai fini del giudizio sulla idoneità della misura, la disponibilità di una valida opportunità lavorativa in grado di orientare il percorso di reinserimento sociale del richiedente, su cui l’U.E.P.E. avrebbe omesso di riferire tempestivamente e, dall’altro lato, che A. non sia stato ritenuto in possesso di un alloggio, laddove, al contrario, egli pernotterebbe presso un locale adibito a esercizio commerciale circostanza non riscontrata in quanto le relative verifiche sarebbero state effettuate nelle ore della giornata in cui egli è impegnato nello svolgimento della menzionata attività lavorativa. 3. In data 29/03/2018, il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato in Cancelleria la propria requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto. 2. Ai fini della concessione delle misure alternative alla detenzione, i precedenti penali, che pur rappresentano il punto di partenza per l’esame scientifico della personalità, così come le informative di polizia sui trascorsi del condannato non sono elementi sufficienti, da soli, a fondare un giudizio prognostico negativo circa il suo reinserimento nel contesto sociale, che deve essere affidato principalmente alla valutazione approfondita dei risultati emersi dall’osservazione della personalità, con particolare riferimento alla condotta intramuraria e a eventuali progressi conseguiti nel corso del trattamento Sez. 1, n. 6680 del 22/11/2000, dep. 15/02/2001, Saias, Rv. 218314 Sez. 1, n. 18437 del 5/04/2013, dep. 24/04/2013, Ottieri, Rv. 255850 Sez. 1, n. 775 del 6/12/2013, dep. 10/01/2014, Angilletta, Rv. 258404 , ovvero, nel caso in cui la richiesta sia stata formulata dal condannato in stato di libertà , alla disponibilità di risorse, personali e socio-ambientali, in grado di sostenere, con l’indispensabile ausilio dell’Ufficio di esecuzione penale esterna e dell’intera rete dei servizi sociali, il percorso di reinserimento del condannato. 3. Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale di sorveglianza sembra avere obliterato alcune di quei fondamentali strumenti di sostegno, compiendo una valutazione finale che, conseguentemente, si connota in termini di manifesta illogicità. Ciò è a dirsi, innanzitutto, per lo svolgimento dell’attività lavorativa, rispetto alla quale l’ordinanza impugnata mantiene un atteggiamento valutativo manifestamente perplesso, richiamando un precedente del datore di lavoro per un reato alimentare e sottolineando l’incompletezza dell’indagine socio-ambientale commissionata all’Ufficio d’esecuzione penale esterna. E analogamente, in relazione al profilo del domicilio, la difesa ha sottolineato come dalle informazioni di polizia sia emerso che all’indirizzo indicato nell’istanza di misura alternativa risultasse esservi l’accesso di un esercizio commerciale. 4. Osserva, nondimeno, il Collegio che in relazione all’attività lavorativa allegata il tribunale non ha tratto alcuna conseguenza dal dato, asetticamente riportato, del precedente a carico del datore di lavoro. Circostanza che avrebbe richiesto un ulteriore sforzo motivazionale, non essendo stato specificato se si trattasse di una condanna definitiva o di un precedente di polizia, né essendo stato precisato per quale motivo il dato informativo fosse rilevante, tenuto conto del fatto che esso risaliva al 1998. Sotto altro profilo, le concrete modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e il contesto in cui essa avrebbe dovuto essere prestata sarebbero potuti essere illustrati da quella indagine socio-lavorativa che pure era stata richiesta all’U.E.P.E., ma che non risultava pervenuta fino al momento della decisione del tribunale di sorveglianza. In proposito, invero, va ribadito il principio, già affermato in precedenti occasioni da questa Corte, secondo cui il tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere su istanza di affidamento in prova al servizio sociale, ha l’onere di acquisire di ufficio la relazione sull’osservazione del condannato, condotta in istituto, se del caso anche mediante rinvio dell’udienza, non potendo la sua mancanza agli atti ricadere negativamente sull’interessato, sempre che il beneficio richiesto sia ammissibile e che il periodo di detenzione sofferto sia idoneo a consentire l’osservazione della personalità del detenuto e ad elaborare il programma di trattamento Sez. 1, n. 48678 del 29/09/2015, dep. 9/12/2015, Correnti, Rv. 265428 . Principio, questo, ovviamente applicabile anche al condannato che abbia richiesto la misura in condizioni di libertà, dovendo conseguentemente riferirsi la principale, ancorché non esclusiva, fonte informativa non già alla relazione di sintesi dell’equipe penitenziaria quanto alla relazione socio-familiare dell’UEPE. 4.1. Quanto, infine, al profilo del domicilio, è pacifico che l’affidamento in prova al servizio sociale presupponga la continua reperibilità dell’interessato, sia prima dell’applicazione del beneficio che nel corso dell’esecuzione dello stesso, perché soltanto tale condizione consente il contatto diretto fra la persona fisica dell’affidato ed il servizio sociale cui, ai sensi dell’art. 47, comma 9, ord. penit., compete di controllare la condotta del soggetto e di aiutarlo a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale v. ex multis Sez. 1, n. 4322 del 24/06/1996, Messina Sez. 1, n. 4023 del 14/10/1992, De Barre . A tale fine è richiesto, dunque, che il condannato che richiede la misura abbia una dimora o un domicilio effettivo. Ma se questa è la funzione del domicilio, la sua idoneità va valutata in relazione alla osservanza e al controllo delle prescrizioni da imporre al condannato, concernenti appunto la fissazione di una dimora, i rapporti con il servizio sociale, la libertà di locomozione, il divieto di certe frequentazioni, il lavoro da svolgere, e quant’altro eventualmente necessario, in concreto, a prevenire un pericolo di recidiva Sez. 1, n. 622 del 18/12/2009, dep. 11/01/2010, Valbusa, Rv. 245988 e in motivazione . In questa prospettiva, la circostanza che all’indirizzo specificato in occasione della indicazione del domicilio corrispondesse un esercizio commerciale non costituiva, in sé considerata, un dato sufficiente a postulare la inidoneità dello stesso ai fini sopra indicati, salvo ovviamente il caso in cui esso fosse stato indicato in maniera soltanto fittizia. Ciò che però non risulta chiaramente riscontrato nel caso di specie, non essendo stato eseguito uno specifico accertamento in proposito, anche per la momentanea assenza dell’interessato, probabilmente impegnato nello svolgimento della ricordata attività lavorativa. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio, per nuovo esame sulle questioni sopra indicate, al Tribunale di sorveglianza di Palermo. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Palermo.