“Rudolph” in giardino per arricchire l’allestimento natalizio: è reato di pericolo presunto

Non è possibile detenere una renna nel proprio giardino giacché, prospettando un pericolo per la collettività, si configurerebbe il reato di cui all'art. 6, comma 1 l. n. 150/1992, fattispecie qualificata dalla Corte come reato di pericolo presunto, salvo il rilascio di una specifica autorizzazione.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 50137/18, depositata il 7 novembre. Un inconsueto allestimento natalizio. In vista del Natale un soggetto allestiva il proprio giardino in modo alquanto originale nella proprietà era presente una renna. Condotta che ha portato il proprietario dell’animale dinanzi al Tribunale territoriale. La Corte tuttavia assolveva l’imputato dal reato ex art. 6, comma 1 l. n. 150/1992 data la mancata dimostrazione della pericolosità della renna seppur nata in cattività. Avverso detta decisione il PM propone ricorso in Cassazione osservando che era da vietarsi la detenzione dell’animale che determinava un pericolo per l’incolumità pubblica, trattandosi appunto di reato di pericolo presunto. Un pericolo per la salute e l’incolumità pubblica. Gli Ermellini sottolineano che non è rilevante il fatto che la renna non avesse mai presentato alcuna problematica poiché l’elemento centrale della fattispecie concreta era da rinvenire nella natura stessa dell’animale, detenuto peraltro in un ambiente estraneo all’ habitat naturale. Dall’art. 6, comma 1 l. n. 150/1992 deve considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concerta nocività e sulle specifiche modalità di custodia . È da evidenziare dunque, che la Corte Territoriale ha erroneamente dato rilevanza all’indole docile dell’animale, elemento che non porta al superamento del divieto ex lege infatti, un allevamento autorizzato di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale è l’unica situazione che giustifica la detenzione di particolari specie animali selvatiche. La Suprema Corte, alla luce dei principi esposti, dovendo considerare la renna detenuta dall’imputato come potenziale pericolo per la pubblica incolumità, annulla la sentenza impugnata e rinvia gli atti alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 settembre – 7 novembre 2018, n. 50137 Presidente Rosi – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4 dicembre 2017 il Tribunale di Asti ha assolto V.A. dal reato di cui all’art. 6, comma 1, della legge 7 febbraio 1992, n. 150, perché il fatto non costituiva reato stante la mancata dimostrazione della pericolosità della renna, detenuta dall’imputato per un allestimento natalizio senza che l’animale, nato in cattività, avesse mai palesato alcuna problematica. 2. Avverso la predetta decisione il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Asti, ha proposto ricorso immediato per cassazione articolato su un motivo di impugnazione. In particolare, è stato osservato che doveva considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia, trattandosi di reato di pericolo presunto. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato. 4.1. Non è in contestazione, stante l’espressa affermazione operata in sentenza, che la renna rientri nell’elenco degli animali potenzialmente pericolosi per la salute e per l’incolumità pubblica. In detta categoria sono invero compresi art. 1 decreto del Ministro dell’Ambiente 19 aprile 1996 tutti gli esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici ovvero provenienti da riproduzioni in cattività che in particolari condizioni ambientali e/o comportamentali possono arrecare con la loro azione diretta effetti mortali o invalidanti per l’uomo o che non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione possono trasmettere malattie infettive all’uomo . 4.1.1. Ciò posto, e tenuto conto che, a norma dell’art. 6, comma 1, della legge 150 del 1992 cit., è in genere vietato a chiunque detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica, il ricorrente ha correttamente ricordato che deve considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia in specie si trattava di canguri, appunto inclusi dal D.M. 19 aprile 1996 nell’elenco di quelli da ritenere pericolosi Sez. 3, n. 26127 del 19/05/2005, Allegri, Rv. 231999 . Tutto ciò a meno che non si sia in possesso di una autorizzazione all’allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale rilasciata dalla regione ai sensi dell’art. 17 legge 11 febbraio 1992 n. 157 in specie cinghiali, Sez. 3, n. 16674 del 20/02/2003, D’Andrea, Rv. 224071 . 4.2. Al contrario, il provvedimento impugnato ha inteso valorizzare la sola circostanza, di per sé ininfluente, che l’animale, nato in cattività, non fosse concretamente pericoloso. In definitiva, quindi, gli elementi evidenziati non sono tali da superare il divieto di legge, sanzionato in via contravvenzionale. 5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, quindi, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte di Appello di Torino a norma dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino.