Non configurabile il reato di percosse senza contatto diretto con la vittima

Una donna provava a bloccare l’intervento dell’elettricista, intervenuto sul suo pianerottolo, scuotendo la scala. Per la caduta dell'uomo è stata ritenuta, in secondo grado, responsabile civilmente, e obbligata a versare 3mila euro alla vittima del capitombolo. Di parere diverso, però, la Cassazione, che ritiene illogico parlare di percosse”, poiché tra le due persone non vi è stato alcun contatto fisico diretto.

Ha scosso la scala e ha provocato la caduta della persona che la stava utilizzando per effettuare alcuni lavori sul pianerottolo. Condotta censurabile, quella tenuta da una donna, ma non sufficiente per ritenerla responsabile sul fronte civile del reato di percosse” Cassazione, sentenza n. 48322/18, sez. V Penale, depositata il 23 ottobre . Contatto. Scenario dell’assurdo episodio, risalente al gennaio del 2011, è un pianerottolo in un palazzo nella zona di Reggio Calabria. Protagonisti un uomo e una donna lui sale su una scala per controllare una cassetta di derivazione dei contatti elettrici , lei – che ha l’appartamento proprio su quel piano – è contraria, vuole impedire quell’intervento e così pensa bene di dare un piccolo colpo alla scala. Immaginabili le conseguenze l’uomo perde l’equilibrio e finisce a terra. La donna finisce invece sotto processo, accusata del reato di percosse . In primo grado il Giudice di pace fa cadere ogni contestazione. Opposta, invece, la visione dei Giudici del Tribunale, i quali dichiarano la donna responsabile civilmente di percosse ai danni dell’uomo e la condannano a provvedere ad un adeguato risarcimento dei danni , quantificato in 3mila euro . A fare chiarezza provvede ora la Cassazione, che salva la donna, escludendo si possa ipotizzare il reato di percosse . Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, dalla ricostruzione dell’episodio è emerso che la donna ha scosso la scala su cui si trovava l’uomo , e ciò significa che tra i due non vi è stato alcun contatto fisico diretto , mentre la caduta si è verificata solo a seguito del movimento impresso alla scala . Questi elementi sono sufficienti per escludere il reato di percosse , che è connesso al diretto esercizio di energia fisica su altra persona e presuppone, quindi, un contatto fisico diretto , escluso in questa vicenda. A salvare la donna, quindi, proprio il fatto che ella si sia limitata a smuovere la scala utilizzata dall’uomo .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 giugno – 23 ottobre 2018, n 48322 Presidente Vessichelli – Relatore Zaza Ritenuto in fatto 1. Ma. Be. ricorre avverso la sentenza del 26 gennaio 2017 con la quale il Tribunale di Reggio Calabria, in riforma della sentenza assolutoria del Giudice di pace di Reggio Calabria dell'8 ottobre 2012 e in accoglimento dell'appello proposto dalla parte civile, dichiarava la Be. civilmente responsabile del reato di percosse commesso il 22 gennaio 2011 in danno di Vi. Ma., condannandola al risarcimento dei danni in favore della parte civile. L'imputata era in particolare ritenuta responsabile di aver scosso la scala sulla quale il Ma. era salito per controllare una cassetta di derivazione dei contatti elettrici sita nel vano del pianerottolo ove si affacciava l'abitazione della Be., al fine di impedire tale intervento, così cagionando la caduta della persona offesa. 2. La ricorrente propone tre motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla ritenuta ammissibilità dell'appello della parte civile, osservando che ai sensi dell'art. 576 cod proc. pen. tale appello può investire le sole disposizioni della sentenza di proscioglimento che, avendo autorità di giudicato nel giudizio sulla pretesa risarcitoria, investano gli interessi civili della parte, e che tanto non ricorreva nel caso di specie, in cui con la sentenza di primo grado l'imputata era assolta per non costituire il fatto reato. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla configurabilità del reato, ritenendola esclusa dalla mancanza di alcun contatto fisico fra la persona offesa e l'imputata, che nella ricostruzione del fatto accolta nella sentenza impugnata si limitava a toccare la scala su cui si trovava il Ma. non vi sarebbe peraltro prova che la caduta di quest'ultimo sia stata determinata dalla condotta dell'imputata e non da altre circostanze. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla quantificazione del danno, liquidato nell'importo di Euro 3.000 in mancanza di prova del patimento fisico subito dalla persona offesa, difettando alcuna certificazione medica, e del pregiudizio morale, la cui sussistenza non sarebbe motivata. Considerato in diritto 1. Il motivo dedotto sulla ritenuta ammissibilità dell'appello della parte civile è infondato. La tesi del ricorrente, per la quale l'art. 576 cod proc. pen. limiterebbe l'appello della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento alle disposizioni della stessa che costituiscano giudicato sulla pretesa risarcitoria, non trova in realtà alcun riscontro nel contenuto della norma. La stessa, nella prima parte del primo periodo del comma 1, restringe la facoltà di impugnazione della parte civile per la sentenza di condanna, riconoscendola peri soli capi della sentenza che riguardino l'azione civile ma nella seconda parte, quanto alla sentenza di proscioglimento, non pone invece alcuna limitazione nell'oggetto della predetta facoltà, precisando unicamente che la stessa può essere esercitata ai soli effetti della responsabilità civile. Nessuna distinzione è in particolare ravvisabile, nella previsione normativa dell'appellabilità della sentenza, fra le formule con le quali il proscioglimento sia stato pronunciato e non è pertanto escluso, per quanto qui interessa, l'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, come del resto implicitamente ritenuto in una pronuncia di legittimità Sez. 5, n. 31904 del 2/07/2009, Rubertà, Rv. 244499 . 2. E' invece fondato il motivo dedotto sulla configurabilità del reato. Nella stessa ricostruzione dei fatti accolta nella sentenza impugnata, la condotta contestata è descritta nell'aver l'imputato scosso la scala sulla quale al persona offesa si trovava. Non è pertanto in discussione che non vi sia stato alcun contatto fisico diretto fra la Be. e il Ma. la cui caduta si verificava, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito in base alle dichiarazioni dei testi Ma. e D’Am., solo a seguito del movimento in tal modo impresso alla scala. Il termine percosse , che denota il reato previsto dall'art. 581 cod. pen., pur non dovendosi intendere nel suo stretto significato lessicale, riferito alle azioni del colpire , del picchiare o simili, è comunque associato, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, al diretto esercizio di energia fisica su altra persona Sez. 3, n. 43316 del 30/09/2014, R., Rv. 260988 , ovvero, nelle definizioni più ampie, ad una violenta manomissione dell'altrui persona Sez. 5, n. 38392 del 17/05/2017, Moraldi, Rv. 271122 Sez. 5, n. 4272 del 14/09/2015, dep. 2016, De Angelis, Rv. 265629 Sez. 5, n. 51085 del 13/06/2014, Battistessa, Rv. 261451 . Tanto presupponendo la necessità di un contatto fisico diretto fra il soggetto agente e la vittima. Nel caso di specie, la condotta accertata non presentava all'evidenza tali caratteristiche, avendo l'azione dell'imputata attinto non la persona del Ma., ma solo la scala utilizzata dallo stesso. Nel fatto non si rinvengono pertanto gli estremi del reato contestato. 3. La sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata senza rinvio agli effetti civili, revocandosi le relative statuizioni e rimanendo assorbito l'ulteriore motivo di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti civili con revoca delle relative statuizioni.