Rapina con pistola giocattolo: riconosciuta l’aggravante dell’uso dell’arma

Respinto il ricorso presentato dall’uomo finito sotto accusa per il colpo in una tabaccheria. Decisivo il fatto che il giocattolo riproducente un’arma fosse privo di tappo rosso.

Colpo in tabaccheria. Per portare a termine la rapina viene utilizzata una ‘pistola giocattolo’. Questo elemento è sufficiente per riconoscere anche l’aggravante dell’uso di un’arma e rendere così la condanna più dura Corte di Cassazione, sentenza n. 46946, sez. II Penale, depositata il 16 ottobre Tappo . Respinto in Cassazione il ricorso proposto dall’uomo sotto accusa per furto di autovettura e rapina in una tabaccheria. Riflettori puntati soprattutto sull’aggravante dell’arma. Su questo punto è netta la contestazione mossa dal difensore che, a fronte della valutazioni compiute dal Gip prima e dalla Corte d’appello poi, sottolinea che il suo cliente aveva in mano una pistola giocattolo. Questo elemento però non è sufficiente, ribattono i Giudici del Palazzaccio, per escludere l’aggravante dell’uso dell’arma. Ciò perché il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un’arma, sprovvisto di tappo rosso, non è previsto dalla legge come reato , mentre si parla di rilevanza penale quando il giocattolo riproducente un’arma, sprovvisto di tappo rosso, viene usato in un delitto , come una rapina, ad esempio. In questo caso, è stato accertato l’uso della pistola giocattolo, priva di tappo rosso , da parte dell’uomo, nella realizzazione della rapina in tabaccheria. Confermata, quindi, in via definitiva la condanna, così come fissata in Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 luglio – 16 ottobre 2018, n. 46946 Presidente Diotallevi – Relatore Verga Motivi della decisione Ricorre per Cassazione GA. Ro. avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste che il 6.2.2017 ha confermato la sentenza del GIP del Tribunale di Pordenone che il 30.3.2016 lo aveva condannato per furto aggravato di autovettura e rapina in danno di Sa. Um. Deduce il ricorrente 1. Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di furto. Ammette di avere saputo di essersi recato presso la tabaccheria dove era stata perpetrata la rapina da lui confessata, ma esclude di avere partecipato al furto 2. Violazione di legge in ordine alla sussistenza dell'aggravante dell'arma considerato che si trattava di arma giocattolo 3. Difetto di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e all'entità della pena Il primo motivo di ricorso è palesemente inammissibile in quanto il ricorrente ha proposto doglianze che si riflettono esclusivamente sui criteri di valutazione del materiale indiziario, puntualmente delibato dei giudici del gravame i quali hanno offerto - su tutti i punti della vicenda, ora nuovamente rievocati dal ricorrente - una motivazione del tutto esauriente, contestabile solo proponendo una non consentita lettura alternativa dei fatti. Correttamente è stata ritenuta l'aggravante dell'uso dell'arma. Il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un'arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato. L'uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l'uso o porto di un'arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un'arma, sprovvisto di tappo rosso, sia usato nei delitti di rapina aggravata Cass SSUU n. 3394 del 1992 Rv. 189520 . Nel caso in esame è stato accertato in fatto l'uso nella realizzazione della rapina di un'arma giocattolo priva di tappo rosso. Con riguardo al terzo motivo deve rilevarsi che la motivazione offerta dai giudici a quibus in tema di diniego delle attenuanti generiche e di valutazione della congruità del trattamento sanzionatorio applicato in prime cure si rivela del tutto coerente e congrua, a fronte di doglianze aspecifiche, dedotte sul punto in sede di ricorso. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 2.000,00 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende