Il giudice di pace non può applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto

Nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace non trova applicazione la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p

Lo ha ribadito la Suprema Corte con la sentenza n. 40171/18, depositata il 7 settembre. La vicenda. Il Tribunale di Siracusa confermava la sentenza di condanna del Giudice di Pace per concorso nel reato di lesioni personali, nonché il risarcimento del danno a favore della parte civile. Avverso la pronuncia ricorre per cassazione la difesa che lamenta il travisamento delle dichiarazioni del teste oltre alla violazione di legge per la mancata applicazione dell’art. 131- bis c.p In applicabilità della causa di esclusione della punibilità. La prima censura si rivela inammissibile in quanto mira alla rivalutazione del materiale probatorio, preclusa all’accertamento di legittimità. La motivazione offerta dal giudice siciliano si sottrae ad ogni censura in quanto fondata su un approfondito e coerente percorso motivazionale, incentrato sulla valutazione critica delle dichiarazioni della persona offesa costituitasi in giudizio come parte civile. In relazione al secondo motivo di ricorso, il Collegio ricorda che, come precisato dalle Sezioni Unite della medesima Corte sentenza n. 53683/17 , la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131- bis c.p. non trova applicazione nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace. Difatti, il rapporto tra l’art. 131- bis c.p. e l’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 non va risolto sulla base del principio di specialità tra singole norme, dovendo prevalere la peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace, nel cui ambito la tenuità del fatto svolge un ruolo anche in funzione conciliativa . Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 maggio – 7 settembre 2018, n. 40171 Presidente Palla – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe il tribunale di Siracusa confermava la sentenza con cui il giudice penale di Siracusa, in data 10.7.2015, aveva condannato C.P. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato, in favore della costituita parte civile, A.E. , in relazione al reato ex artt. 81, cpv., 582, c.p., in rubrica ascrittogli. 2. Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando 1 il travisamento delle dichiarazioni rese dal teste P. e della prova documentale, rappresentata dalla certificazione medica in atti, in quanto il giudice di appello ha tenuto conto unicamente conto della testimonianza della persona offesa, smentita proprio dal P. , teste indicato dalla stessa parte civile, il quale ha dichiarato che il contatto con il braccio fu lieve, escludendo qualsiasi strattonamento, spinta o comportamento comunque violento. Da ciò deriva, ad avviso del ricorrente, l’inattendibilità della versione dei fatti fornita dal del querelante 2 . violazione di legge, in relazione al disposto dell’articolo 131 bis, c.p., non essendo condivisibile l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale causa di non punibilità non è applicabile al procedimento per i reati di competenza del giudice di pace. Il ricorrente ritiene tale approdo ermeneutico non condivisibile per tre ordini di ragioni. Innanzitutto, la qualificazione da parte della Corte di Cassazione della particolare tenuità del fatto come una causa di non punibilità, limiterebbe il margine operativo dell’articolo 530, comma 3, c.p.p. escludendone l’applicabilità nei procedimenti penali innanzi al giudice di pace, in assenza di una disposizione normativa che stabilisca espressamente una siffatta deminuitio, come tale incostituzionale. Inoltre, si verrebbe a creare una irragionevole disparità di trattamento tra questa causa di non punibilità e le altre, nonché a stabilire, sulla base di una mera interpretazione giurisprudenziale e non per dettato legislativo, che una norma penale non può essere applicata in un processo penale. Infine, il ricorrente esclude che l’articolo 34 del D.Lgs. n. 274/2000 e l’articolo 131- bis c.p. possano porsi in un rapporto di specialità, atteso che i due istituti sono connotati da presupposti giuridici diversi l’uno dall’altro infatti, da una parte v’è una causa di non procedibilità, istituto di natura prettamente procedurale, dall’altra, una causa di non punibilità, istituto di ordine sostanziale. Con motivi aggiunti depositati il 9.5.2018, il ricorrente reitera le proprie doglianze, riportando, in conformità al principio dell’autosufficienza del ricorso, le dichiarazioni del teste P. , nonché ribadendo la la propria tesi sull’applicabilità del disposto dell’articolo 131 bis, c.p. nel procedimento innanzi al giudice di pace, nonostante il recente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite Penali di questa Corte. 3. Il ricorso va rigettato 4. Inammissibile appare il primo motivo di ricorso, in quanto con esso l’imputato propone una mera e del tutto generica rivalutazione del compendio probatorio operata dal giudice di secondo grado, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione sulla sussistenza degli elementi costitutivi delle fattispecie di reato in contestazione in cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289 , nel caso in esame fondata su di un approfondito e coerente percorso motivazionale, incentrato sulla valutazione critica delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, costituita parte civile, che, come è noto, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, rv. 253214 , Sotto questo profilo la genericità del primo motivo di ricorso si apprezza anche sul versante della riproposizione acritica delle stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame con la cui motivazione sul punto, involgente entrambi i profili censurati in questa sede ed immune da vizi, il ricorrente non si confronta cfr. pp. 13 , per cui i rilievi difensivi devono considerarsi non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 - 13.1.1998, n. 256, rv. 210157 Cass., sez. V, 27.1.2005 - 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708 Cass., sez. V, 12.12.1996, n. 3608, rv. 207389 . Va, infine, ribadito il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nozione di malattia , giuridicamente rilevante, comprende qualsiasi alterazione anatomica o funzionale che innesti un significativo processo patologico, anche non definitivo vale a dire, qualsiasi alterazione anatomica che importi un processo di reintegrazione, pur se di breve durata. Pertanto il trauma contusivo, come quello accertato nel caso in esame, consistente in una contusione escoriata arto superiore destro , ritenuta guaribile in tre giorni in uno con una crisi ipertensiva da stato di agitazione , che determina una, sia pur limitata, alterazione funzionale dell’organismo, è riconducibile alla nozione di malattia, integrando il reato di lesione personale volontaria cfr. Cass., sez. V, 26.4.2010, n. 22781, rv. 247518 Cass., sez. VI, 13.1.2010, n. 10986, rv. 246679 . 5. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso. Decisiva, al riguardo, è la circostanza che, dirimendo un contrasto insorto tra le Sezioni di questa Corte, le Sezioni Unite hanno affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’articolo 131 bis, c.p., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace. Come precisato dalla Corte il rapporto tra l’articolo 131 bis c.p., e l’articolo 34 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, non va risolto sulla base del principio di specialità tra le singole norme, dovendo prevalere la peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace, nel cui ambito la tenuità del fatto svolge un ruolo anche in funzione conciliativa cfr. Cass., Sez. U., 22.6.2017, n. 53683, rv. 271587 . A tale approdo, giova ribadire, il Supremo Collegio è giunto, non sostituendosi alla volontà del Legislatore, ma attraverso l’esercizio dei potere di interpretazione della legge affidato dalla Costituzione agli organi giurisdizionali, secondo la finalità tipica della Suprema Corte, di assicurare la nomofilachia, vale a dire l’uniforme interpretazione della legge. 4. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso del C. va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.