Legittima la notifica del decreto penale di condanna a mani della madre convivente

Laddove l’imputato destinatario del decreto penale di condanna non sia reperibile presso la propria abitazione, la notifica può avvenire nella mani della persona convivente, del portiere o di chi ne fa le veci.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40077/18, depositata il6 settembre. Il fatto. Il GIP del Tribunale di Torre Annunziata ha rigettato per tardività l’opposizione a decreto penale di condanna presentata dall’imputata condannata per essersi posta alla guida di un mezzo sequestrato, di cui lei era stata nominata custode. L’imputata ricorre in Cassazione dolendosi per la ritenuta natura penale della condotta, che avrebbe costituito a suo dire un mero illecito amministrativo, nonché per la nullità della sentenza per nullità della notifica del decreto penale di condanna effettuata a mezzo del servizio postale nella mani della madre convivente in assenza dell’invio della raccomandata informativa. Notifica. La Corte di legittimità analizza la seconda censura che si pone come assorbente rispetto alla prima. La notifica del decreto penale di condanna, dalla quale decorre il termine di 15 giorni per la proposizione dell’opposizione al GIP, deve essere eseguita mediante consegna di copia alla persona. Laddove però l’imputato non sia reperibile presso la propria abitazione, la notifica può avvenire nella mani della persona convivente, del portiere o di chi ne fa le veci. L’ufficiale giudiziario può avvalersi anche del servizio postale secondo regole analoghe. Nel caso di specie, la Corte sottolinea la regolarità della notifica perché effettuata a mani della madre convivente con la destinataria, soggetto pacificamente abilitato dall’ordinamento a ricevere la notifica. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 dicembre 2017 – 6 settembre 2018, n. 40077 Presidente Cavallo – Relatore Ciriello Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 04.04.2017 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torre Annunziata ha rigettato, ritenendola tardiva, l’opposizione a decreto penale di condanna, presentata dall’imputata D.L.L. , condannata, ai sensi dell’art. 349, comma 2, c.p., per essersi posta alla guida di un mezzo sottoposto a sequestro amministrativo, di cui la stessa era stata nominata custode. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata, tramite il proprio difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento. 2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge, in cui sarebbe incorso il Giudice di merito, non pervenendo alla sentenza di assoluzione, ex art. 129 c.p.p., nonostante il fatto non costituisse reato, ma mero illecito amministrativo giacché l’utilizzo del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo da parte del custode comporterebbe l’applicazione della norma speciale di cui all’art. 213 del Codice della Strada, speciale rispetto alla norma penale di cui agli artt. 349, comma 2, e 334 c.p., con irrilevanza penale della condotta . 2.2. Con il secondo motivo di ricorso la difesa deduce il vizio di violazione di legge processuale prevista a pena di nullità in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, omettendo di rilevare la nullità della notifica del decreto penale di condanna, avvenuta a mezzo servizio postale nelle mani della madre convivente, senza il rispetto dell’adempimento di cui all’art. 7, comma 6, l. 890/92, che prevede l’invio di una raccomandata informativa ove la notifica non sia avvenuta personalmente. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato e va, pertanto, dichiarato inammissibile sulla base delle considerazioni che seguono. 3.1. Assorbente e di pregnante rilevanza risulta la seconda censura mossa dalla ricorrente, che, dunque, andrà trattata per prima, essendo destinata a produrre effetti anche sul primo motivo rassegnato. Com’è noto, l’art. 461, comma 1, c.p.p., stabilisce che l’imputato, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna, può, entro 15 giorni dalla notifica dello stesso, proporre opposizione innanzi il GIP competente. La notifica del decreto penale di condanna, inoltre, ai sensi dell’art. 157, comma 1, c.p.p., dovrà essere eseguita quando si tratti di prima notificazione all’imputato non detenuto mediante consegna di copia alla persona . Tuttavia, stabilisce il codice, laddove l’imputato non sia reperibile nella propria abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa -, la notifica può avvenire nelle mani di persona anche non stabilmente convivente, ovvero del portiere o di chi ne fa le veci. L’Ufficiale Giudiziario, poi, a norma delle disposizioni contenute nella Legge 20 novembre 1992, n. 890, art. 1, comma 1, può avvalersi del servizio postale ai fini dell’espletamento del procedimento di notificazione. La notifica a mezzo posta segue, in relazione all’individuazione del soggetto legittimato a ricevere la notificazione in luogo del destinatario assente, regole analoghe a quelle stabilite dall’art. 157 c.p.p., sicché se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni , ex art. 7, comma 2, Legge 20 novembre 1992, n. 890. 3.2. Orbene, nel caso di specie, si deve dare atto della regolarità della notifica. Infatti la stessa, effettuata a mezzo servizio postale, come espressamente consentito dalla legge, è avvenuta, per assenza della ricorrente nella propria abitazione, nelle mani della madre convivente, soggetto abilitato dall’ordinamento a ricevere la notifica in luogo dell’imputato. Appare, pertanto, evidente la correttezza della decisione adottata dal Gip presso il Tribunale di Torre Annunziata, essendo stato notificato il decreto penale di condanna in data 02.03.2017 e risultando inviata la raccomandata informativa dall’ufficiale postale il giorno 2.3.2017 ed essendo stata interposta opposizione solo in data 27.03.2017, ovvero ben 10 giorni oltre la scadenza del termine di cui all’art. 461 c.p.p., sicché l’impugnazione si configura inevitabilmente come tardiva. 3.3. Del tutto infondata appare, poi, la censura mossa dall’imputata in ordine alla sua presunta non conoscenza dell’atto, atteso che la stessa non ha allegato al ricorso alcun fatto dal quale possa desumersi l’effettiva mancanza di cognizione. La ricorrente, infatti, asserita l’ignoranza incolpevole dell’atto, avrebbe dovuto, al fine di non esperire una opposizione evidentemente tardiva, chiedere la restituzione in termini, allegando elementi in grado di giustificare l’effettiva mancata conoscenza, restando in capo al GIP adito l’obbligo di verificarne la consistenza e la congruità. È onere del ricorrente, infatti, dedurre circostanze specifiche ostative della conoscenza effettiva del provvedimento, restando così precluso l’accertamento da parte del giudice. Nel caso di specie, tuttavia, l’imputata non propone profili di doglianza da cui inferire che ella non ebbe mai conoscenza del provvedimento, la cui notificazione è stata regolarmente effettuata nelle mani della madre capace e convivente, instando per una sua eventuale restituzione nel termine utile per impugnarlo Cfr. Cass. Pen., Sez. V, Sent. 24.10.2016, n. 1386, Cass. Pen., Sez. III, Sent. 19.07.2017, n. 41559 . Va ribadito, inoltre, come già affermato in molteplici pronunce, che non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente cfr. Cass. Pen., Sez. VI, Sent. del 11.11.2016, n. 53169 . 4. Per le ragioni appena esposte, il ricorso deve dichiarato inammissibile. Il primo motivo resta assorbito, atteso che, il carattere processuale della seconda censura mossa nel ricorso, non permette un esame della questione prospettata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.