Quando l’omesso versamento di contributi e imposte integra anche bancarotta

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

La Quinta Sezione Penale, con la pronuncia in commento sentenza n. 40100/18 depositata il 6 settembre , nel dettaglio ha ritenuto che l’omesso sistematico pagamento delle obbligazioni tributarie e contributive, che concorra a cagionare il fallimento della società, integra il delitto di bancarotta fraudolenta impropria. Alle origini il fallimento. Al socio accomandatario illimitatamente responsabile e amministratore di una società dichiarata fallita viene contestata la bancarotta fraudolenta documentale, nonché quella fraudolenta societaria per aver cagionato il fallimento della società mediante operazioni dolose, che, nel caso di specie, sarebbero stato integrate dall’omesso sistematico adempimento delle obbligazioni tributarie e di quelle contributive verso gli enti previdenziali, arrivando a maturare un debito complessivo vicino ai due milioni di euro. Il Tribunale di Milano ed in secondo grado la Corte di Appello ritengono integrata da tali condotte la fattispecie di cui all’art. 223 l. fall La sentenza della Corte di appello viene fatta oggetto di ricorso per Cassazione da parte della difesa dell’imputato. I motivi a supporto del ricorso per Cassazione. Evidenzia il ricorrente, a supporto della propria impugnazione, come al fine di ritenersi integrato il delitto di bancarotta impropria non sia sufficiente la commissione di una operazione dolosa, essendo, per contro, necessario che al momento della realizzazione della condotta il fallimento rappresentasse una conseguenza da un lato prevedibile da parte del soggetto agente e che dall’altro lato detta conseguenza potesse essere evitata in concreto. Sotto un primo profilo quindi – osserva il difensore dell’imputato – l’autore della condotta deve essere consapevole della natura dolosa della operazione e volerla, rappresentandosi altresì contestualmente l’evento fallimentare come conseguenza della azione antidoverosa dal medesimo realizzata. Sotto un secondo profilo poi – prosegue la difesa - il fallimento doveva essere concretamente evitabile da parte dell’imputato. Si sostiene nel ricorso che, per contro, nel caso in esame, il fallimento era stato determinato da una crisi di liquidità non prevedibile determinata da un mancato pagamento di lavori effettivamente eseguiti, dalla ditta dell’imputato, presso una casa di cura. L’imputato, prosegue il ricorrente, aveva proseguito la attività per tentare di risanare i conti pagando in nero” i dipendenti, creditori privilegiati e dunque non aveva in alcun modo voluto ledere gli interessi dei creditori, né era stato in alcun modo consapevole del fatto che la propria condotta omissiva potesse cagionare il fallimento della società, determinato da altre ragioni. In relazione, infine, alla contestazione di bancarotta documentale osserva il ricorrente come la contabilità fosse tenuta da tre anni da un commercialista esterno, cui andrebbe imputata anche l’ulteriore contestazione di indebita compensazione ai sensi dell’art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000, per cui pure vi era stata condanna da parte dei giudici di merito. I considerata della Cassazione. I motivi di ricorso inducono gli Ermellini a diverse interessanti riflessioni relative alla struttura del delitto di bancarotta fraudolenta impropria determinata da operazioni dolose, cioè la fattispecie di cui all’art. 223, comma 2, n. 2 l. fall Sotto un primo profilo osserva la Corte di Cassazione come sia consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, l’orientamento secondo cui non sia interrotto il nesso di causalità tra le operazioni dolose ed il fallimento né dalla preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, applicandosi ovviamente anche al caso di specie la disciplina generale in tema di causalità di cui all’art. 41 c.p., né dal fatto che le operazioni dolose abbiano cagionato anche solo l’aggravamento della causa di dissesto già in atto. Sotto un secondo profilo si interrogano gli Ermellini su quale sia l’elemento soggettivo necessaria ad integrare la fattispecie astratta oggetto di esame. Sul punto osserva la Cassazione che il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, in conseguenza l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare. Sotto un ultimo profilo argomenta la Quinta Sezione penale che vero è che anche il consulente fiscale può essere responsabile a titolo di concorso per la violazione tributaria commessa dal cliente quando in modo seriale, attraverso l'elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione sia stato consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ha beneficiato solo il cliente. Ma certamente non può andare esente da responsabilità l'imprenditore che abbia posto in essere la frode, soprattutto se non è in grado di dimostrare la sua estraneità al progetto criminoso che viene in qualche modo semplicemente scaricata” sul commercialista. Le conclusioni della Cassazione. Le argomentazioni sopra dettagliate inducono la Cassazione a dichiarare inammissibile il ricorso. Sotto un primo profilo risulta infatti dimostrato il sistematico e consapevole omesso versamento di contributi previdenziali e di imposte per quasi due milioni di euro, condotta posta in essere dall’imputato che senza dubbia ha – se non cagionato - quanto meno aggravato lo stato di dissesto. Indubbio, altresì, che detta condotta, cosciente e volontaria, aumentando ingiustificatamente l’esposizione verso gli enti previdenziali e lo stato abbia reso astrattamente prevedibile il verificarsi dello stato di dissesto ed il conseguente fallimento. Risulta pertanto sussistente, nel caso in esame, sia il nesso causale – con irrilevanza della crisi di liquidità cagionata da un mancato pagamento di un cliente – sia l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall Sotto un ultimo profilo, poi, l’esistenza di un commercialista esterno, del quale peraltro l’imputato nel corso del giudizio di merito non aveva neppure indicato le generalità, non può escludere la responsabilità né per la bancarotta fraudolenta documentale né per il delitto di indebita compensazione. Ne consegue la totale inammissibilità del proposto ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento di euro 2.000 alla cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 giugno – 6 settembre 2018, numero 40100 Presidente Vessichelli – Relatore Scotti Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 5/12/2017 ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 16/2/2016, appellata dall’imputato, che aveva ritenuto Z.A. responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale e di cagionato fallimento tramite operazioni dolose ex artt. 223, comma 1, 216, comma 1, numero 2, 223, comma 2, 219, comma 2, numero 1 legge fall. capo A e del reato di cui all’articolo 10 quater d.lgs.10/3/2000 numero 74 capo B e l’aveva perciò condannato alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, previa unificazione dei due reati sotto il vincolo della continuazione e con la concessione delle attenuanti generiche prevalenti, con le pene accessorie di legge. Con il capo A era stato imputato allo Z. , nella sua qualità di socio accomandatario illimitatamente responsabile e di amministratore della società AZ Multiservice di Z.A. & amp c., dichiarata fallita in data 16/11/2011, di aver sottratto e distrutto libri e scritture contabili della società allo scopo di procurarsi ingiusto profitto e di danneggiare i creditori e comunque di aver tenuto libri e scritture in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, nonché di aver cagionato il fallimento della società con operazioni dolose, in particolare omettendo sistematicamente il pagamento delle obbligazioni tributarie e delle obbligazioni contributive verso gli enti previdenziali con la maturazione di un debito complessivo di Euro 1.818.914. Con il capo B era stato contestato allo Z. di non aver versato l’IVA per l’anno di imposta 2009 entro il termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo, utilizzando in compensazione crediti non spettanti per Euro 62.005,00. 2. Ha proposto ricorso l’avv.Roberto Grittini, difensore di fiducia dell’imputato, svolgendo quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod.proc.penumero , il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione al reato di bancarotta impropria. Non era sufficiente la commissione di una operazione dolosa in sé, ma era anche necessario che al momento della relativa commissione il fallimento rappresentasse una conseguenza prevedibile ed evitabile in concreto. L’autore della condotta deve essere consapevole della natura dolosa dell’operazione e volerla, e deve rappresentarsi l’evento fallimentare come effetto dell’azione antidoverosa realizzata. Una crisi di liquidità rappresentava una causa di forza maggiore capace di escludere la volontà del soggetto di omettere il versamento dei tributi dovuti. La responsabilità penale dell’imputato era stata ravvisata sulla base della mera causazione materiale del fallimento, senza la prova di una sua effettiva volontà di ledere gli interessi dei creditori e della sua consapevolezza che dalla condotta posta in essere potesse scaturire il fallimento. L’imputato aveva pagato in nero i lavoratori, creditori privilegiati, pur di continuare a lavorare. Decisivo era risultato il mancato pagamento di un consistente credito di Euro 200.000 per lavori eseguiti e non pagati presso la Casa di Cura OMISSIS . 2.2. Con il secondo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero , il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli elementi fondanti la responsabilità penale dell’imputato per i reati di cui al capo A . La valutazione di irrilevanza del pagamento in nero dei lavoratori, espressa dalla Corte era contraddittoria invece il pagamento di creditori privilegiati era dirimente ai fini della sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato. Quindi il ricorrente ripete le stesse circostanze già esposte nel contesto del primo motivo. Era mancata la motivazione circa le rappresentate oggettive difficoltà nel recupero dei crediti derivanti dall’attività lavorativa della società. In relazione alla contestata bancarotta documentale, la teste V. , segretaria per tre anni, aveva riferito che le fatture venivano portate da un commercialista esterno. Tutta la documentazione contabile e fiscale in possesso dell’imputato era stata consegnata al curatore. 2.3. Con il terzo motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod.proc.penumero , il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione all’articolo 10 quater d.lgs.74/200. Il mancato versamento per illegittima compensazione doveva trovare la sua base della prova del carattere indebito della compensazione stessa. La documentazione contabile e fiscale era tenuta da consulenti esterni, sicché l’imputato non doveva rispondere del loro operato per mera mancata vigilanza, e la documentazione da lui posseduta era stata consegnata al curatore. 2.4. Con il quarto motivo, proposto ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero , il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al capo di imputazione sub B , riprendendo le considerazioni esposte nel precedente motivo. 3. In data 21/6/2018 l’avv.Grittini, difensore dell’imputato, ha dichiarato la propria intenzione di aderire alla astensione proclamata dall’Unione Camere Penali per il 25/6/2018. Il Procuratore generale si è opposto al rinvio. La Corte, preliminarmente, ha respinto l’istanza di rinvio perché il codice di autoregolamentazione non consente l’astensione se il reato per cui si procede si prescrive entro 90 giorni e perché il reato di cui all’articolo 10 quater del d.lgs.10/3/2000 numero 74 capo B , contestato con riferimento alla data del 27/12/2010, veniva a prescriversi il 27/6/2018, in difetto di sospensioni del decorso della prescrizione. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione al reato di bancarotta impropria. 1.1. Il ricorrente osserva che non era sufficiente la commissione di una operazione dolosa in sé, ma era anche necessario che al momento della sua commissione il fallimento rappresentasse una conseguenza prevedibile ed evitabile in concreto l’autore della condotta deve infatti essere consapevole e volere la natura dolosa dell’operazione e rappresentarsi l’evento fallimentare come effetto dell’azione antidoverosa realizzata. Aggiunge il ricorrente che una crisi di liquidità rappresenta una causa di forza maggiore idonea ad escludere la volontà del soggetto di omettere il versamento dei tributi dovuti che la responsabilità penale dell’imputato era stata ravvisata sulla base della mera causazione materiale del fallimento, senza la prova di una sua effettiva volontà di ledere gli interessi dei creditori e della consapevolezza che dalla sua condotta potesse scaturire il fallimento che l’imputato aveva pagato in nero i lavoratori, creditori privilegiati, pur di continuare a lavorare che decisivo era risultato il mancato pagamento di un consistente credito di Euro 200.000 per lavori eseguiti presso la Casa di Cura OMISSIS . 1.2. L’articolo 223, comma 2, numero 2, della legge fallimentare assoggetta alla pena prevista dal primo comma dell’articolo 216 della stessa legge gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite, che abbiano cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società. 1.3. Secondo l’orientamento costante di questa Corte, a cui il Collegio intende garantir continuità, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’articolo 41 cod.penumero né il fatto che l’operazione dolosa contestata abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto Sez. 5, numero 40998 del 20/05/2014, Concu e altro, Rv. 262189 Sez. 5, numero 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051 Sez. 5, numero 17690 del 18/2/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247316 Sez. 5, numero 19806 del 28/3/2003, Negro ed altri, Rv. 224947 . 1.4. Un costante orientamento di questa Corte, dedicato alla tecnica di autofinanziamento mediante sistematico ricorso all’omissione del pagamento di imposte e contributi, afferma che in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’articolo 223, comma 2, numero 2, l. fall. possono consistere nel mancato versamento dei contributi previdenziali praticato con carattere di sistematicità Sez. 5, numero 15281 del 08/11/2016 - dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046 Sez. 5, numero 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492 Sez. 5, numero 12426 del 29/11/2013 - dep. 2014, P.G. e p.c. in proc. Beretta e altri, Rv. 259997 . In particolare, le operazioni dolose di cui all’articolo 223, comma 2, numero 2, l. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale che non discende direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione , ma da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. Sez. 5, numero 47621 del 25/09/2014, Prandini e altri, Rv. 261684 in applicazione del principio, è stata ritenuta corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società . Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare Sez. 5, numero 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247315 Sez. 5, numero 45672 del 01/10/2015, Lubrina e altri, Rv. 265510 . 2.5. La Corte milanese, circa l’avvenuto pagamento in nero di fornitori e lavoratori in via preliminare ha osservato che tale circostanza non era affatto provata con osservazione di per sé dirimente e comunque non censurata in modo pertinente e specifico dal ricorrente. In ogni caso la Corte di appello ha decisivamente escluso anche la rilevanza dell’addotta circostanza di fatto, visto che l’imputazione mossa allo Z. non concerneva la distrazione di risorse aziendali. Piuttosto, sotto il profilo oggettivo, al Corte milanese ha valorizzato il dato della omissione sistematica del versamento di tributi e contributi previdenziali a far data dal 2003 con l’accumulo di un passivo fallimentare di 1.600.000 Euro e ha giustamente considerato irrilevante l’eventuale collegamento dell’andamento negativo aziendale anche alla mancata soddisfazione di un rilevante credito verso un cliente, che costituisce, pur sempre, uno scenario prevedibile nella vita di una impresa. Il ricorrente non contesta e non confuta il ragionamento della Corte territoriale e neppure il carattere di sistematicità delle omissioni contributive addebitategli, né ipotizza uno epilogo alternativo della sua strategia di autofinanziamento mediante omissione del pagamento dei debiti contributivi rispetto all’esito fallimentare, agevolmente prevedibile e in concreto scaturito. Il motivo è quindi inammissibile. 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli elementi fondanti la responsabilità penale dell’imputato per i reati di cui al capo A . 2.1. Il ricorrente, insiste sul fatto che la valutazione di irrilevanza del pagamento in nero dei lavoratori, espressa dalla Corte, sarebbe contraddittoria invece il pagamento di creditori privilegiati sarebbe dirimente ai fini della sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato. Il ricorrente dovrebbe spiegare invece perché il fallimento non sia la conseguenza del mancato sistematico pagamento dei debiti contributivi, mentre a tal proposito è irrilevante la diversa circostanza che egli, sia pur irregolarmente, abbia pagato le spettanze retributive ai lavoratori, fatto questo né dimostrato, né dedotto con indicazioni specifiche e autosufficienti della fonte di prova invocata. 2.2. Quindi il ricorrente ripete le stesse circostanze già esposte nel contesto del primo motivo e ribadisce la mancanza della motivazione circa le rappresentate oggettive difficoltà nel recupero dei crediti derivanti dall’attività lavorativa della società. Al proposito occorre ricordare che la Corte territoriale si è conformata al consolidato e già rammentato orientamento di questa Corte, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, fondato sulla disciplina del concorso causale di cui all’articolo 41 cod.penumero , secondo il quale il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare non è giuridicamente interrotto né dalla preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, né dal fatto che l’operazione dolosa contestata si sia limitata ad aggravare un dissesto già in atto. 2.3. In relazione alla bancarotta documentale, il ricorrente sostiene che la teste V. , segretaria per tre anni, aveva riferito che le fatture venivano portate da un commercialista esterno e ribadisce che tutta la documentazione contabile e fiscale in possesso dell’imputato era stata consegnata al curatore. Il motivo è palesemente inammissibile per difetto di specificità e pertinenza. L’imputato era amministratore di diritto e di fatto e socio al 95% della società, in posizione assolutamente dominante, e, come ritenuto dai Giudici milanesi, deve rispondere delle gravi carenze riscontrate nella tenuta della contabilità, non essendo certamente sufficiente a esimerlo da responsabilità l’esistenza di consulenti esterni, in difetto di qualsiasi prova di un loro comportamento abusivo,air dettami e alle richieste dell’amministratore, per vero neppur allegato. 3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione all’articolo 10 quater d.lgs. 74/200. Il mancato versamento fondato su di una compensazione illegittimamente opposta dal contribuente doveva basarsi sulla prova del carattere indebito della compensazione stessa. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al capo di imputazione sub B , riprendendo le considerazioni esposte nel precedente motivo. 3.1. I motivi strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente e sono palesemente inammissibili. 3.2. In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’articolo 10-quater del d.lgs. numero 74 del 2000, per credito non spettante si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile ovvero non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario Sez. 3, numero 36393 del 07/07/2015, Ghirlandini, Rv. 265014 . Il delitto di indebita compensazione di cui all’articolo 10-quater, d.lgs. 10/3/2000, numero 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente giustificato da una illegittima compensazione, ex articolo 17 d.lgs. 9/7/1997, numero 241, operata tra le somme spettanti all’erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti Sez. 3, numero 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 26305101 In ogni caso il ricorrente neppure si confronta con la specifica e dirimente ragione addotta dalla Corte territoriale, basata sulla deposizione del funzionario T. dell’Agenzia delle Entrate, ossia che il credito IVA, asseritamente riveniente dall’anno precedente, opposto in compensazione nel 2009 per Euro 62.000, era del tutto inesistente, visto che nell’anno precedente il 2008, quindi la società non aveva neppure presentato la dichiarazione fiscale. 3.3. Il ricorrente aggiunge che la documentazione contabile e fiscale era tenuta da consulenti esterni, sicché l’imputato non doveva rispondere del loro operato per mera mancata vigilanza, e la documentazione da lui posseduta era stata consegnata al curatore. La responsabilità del commercialista è addotta in modo del tutto generico, senza neppur indicarne il nominativo e prospettare le ragioni dell’esclusiva responsabilità di siffatto, non meglio precisato, consulente e tantomeno le ragioni dell’esonero da responsabilità dell’imputato, che certamente non poteva ignorare, quale legale rappresentante e amministratore della società, di non aver presentato nell’anno precedente la dichiarazione fiscale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di reati tributari, se è vero che anche il consulente fiscale può essere responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente Sez. 3, numero 1999 del 14/11/2017 - dep. 2018, Addonizio, Rv. 272713 , certamente non può esimersi da responsabilità l’imprenditore che abbia posto in essere la frode, specie in totale difetto di allegazione e dimostrazione della propria pretesa estraneità al progetto criminoso ascritto al commercialista. 4. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 cod.proc.penumero al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte cost. 13/6/2000 numero 186 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.