La calunnia, anche quella processuale, è un “venticello”: limiti e portata della causa di non punibilità

La causa di non punibilità di cui all’art. 598 c.p. non si applica allorché l’esposizione infedele, contenuta negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative, sia espressa con la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato integri un fatto costitutivo di illecito penale, essendo in tal caso del tutto irrilevante la circostanza di aver agito nell’espletamento di una condotta difensiva.

La scriminante di cui all’art. 51 c.p. e la causa di non punibilità di cui all’art. 598 c.p. operano su piano tra loro differenti, la seconda non escludendo l’antigiuridicità del fatto ma solo l’applicazione della pena e ricomprendendo anche condotte di offesa non necessarie purché inserite nel contesto difensivo, la prima ricollegandosi invece all’esercizio del diritto di difesa e richiedendo il requisito della necessarietà. È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 39918/2018, depositata il 4 settembre scorso. La vicenda trae origine da un’azione esecutiva il cui evolversi è ben descritto nella ricostruzione fattuale resa dalla Corte. Condannato in primo e secondo grado l’imputato, egli, a mezzo del proprio difensore forma ricorso per cassazione in cui deduce due motivi di nullità della pronuncia l’uno costituito da manifesta illogicità della stessa ex articolo 606 lettera e c.p.p. e l’altro rilevando l’errata applicazione di norma in relazione al disposto degli artt. 51, 55 e 598 c.p La pronuncia in commento si sofferma sul secondo dei motivi di gravame, ritenendolo manifestamente infondato. L’art. 598 del codice penale. Il comma primo della disposizione indicata recita non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa . La ratio della previsione di cui all'art. 598, comma 1, viene fatta consistere nell'esigenza di garantire alle parti ed ai loro patrocinatori la libertà di discussione e difesa, qualificandosi quale vera e propria immunità giudiziale. Tra le varie forme di qualificazione giuridica di questa immunità” la giurisprudenza oscilla talvolta indicandola quale causa di giustificazione talaltra quale causa di non punibilità. La pronuncia in commento accede a questa seconda tesi identificando l’esimente quale causa di non punibilità, ovvero causa che incide non sull'illiceità del fatto, ma solo sull'applicazione in concreto della sanzione. Ora da detta qualificazione giuridica e dagli effetti che da essa dipendono e discendono, e sulla scorta di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 128/1979, emerge con chiarezza come la funzione della norma sia diversa rispetto a quella attribuita dal sistema all’esercizio del diritto di difesa posto che all’art. 589 c.p. è attribuita la capacità di escludere la punibilità in concreto per un fatto comunque considerato e capace di rivestire integralmente i connotati del fatto illecito tipico. Fatto illecito tipico che diviene perfettamente integrato ove i limiti previsti e dettati dall’art. 589, comma 1, c.p. venissero superati così come pacificamente dimostrato dal tenore del secondo comma della norma in commento che attribuisce al giudice la possibilità di applicare provvedimenti disciplinari o ordinare il compimento delle attività di cui all'art. 598, comma 2. La Corte, sollecitata dal ricorrente, si interroga circa il rapporto intercorrente tra la scriminante introdotta dall’art. 51 c.p L’articolo 51 c.p La scriminante in parola, ma per vero tutte le scriminati, opera e dispiega i propri effetti solo ed esclusivamente allorché il soggetto che ne invoca la sussistenza si trovi in condizioni tali dal non poter agire diversamente rispetto alla necessità, assoluta, di tutelare diritti” di rango costituzionale pari a quelli oggetto di aggressione. Dunque l’agente deve trovarsi innanzi ad una sorta di impossibilità, vera o presunta ovviamente facendo riferimento alle ben note teorie elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di scriminanti putative, di agire diversamente. Ovvio che la situazione di pericolo atta a giustificare l’invocata scriminante, non debba essere causata da scelte” volontarie e non obbligate, ovvero dalla volontà di esporsi liberamente e senza alcun obbligo, al pericolo medesimo. Lo scritto difensivo seppur con i limiti dettati dalla natura del commento, appare evidente come l’art. 589 e l’art. 51 c.p. non abbiano una stessa matrice” regolamentando e presiedendo a differenti situazioni e funzioni. La seconda riferendosi ad atti obbligati”, a condotte ritenute indispensabili ed ineludibili, la prima invece a condotte che si ritiene siano necessarie ai fini di esercitare al meglio il diritto di difesa. Siamo dunque nel campo delle scelte Scelte che ben possono consentire di far riferimento ed uso di condotte di offesa non necessarie ma che, per essere coperte dalla causa di non punibilità debbono essere pur sempre inserite nel contesto difensivo”. Contesto difensivo che un’interpretazione letterale potrebbe far coincidere con l’atto difensivo medesimo, scritto o orale che sia, rendendo quindi sempre coperte da non punibilità tutte le espressioni in esso contenute ma che, proprio sulla scorta di quanto disposto dall’articolo 589 c.p., deve necessariamente essere inteso in senso differente. Il problema è dunque relativo al come identificare se le espressioni di offesa non necessarie possano dirsi inserite nel contesto difensivo dell’atto. Sorregge in punto il concetto di eccentricità” ovvero quella valutazione, di merito, che consente al giudice di verificare se esse siano connesse o meno all’oggetto del contendere ed alla necessità di difendere, ovvero esse devono comunque essere legate ai fatti oggetto del procedimento in modo diretto e ad esso non estraneo. Così si erano già espressi gli Ermellini Cass. V, n. 6495/2005 in una pronuncia risalente che, a quanto mi risulta, costituisce espressione di principio giurisprudenziale solido e ribadito da una pronuncia assai più recente Cass. V, n. 3115/2011 con la quale si è ri-affermato come la causa di non punibilità non trovi applicazione per i casi di affermazioni calunniose contenute negli scritti, né per le offese rivolte al giudice del procedimento . Dunque, come direbbe un nativo americano . occhio alla penna.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 giugno – 4 settembre 2018, n. 39918 Presidente Paoloni – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. C.G. ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Messina del 15 giugno 2012 che lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione in ordine al delitto di calunnia ex art. all’art. 368 cod. pen., ha rideterminato la pena in un anno e mesi sei di reclusione condizionalmente sospesa. 1.1. Al ricorrente, avvocato della Fondiaria Sai, era stato contestato di aver affermato falsamente, per mezzo della comparsa di costituzione depositata in data 11 luglio 2009 nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Messina, che il fascicolo della procedura esecutiva immobiliare n. 93/05, promossa dalla Fondiaria Sai nei confronti di F.R. , era sparito ed erano state inutili le ricerche per quasi due anni, finché decorso guarda caso il termine di cinque anni dall’atto di donazione, il fascicolo della procedura esecutiva è riapparso, tanto inopinatamente quanto misteriosamente come era comparso circostanza falsa poiché il fascicolo, non rinvenuto all’udienza del 23 giugno 2008, era stato rinvenuto dalla cancelleria il 7 agosto 2008, tanto che era stata fissata una nuova udienza il 27 aprile 2009 - in tal modo accusando implicitamente B.I. , coniuge del F.R. del reato di cui all’art. 351 cod. pen. in concorso con ignoti. 1.2. La condotta contestata a C. si inquadra nell’ambito di un giudizio di opposizione all’esecuzione promosso da B.I. , consigliere della Corte d’appello di Catania. Con sentenza del 16 dicembre 2003, il Tribunale di Firenze aveva condannato F.R. , marito di B.I. e già agente generale della Fondiaria Sai, a pagare Euro 25.000,00 circa alla compagnia assicurativa. Con atto di precetto la Fondiaria Sai aveva intimato a F. il pagamento della somma e con successivo atto di pignoramento in data 25 novembre 2005, erano stati sottoposti a pignoramento immobiliare alcuni beni a questi asseritamente riconducibili. Avverso detto pignoramento B.I. aveva proposto opposizione di terzo dinanzi al Tribunale civile di Messina, con ricorso del 12 febbraio 2009, rilevando la sua esclusiva proprietà di uno degli immobili pignorati, la cui quota era stata in precedenza donata dal consorte, richiedendo, oltre alla dichiarazione di nullità ed inefficacia della garanzia reale, il riconoscimento dei danni cagionati dalla compagnia per non aver diligentemente accertato la titolarità del bene in capo al debitore. Con l’atto in data 11 luglio 2009 il ricorrente aveva affermato quanto in sintesi sopra riportato in ordine alla contestazione oggetto di condanna. 2. Il ricorrente formula due distinti motivi. 2.1. Con il primo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza ex art. 606, lett. e , cod. proc. pen. La circostanza che la procedura esecutiva intrapresa avesse subito notevoli ed ingiustificati ritardi con conseguente concreto danno per il creditore che non aveva potuto rimediare all’atto di disposizione del bene immobile nelle more posto in essere da F.R. in favore di B.I. , aveva indotto il ricorrente, utilizzando espressioni colorite , ad esprimere le proprie doglianze e manifestare il proprio disappunto. Nella comparsa di risposta non vi era alcuna specifica accusa nei confronti della parte offesa ma, a seguito dell’enunciazione dei numerosi rinvii ottenuti dal debitore per ottenere una transazione, aveva rappresentato l’anomala scomparsa del fascicolo che, seppur rinvenuto in meno di due anni, aveva comunque determinato un ulteriore ritardo della procedura tale da impedire l’utile esercizio dell’azione revocatoria per la decorrenza dei termini. Erra la Corte territoriale allorché afferma che il termine quinquennale ex art. 2903 cod. civ. per proporre l’azione revocatoria sarebbe comunque decorso essendo la donazione intervenuta il 18 giugno 2003 e spirato il termine all’udienza del 23 giugno 2008 in cui non era stato rinvenuto il fascicolo , in quanto l’art. 619 cod. proc. civ., che regola l’opposizione di terzo nel corso della procedura esecutiva, richiede che questi, se intende fare falere nel corso di detta procedura la proprietà o altro diritto reale su beni pignorati, può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita, con conseguente necessita che B.I. presentasse l’opposizione prima dell’udienza del 23 giugno 2008 evenienza che avrebbe consentito agli interessati di venire a conoscenza della dismissione della quota del bene immobile e, di conseguenza, poter agire tempestivamente attraverso l’azione revocatoria. Tali elementi non consentono di ritenere congrua la motivazione in ordine alla consapevolezza del ricorrente circa la fondatezza delle affermazioni contenute nella comparsa incriminata, tenuto conto della scarsa credibilità della circostanza, su cui è stata fondata la sussistenza dell’elemento soggettivo, secondo cui la parte offesa, soggetto interessato, non fosse a conoscenza delle vicissitudini giudiziarie inerenti ad una procedura esecutiva nei confronti del coniuge. 2.2. Violazione degli artt. 51, 55, 598 cod. pen. in relazione all’art. 606, lett. b , cod. proc. pen. L’effettiva scomparsa del fascicolo all’udienza del 23 giugno 2008 dimostra che il ricorrente non avesse la certezza della falsità delle accuse. Anche a voler ritenere superati i limiti della continenza, può essere imputata la sola imprudenza connessa all’impegno profuso dal difensore che, a mente dell’art. 55 cod. pen., non consente di ritenere sussistente la fattispecie di cui all’art. 368 cod. pen., delitto non punito a titolo di colpa. Si reputa, in via gradata, sussistente l’esimente di cui all’art. 598 cod. pen., che per giurisprudenza recente costituisce applicazione estensiva del principio contenuto nell’art. 51 cod. pen. in quanto riconducibile all’art. 24 Cost. che tutela la libertà di discussione delle parti contendenti. Considerato in diritto 1. Il ricorso si caratterizza per genericità oltre che per manifesta infondatezza e se ne deve, quindi, dichiarare l’inammissibilità. 2. Deve in proposito farsi specifico rinvio a giurisprudenza di questa Corte secondo cui è inammissibile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 581, comma 1, lett. c , e art. 591, comma 1, lett. c , il ricorso per cassazione fondato, su motivi che ripropongono acriticamente stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai giudici del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838 . 2.1. Nei motivi di ricorso il ricorrente deduce carenze della motivazione e sua illogicità quanto a sussistenza del necessario elemento soggettivo, oltre ad osservare che la motivazione resa in ordine all’ipotizzata possibilità di poter comunque procedere all’azione revocatoria nei confronti della donazione effettuata dal coniuge della parte offesa, sarebbe stata preclusa della disciplina dell’art. 619 cod. proc. civ Si osserva come la Corte distrettuale ha esplicitamente risposto alle deduzioni che, anche in quella sede, erano tese a negare la sussistenza dell’elemento soggettivo. 2.2. La ricostruzione effettuata da parte della Corte d’appello in ordine alla vicenda in esame ha messo in luce come il ricorrente, nel corpo della comparsa di costituzione, avesse messo in risalto il ruolo di magistrato in servizio presso la Corte d’appello di Catania della parte offesa, stigmatizzandone la condotta processuale in quanto ritenuta dilatoria e tesa a far decorrere il termine quinquennale per esercitare l’azione revocatoria ex art. 2903 cod. civ. condotta realizzatasi per mezzo di una trattativa portata avanti pretestuosamente, evidenziando la scomparsa del fascicolo della procedura per due anni che si affermava, fosse ricomparso tanto inopinatamente quanto misteriosamente . 2.3. Tali elementi, unitamente alla constatata falsità della circostanza che il fascicolo fosse stato ritrovato dopo due anni, essendo stato invece rinvenuto dopo appena un paio di mesi, al complessivo ritardo nella celebrazione dell’udienza di complessivi dieci mesi, all’irrilevanza di tale circostanza ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria, comunque preclusa nell’ipotesi in cui l’udienza del 23 giugno 2008 si fosse celebrata regolarmente attesa l’intervenuta decorrenza del termine quinquennale scaduto il 18 giugno precedente, in uno all’invio di un esposto di identico contenuto al CSM anche quanto a falsi riferimenti cronologici per censurare la condotta del magistrato sotto il profilo disciplinare, ha logicamente condotto i giudici di merito a ritenere che con l’atto di costituzione il ricorrente avesse inteso incolpare B.I. della scomparsa del fascicolo. Proprio il riferimento effettuato nella comparsa di costituzione alla dedotta impossibilità che B.I. non fosse a conoscenza dell’azione esecutiva che gravava sul coniuge, aveva consentito di individuare la stessa quale autrice della condotta. 2.4. Logicità della motivazione che non viene meno con il riferimento alla disciplina dell’art. 619 cod. proc. civ. che si assume implicasse la necessità da parte di B.I. di costituirsi prima dell’udienza ai fini della sua utile opposizione di terzo nel corso della procedura esecutiva, condotta che avrebbe consentito agli interessati di venire a conoscenza della circostanza ed agire tempestivamente con la revocatoria. Al riguardo, onde valutare la manifesta infondatezza del rilievo, si rinvia al chiaro tenore dell’art. 619 cod. proc. civ. che al primo comma prevede, quale limite temporale entro il quale il terzo possa costituirsi, la disposta vendita o assegnazione del bene, testualmente affermando che il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni . Tanto confortato da datata e pacifica giurisprudenza Sez. 2, n. 2664 del 26/05/1978, Anker Data c/ Bonomelli Rv. 392029 secondo cui l’opposizione tardiva di terzo di cui all’art. 620 cod. proc. civ. può essere proposta finché non sia stato compiuto l’atto di distribuzione della somma ricavata dalla vendita e, essendo tale atto compiuto soltanto con l’esecuzione dell’ordine di pagamento della somma impartito dal giudice dell’esecuzione, deve ritenersi ammissibile il ricorso in opposizione depositato in cancelleria prima che il giudice abbia emesso detto provvedimento, principio di diritto anche confermato da più recenti arresti di questa Corte in materia Sez. 3, n. 24271 del 30/11/2010, Rv. 614884 Sez. 3, n. 3136 del 08/02/2008, Rv. 601678 . 3. Manifestamente infondato si rileva quanto dedotto in ordine alla violazione degli artt. 51, 55, 598 cod. pen 3.1. In proposito la Corte territoriale ha puntualmente argomentato attraverso l’esplicito riferimento a principi di diritto, da questa Corte condivisi, secondo cui l’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. - per cui non sono punibili le offese contenute negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative - non si applica allorché l’esposizione infedele espressa con la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato integri un fatto costitutivo di illecito penale calunnia , essendo, in tal caso, del tutto irrilevante la circostanza di avere agito nell’espletamento di condotta difensiva Sez. 5, n. 31115 del 30/06/2011, Farumi, Rv. 250587 . Deve tra l’altro rilevarsi come, a differenza di quanto dedotto dal ricorrente, non risulta pertinente il riferimento alla presunta comune matrice esistente tra l’art. 51 cod. pen. e l’art. 598 cod. pen., tenuto conto che la causa di non punibilità prevista dall’art. 598 cod. pen. e la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. operano su piani tra loro differenti la prima non escludendo l’antigiuridicità del fatto ma solo l’applicazione della pena e ricomprendendo anche condotte di offesa non necessarie, purché inserite nel contesto difensivo la seconda ricollegandosi, invece, all’esercizio del diritto di difesa e richiedendo il requisito della necessarietà ed il rispetto dei limiti di proporzionalità e strumentalità In applicazione del principio, la Corte ha precisato che le offese non punibili ai sensi dell’art. 598 cod. pen. sono solo quelle che si riferiscono all’oggetto della causa ed hanno una qualche finalità difensiva Sez. 5, n. 14542 del 07/03/2017 - dep. 24/03/2017, Palmieri, Rv. 26973401 . 3.2. Da quanto sopra complessivamente considerato, in applicazione dei principi di diritto citati, si rileva che i giudici di merito, con motivazione adeguata e logica hanno escluso l’applicazione dell’art. 598 cod. pen. rilevando come le prospettazioni contenute nella comparsa di costituzione non fossero funzionali alla difesa tecnica, posto che il termine per la proposizione della revocatoria era comunque decorso e l’unica funzione dell’atto difensivo fosse quello di porre in essere un attacco gratuito alla sfera personale della controparte. Essendo state ritenute eccentriche le espressioni utilizzate dal ricorrente rispetto all’esercizio del diritto di difesa e difettando per questo motivo il requisito della necessarietà ed il rispetto dei limiti di proporzionalità e strumentalità, manifestamente infondata si rivela la deduzione che, inoltre, non si confronta con quanto puntualmente argomentato in proposito dai giudici di merito, riproponendo, di fatto, analoghi profili fondati sulla asserita mancanza del necessario dolo specifico del delitto di calunnia. 4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima adeguata di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.