Violenza sessuale: l’aver desistito non rende l’episodio meno grave

Definitiva la condanna nei confronti di un uomo, ritenuto colpevole di stalking e violenza sessuale nei confronti della donna con cui aveva avuto una relazione. Respinta la linea difensiva, finalizzata a ridimensionare l’episodio come “fatto non grave”.

Si è presentato nudo e armato di coltello davanti alla sua ex ragazza, chiedendole - in maniera minacciosa - di fare sesso. Poi, però, davanti al rifiuto da lei opposto alle sue richieste, l’uomo ha desistito. La conclusione del bruttissimo episodio non è sufficiente, osservano i Giudici del Palazzaccio, per parlare di “fatto lieve”. Confermata perciò la condanna pronunciata in appello trenta mesi di reclusione per l’uomo, colpevole di “stalking” e “violenza sessuale” Cassazione, sentenza numero 39331, sez. III Penale, depositata oggi . Coartazione. Ricostruita nei dettagli la vicenda, riguardante il complicato rapporto tra l’uomo e la donna dopo la rottura della loro relazione. Inquietante, in particolare, l’episodio che ha visto lui «presentarsi davanti alla sua ex completamente nudo e brandendo un coltello» per «richiedere prestazioni sessuali». Il quadro probatorio a disposizione è ritenuto sufficiente, sia in Tribunale che in Corte d’Appello, per arrivare a una condanna dell’uomo per i reati di “stalking” e “violenza sessuale”. La pena decisa in secondo grado, ossia trenta mesi di reclusione, viene contestata dall’avvocato dell’uomo, il quale sottolinea che il proprio cliente, una volta giunto dinanzi alla sua ex, «ha desistito», proprio «in considerazione del rifiuto di lei» e della loro «relazione amorosa». Secondo il legale l’episodio va valutato come “fatto non grave”, con connessa riduzione della pena. Questa visione viene però respinta dai Giudici della Cassazione, i quali ritengono decisive, come già evidenziato in appello, «le modalità particolarmente violente dell’azione, connotata dal minaccioso utilizzo di un coltello e dalle ribadite, insistenti ed ossessive pretese amorose, a loro volta inserite nel quadro dell’ascritto delitto di stalking». E questa valutazione non può essere scalfita, spiegano i Giudici, dal richiamo all’«esito in sé tutto sommato modesto della vicenda», anche perché tale “circostanza” ha comunque «inciso favorevolmente sul trattamento sanzionatorio complessivo» nei confronti dell’uomo. Per i Giudici, infine, «l’utilizzo del coltello come arma e comunque come strumento di coartazione» pone in secondo piano «ogni eventuale differente valutazione, legata anche alla precedente relazione tra i due protagonisti, relazione sfociata comunque in un deleterio clima di intimidazioni e molestie ai danni della giovane, proseguito tra l’altro anche dopo l’episodio di violenza».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 luglio – 31 agosto 2018, numero 39331 Presidente Savani – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’11 ottobre 2017 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del 23 novembre 2016 del Tribunale di Alessandria e ritenuta la prevalenza delle circostanze attenuanti, ha rideterminato in anni due mesi sei di reclusione la pena inflitta a M.D. per i reati di cui agli articolo 81, 612-bis comma 1, 609-bis e 609-ter numero 2 cod. penumero in danno di O.M.T.F 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su un motivo di impugnazione. 2.1. In particolare, il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento del fatto di lieve entità il D. si era presentato davanti alla vittima completamente nudo e brandendo un coltello, al fine di richiedere prestazioni sessuali infine consistite nel toccamento dell’organo genitale femminile, e comunque aveva desistito dalla prosecuzione, in seguito e nell’immediatezza, in considerazione del rifiuto della giovane donna, alla quale era stato legato da relazione amorosa . 3. Il Procuratore Generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. In relazione al motivo di censura, è insegnamento ripetuto che, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'articolo 609-bis, ultimo comma, cod. penumero , deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità ad es. Sez. 3, numero 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., RV. 266272 cfr. altresì Sez. 4, numero 16122 del 12/10/2016, dep. 2017, L., RV. 269600 . In specie, i Giudici del merito hanno correttamente e concordemente negato l’invocata attenuante di cui all’ultimo comma dell’articolo 609-bis cod. penumero , assumendone la preclusione in considerazione delle modalità particolarmente violente dell’azione, connotata dal minaccioso utilizzo di un coltello e dalle ribadite, insistenti ed ossessive pretese amorose, a loro volta inserite nel quadro dell’ascritto delitto di cui all’articolo 612-bis, comma 1, cod. penumero Ciò, naturalmente, a prescindere dall'esito in sé tutto sommato modesto della vicenda, circostanza che comunque ha inciso favorevolmente sul trattamento sanzionatorio complessivo, data la prevalenza infine riconosciuta, in sede di comparazione, alle concesse attenuanti. L’utilizzo del coltello come arma e comunque come strumento di coartazione, all’evidenza, è tale da assorbire - alla stregua del richiamato principio, che questa Corte non ha ragione di disattendere - ogni eventuale differente valutazione, in tesi legata anche alla precedente relazione tra i due protagonisti sfociata comunque in un deleterio clima di intimidazioni e molestie ai danni della giovane, proseguito tra l’altro anche dopo l’episodio di violenza . 5. La manifesta infondatezza dell’impugnazione non può che condurre quindi all’inammissibilità del ricorso. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. penumero , l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.