Definitiva la sanzione nei confronti di un uomo e di una donna 300 euro di ammenda a testa. Essi hanno lasciato che i quadrupedi presenti nella loro villetta abbaiassero senza sosta in orario notturno, arrecando fastidio alle famiglie del vicinato.
I cani abbaiano ripetutamente di notte? Il loro comportamento è comprensibile, mentre va censurato l’atteggiamento dei proprietari, che non fanno nulla per impedire che vengano disturbate le famiglie del vicinato. Consequenziale e legittima la condanna dei padroni per “disturbo della quiete pubblica”, con pena fissata in 300 euro di ammenda a testa Cassazione, sentenza numero 38901, sezione terza penale, depositata oggi . Fastidio. I fatti oggetto di processo coprono un periodo lungo quasi due anni, dal giugno 2013 all’aprile 2015. Sotto accusa un uomo e una donna, che «hanno detenuto presso la loro villetta alcuni cani che abbaiavano continuamente nella notte, impedendo il riposo e le occupazioni delle persone residenti nelle adiacenze». A dare sostanza alle lamentele dei vicini di casa della coppia ci sono anche i riscontri effettuati da un vigile urbano e da un poliziotto, senza dimenticare, poi, un esposto firmato da ben trentuno persone. Il quadro è chiaro, secondo i giudici del Tribunale, e sufficiente per pronunciare la condanna della coppia, puniti con «300 euro di ammenda a testa». Questa visione è condivisa ora dalla Cassazione. Anche per i magistrati del Palazzaccio, difatti, gli elementi probatori a disposizione sono di facile lettura «la prova del superamento della soglia della normale tollerabilità» dell’abbaiare dei quadrupedi «è desunta dalle deposizioni testimoniali di tre vicini di casa, di un vigile urbano e di un poliziotto», e quest’ultimo, in particolare, «accertò non solo che gli animali abbaiavano e che in casa non vi era nessuno, ma anche che sul cancello dell’abitazione vi era un cartello con la scritta “Sono una mamma, i cani abbaiano a molto tempo”». Una volta accertato che «l’abitazione dove erano i cani» è «nell’esclusiva disponibilità» dell’uomo e della donna, se ne può dedurre la loro colpevolezza per il fastidio arrecato al vicinato dai quadrupedi. A questo proposito, i giudici tengono a sottolineare che «il dovere d’impedimento di strepiti di animai deriva dal mero possesso degli animali medesimi, a prescindere dal formale titolo di proprietà, essendo l’obbligo di impedimento collegato all’effettiva signoria sugli animali» Indiscutibile, infine, «la diffusività del rumore, ben percepibile al di fuori dell’edificio da cui proveniva, in pieno orario notturno», e tale da «arrecare così disturbo al riposo di un numero indeterminato di persone, ossia i numerosi vicini che abitavano nelle adiacenze della villetta della coppia».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 aprile – 24 agosto 2018, numero 38901 Presidente Savani – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Lucca condannava V.G. e K.N. alla pena di Euro 300 di ammenda ciascuno, condizionalmente sospesa per entrambi, perché ritenuti responsabili del reato previsto dagli articolo 110, 659 cod. penumero , per avere detenuto, in concorso tra loro, presso la propria abitazione alcuni cani che abbaiavano continuamente nottetempo, impedendo il riposo e le occupazioni delle persone residenti nelle adiacenze. Fatto commesso dal omissis . 2. Avverso l’indicata ordinanza, gli imputati, a mezzo del comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità in relazione agli articolo 191, 234, 431, 511, 526, comma 1, cod. proc. penumero . Assumono i ricorrenti che la prova della fonte del disturbo sarebbe rappresentata da plurimi esposti presentati il 26 luglio 2013, il cui contenuto è stato pedissequamente riprodotto in motivazione, senza l’esame dei denuncianti, all’infuori di due testi, gli unici escussi. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge in relazione agli articolo 110, 659 cod. penumero e 4 lett. d l.r. Toscana del 20 ottobre 2009, numero 59, nonché relativo vizio motivazionale. I ricorrenti contestano la riferibilità soggettiva della condotta loro ascritta, non essendo dirimente la circostanza che i due abitassero in quella casa, tanto più che sarebbe stato sufficiente accertare presso l’anagrafe canina, istituita in Toscana dalla legge regionale 20 ottobre 2009, numero 59, chi fosse il proprietario degli animali. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione della legge penale in relazione all’articolo 659 cod. penumero e correlativo vizio motivazionale. Ad avviso dei ricorrenti, il tribunale avrebbe errato nel ritenere l’idoneità delle emissioni rumorose a disturbare un elevato numero di persone, avendo invece raggiunto una cerchia limitata di soggetti, ossia i testi C. e L. . 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione all’articolo 163 cod. penumero nonché mancanza di motivazione. I ricorrenti assumono che il giudice non avrebbe motivato in ordine all’applicazione della sospensione condizionale, in quanto la condanna a pena pecuniaria per reato contravvenzionale non è oggetto di iscrizione nel certificato del casellario giudiziale, a differenza delle corrispondenti ipotesi in cui è stata concessa la sospensione condizionale della pena. Del resto, per i reati di competenza del giudice di pace, che hanno natura bagatellare, non è prevista la sospensione condizionale della pena e, a seguito delle modiche introdotte dalla I. numero 145 del 2004, la pena pecuniaria è stata estromessa ai fini del superamento della soglia di legge per l’applicazione del beneficio. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Quanto al primo motivo, si osserva, preliminarmente, che la verifica del superamento della soglia della normale tollerabilità non deve essere necessariamente effettuato mediante perizia o consulenza tecnica, ben potendo il giudice fondare il suo convincimento in ordine alla sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, occorrendo, ciò nondimeno accertare la diffusa capacità offensiva del rumore in relazione al caso concreto. Orbene, nel caso in esame la prova del superamento della soglia della normale tollerabilità delle fonti sonoro è stata desunta dalle deposizioni testimoniali di tre vicini di casa i testi C. , L. , Ca. , nonché dell’agente di polizia municipale che effettuò il sopralluogo il 16 dicembre 2014, e del teste di p.g. c. , in forza presso il commissariato di P.S. di OMISSIS , il quale pure si recò sui luoghi, su indicazione del collega Ca. , accertando non solo che gli animali abbaiavano e che in casa non vi era nessuno, ma che sul cancello dell’abitazione di era un cartello con la scritta sono una mamma, i cani abbaiano da molto tempo . La circostanza che fosse stato presentato un esposto rileva, perciò, come mero dato di conferma del compendio probatorio di cui si è dato conto, e da esso può unicamente trarsi, a livello probatorio, il dato che il 18 luglio 2013 era stato, appunto, presentato un esposto da trentuno persone che lamentavano l’abbaiare dei cani, proveniente dall’abitazione dove abitavano gli imputati. 3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. Invero, la circostanza che l’abitazione, dove vi erano i casi, fosse nell’esclusiva disponibilità degli imputati è risultata provata dagli stessi testi introdotti dalla difesa, B. e S. , che, quali frequentatori della casa, hanno dichiarato che, nell’abitazione degli imputati, vi erano due cani. Al proposito, va rilevato che il dovere d’impedimento di strepiti di animali deriva dal mero possesso degli animali medesimi, a prescindere dal formale titolo di proprietà, essendo l’obbligo di impedimento collegato all’effettiva signoria sugli animali, i cui strepiti non sono impediti. 4. Inammissibile, perché manifestamente infondato, è pure il terzo motivo. Invero, poiché il bene tutelato dalla fattispecie in esame è rappresentato dalla quiete pubblica, la quale implica di per sé l’assenza di disturbo per la pluralità dei consociati, per la sussistenza del reato è necessario che i rumori abbiano una tale diffusività che l’evento di disturbo sia idoneo ad essere risentito dalla collettività, in tale accezione ricomprendendosi ovviamente il novero dei soggetti che si trovino nell’ambiente o, comunque, in zone limitrofe alla provenienza della fonte sonora, atteso che la valutazione circa l’entità del fenomeno rumoroso va fatta in relazione alla sensibilità media del gruppo sociale in cui il fenomeno stesso si verifica. Il Tribunale ha, perciò, ritenuto la sussistenza del reato, desumendolo dalla diffusività del rumore, ben percepibile al di fuori dell’edificio da cui proveniva, in pieno orario notturno, arrecando così disturbo al riposo di un numero indeterminato di persone, ossia i numerosi vicini che abitavano nelle adiacenze della villetta degli imputati. Si tratta di una valutazione fattuale, che, essendo logica e giuridicamente corretta, non è censurabile in questa sede. 4. Il quarto motivo è infondato. E difatti, l’argomentazione difensiva, secondo cui vi sarebbe l’interesse degli imputati alla mancata iscrizione della sentenza di condanna nel certificato del casellario giudiziale, nel caso in esame non è rilevante. Va, infatti, osservato che, poiché l’articolo 659 cod. penumero delinea una contravvenzione punita con pena alternativa, per la quale, quindi, è ammessa l’oblazione cd. facoltativa ex articolo 162 bis cod. penumero , la sentenza di condanna a carico dei ricorrenti viene comunque iscritta nel certificato del casellario giudiziale, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lett. d d.P.R. numero 313 del 2012, che, appunto, prevede l’iscrizione dei provvedimenti giudiziari penali di condanna definitivi salvo quelli concernenti contravvenzioni per le quali la legge ammette la definizione in via amministrativa, o l’oblazione limitatamente alle ipotesi di cui all’articolo 162, del codice penale . 5. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’articolo 616 cod. proc. penumero , non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13/06/2000 , alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.